Cassazione Penale, Sez. 4, 03 giugno 2021, n. 21554 - Crollo parziale di un edificio. Abilitazione ai sensi del D.M. 37/2008

2021

Fatto

1. La Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della decisione di primo grado del G.u.p. presso il Tribunale di Trieste, ha revocato le statuizioni civili in favore di M.Z., L.S.e F.Z. nei confronti di D.M., mentre ha confermato nel resto la sentenza di condanna alla pena sospesa, con i doppi benefici di legge, di un anno di reclusione nei confronti di D.M., G.Z. e D.V. per i reati (in data 20 febbraio 2015) di cui agli artt. 113 e 449, primo comma, cod.pen. (capo A: per avere cagionato, con negligenza, imprudenza, imperizia e con la violazione di norme tecniche di settore, il crollo parziale di un edificio -in particolare dei muri perimetrali e dei solai) e 589, primo e quarto comma, cod.pen. (capo B: per avere cagionato la morte di A.F., derivante dal trauma cranico e dalla rottura del rachide cervicale provocati dal crollo dell'appartamento, e le lesioni di F.G., consistite in politraumi e fratture multiple, di durata superiore a 40 giorni) - in particolare G.Z. e D.V., rispettivamente presidente e responsabile tecnico della Astec s.r.l., per avere accettato un incarico di distacco dalla rete distributiva di metano e successivo riallaccio, per il quale la propria società non era abilitata ai sensi del d.m. 37 del 2008, e D.M., quale idraulico dipendente della Astec s.r.l., per avere eseguito tale intervento ed essersi provvisoriamente allontanato dall'edificio, omettendo di dotare il punto terminale dell'impianto di distribuzione del gas di un rubinetto di intercettazione e di un tappo filettato in uscita, in violazione delle norme UNI-CIG 7129/2008 (punto 4.4.1.15), in questo modo consentendo che A.F. (o Marcella A.F.), distrattamente, riaprisse la valvola del gas e che la cospicua fuoriuscita del metano determinasse la deflagrazione della miscela esplosiva e il crollo del palazzo, da cui sono derivate la morte di A.F. e le lesioni di F.G..
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione D.V. e G.Z., che hanno dedotto: 1) la violazione dell'art. 521 cod.pen. ed il vizio di motivazione sul punto, avendo la Corte fondato la propria responsabilità su un profilo di colpa non contestato (aver utilizzato personale privo di qualifiche e requisiti specifici per le lavorazioni effettuate), nella cui affermazione si è, peraltro, incorsi in un travisamento della prova, risultando l'abilitazione di D.M. dall'annotazione di servizio dei Carabinieri, inserita nel fascicolo del P.m. ed allegata al ricorso; 2) la violazione degli artt. 129, 530 cod.proc.pen. e 51 cod.pen. ed il vizio di motivazione, essendo stata la responsabilità penale ancorata al dato meramente formale della mancata iscrizione nel registro delle imprese per lo svolgimento di una determinata attività, senza alcuna verifica della effettiva presenza dei requisiti imposti, dal punto di vista sostanziale ed in via cautelare, per l'esercizio di dette attività, requisiti tutti sussistenti già alla data dei fatti; 3) l'erronea attribuzione a D.V. di una posizione di garanzia in virtù del suo ruolo di responsabile tecnico, privo di poteri gerarchici verso i dipendenti (soprattutto se soci, come D.M.) e senza alcun potere di rappresentanza o decisione verso l'esterno.
3. Il giudizio è stato trattato con le modalità di cui all'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso. Il difensore delle parti civili ha dichiarato di averne revocato la costituzione, allegando l'integrale risarcimento del danno. I ricorrenti hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.




Diritto


1. Il ricorso merita accoglimento.
2. Il primo motivo è infondato nella parte in cui denuncia la violazione del principio di correlazione tra imputazione e condanna.
Difatti, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (così Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 ud. - dep. 19/08/2014, Rv. 260161 - 01, in una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori). Si è, anche, affermato che nei procedimenti per reati colposi, il mutamento dell'imputazione, e la relativa condanna, per colpa generica a fronte dell'originaria formulazione per colpa specifica non comporta mutamento del fatto e non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018 ud. - dep. 29/11/2018, Rv. 274500 - 02) e che, una volta contestata la condotta colposa e ritenuta dal giudice di primo grado la sussistenza di un comportamento commissivo, la qualificazione in appello della condotta medesima anche come colposamente omissiva non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (Sez. 4, n. 27389 del 08/03/2018 ud. - dep. 14/06/2018, Rv. 273588 - 01).
Nel caso di specie, l'essersi avvalsi di personale non abilitato all'intervento richiesto e privo delle specifiche competenze costituisce, invero, una proiezione della condotta specificamente contestata, consistente nel non aver impedito che la società, di cui gli imputati erano presidente e responsabile tecnico, accettasse l'incarico ricevuto, nonostante l'assenza di abilitazione alla manutenzione straordinaria degli impianti di metano. A ciò si aggiunga che su tale aspetto gli imputati hanno potuto esercitare pienamente i loro diritti di difesa.
La censura risulta, tuttavia, fondata nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione della sentenza la quale afferma la carenza, in capo a D.M., dell'abilitazione prescritta per l'intervento de quo. In ordine a tale circostanza la motivazione risulta, in primo luogo, contraddittoria rispetto a quanto nella stessa si legge a p.13, laddove si afferma, sia pure in modo tortuoso, che D.M. è un tecnico specializzato ed in possesso dei requisiti di cui al d.m. n. 37 del 2008 ("che necessità vi sarebbe stato di chiamare un tecnico specializzato ed in possesso dei requisiti di cui alla lett. e dell'art. 1 d.m. citato per l'operazione de qua, se il tecnico si è limitato a svolgere un lavoro ....che quisque de populo ...avrebbe potuto fare con le medesime modalità..?"). A ciò si aggiunga che la motivazione sul punto è anche in contrasto con un atto del processo specificamente indicato nel motivo di gravame e, cioè, con l'annotazione di servizio redatta dai Carabinieri in data 4 marzo 2015 (inserita nel fascicolo del p.m. e allegata al ricorso ai fini dell'autosufficienza), in cui si fa espresso riferimento al certificato di qualifica del personale, ai sensi del regolamento CE n. 842 del 2006 e del d.P.R. n. 43 del 2012, rilasciato a D.M. e valido sino al 18 aprile 2023. Del resto, i giudici di merito non si sono affatto soffermati sulle qualifiche ed i titoli di D.M. (dipendente ed esecutore materiale del lavoro), ma piuttosto sulla violazione, da parte sua, di specifiche regole di esecuzione (cautele di cui al punto 4.4.1.15 di UNI-CIG 7129/2008) e delle regole della comune diligenza e prudenza.
3. E', pure, fondata la seconda censura, con cui si è denunciato l'erroneo collegamento della responsabilità penale al dato meramente formale della mancata presentazione della denuncia di inizio attività relativa agli impianti di cui alla lett. e dell'art. 1 del d.m. n. 37 del 2008, senza alcuna effettiva verifica della concreta violazione di una norma cautelare.
Occorre premettere che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso - così Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018 ud. - dep. 13/07/2018, Rv. 273568 - 01 che, relativamente ad una fattispecie di crollo di un immobile a seguito di una perdita di gas, ha annullato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la responsabilità degli imputati per il solo fatto di essere l'una proprietaria dell'immobile, ed aver permesso la realizzazione di un impianto del gas non a norma, e l'altro utilizzatore del locale, e dunque gestore di fatto di tale impianto.
Nella presente vicenda, i giudici di merito hanno identificato la norma cautelare con quella amministrativa che subordina l'esercizio delle attività relative agli impianti di cui all'art. 1 del d.m. 37 del 20088 alla presentazione della denuncia di inizio attività (art. 3, comma 3, d.m. n. 37 del 2008), in cui si indichi per quale lettera e quale voce, di quelle elencate, si intende operare e in cui si dichiari, altresì, il possesso dei requisiti tecnico-professionali di cui all'articolo 4, richiesti per i lavori da realizzare. Le sentenze non hanno, invece, accertato se, a prescindere dall'omesso adempimento amministrativo, la società fosse già in possesso, all'epoca del fatto, dei requisiti tecnici imposti dal d.m. Inoltre, non si sono neppure soffermate sulla effettiva funzionalità della denuncia di inizio attività e/o dei requisiti tecnico-professionali imposti dall'art. 4 del d.m. n. 37 del 2008 ad evitare l'evento in concreto verificatosi.
In definitiva, non è stata svolta alcuna indagine sulla natura cautelare della norma
amministrativa di cui si è accertata la violazione, che impone la presentazione della denuncia di inizio di attività, e sul nesso causale tra tale violazione ed il crollo della palazzina - aspetti che necessitavano un adeguato approfondimento alla luce delle puntuali deduzioni difensive, in base a cui l'Astec s.r.l. aveva già tutti i requisiti tecnico- professionali di cui all'art. 4 del d.m. n. 37 del 2008 per eseguire l'intervento de quo ed ha ottenuto in data 3 marzo 2015 e, cioè, pochi giorni dopo il fatto, l'iscrizione nel registro delle imprese della Camera di Commercio di Trieste anche in ordine alle attività riferite agli impianti di cui alla lett. e del d.m. n. 37 del 2008.
In proposito è sufficiente osservare che laddove i requisiti di cui all'art. 4 del d.m. n. 37 del 2008 fossero stati presenti già prima del crollo, la mancata presentazione della denuncia di inizio attività non avrebbe avuto alcun rilievo causale sull'evento, in quanto l'attivazione dei poteri di controllo della Pubblica Amministrazione, che ne sarebbe derivata ove fosse stato eseguito l'adempimento amministrativo, non avrebbe avuto alcun esito.
4. L'ultima censura, avente ad oggetto la posizione di garanzia di D.V., risulta assorbita.
5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata limitatamente all'affermazione della penale responsabilità di G.Z. e di D.V. con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.


P.Q.M.



Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.
Così deciso in Roma


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