Cassazione Penale, Sez. 4, 03 agosto 2021, n. 30231 - Lesione alla mano durante l'utilizzo della sega circolare. Datore di lavoro, RSPP e responsabilità amministrativa dell'impresa

2021

Fatto

1. Con sentenza emessa in data 23/1/2017, la Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Belluno, esclusa la recidiva, ha rideterminato la pena inflitta a I.G. in quella di mesi due di reclusione; ha confermato la sanzione inflitta all'ente "I.G. s.n.c.", determinata nella misura di euro 18.000,00.
2. Era contestato all'imputato, in qualità di amministratore della soc. "I.G.", di avere cagionato lesioni personali al dipendente U.A., con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il lavoratore, intento a tagliare un pannello di polistirene estruso, con l'uso dì una sega circolare, sprovvista di spingitoi, entrava in contatto con la lama, riportando una "lesione complessa pollice e indice della mano sinistra" che comportava una malattia superiore a quaranta giorni.
La Corte di merito individuava nella violazione dell'art. 37 d.l.vo 81/2008 un profilo di colpa specifica da addebitarsi all'imputato.
2. Ricorre per cassazione, nell'interesse dell'imputato e dell'ente "I.G. s.n.c.", il difensore di fiducia, lamentando quanto segue.
2.1. Violazione degli artt. 27 Cost., 40 cod. pen. e 192 cod. proc. pen.; contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La difesa sostiene che i giudici di merito siano incorsi in una erronea individuazione del responsabile del fatto. L'imputato I.G., nella sua qualità di legale rappresentante o amministratore della società, non avrebbe dovuto essere chiamato a rispondere delle violazioni ipotizzate, occupandosi della gestione della sicurezza dei dipendenti il fratello I. O..
La motivazione offerta sul punto dalla Corte di mento sarebbe illogica e inconferente, non riflettendo le risultanze istruttorie.
Sebbene I.G. fosse socio e legale rappresentante della società, unitamente al fratello O., non poteva ritenersi responsabile delle decisioni organizzative dell'impresa, tanto meno delle scelte che riguardavano la sicurezza dei dipendenti: l'istruttoria dibattimentale avrebbe reso evidente come il diretto superiore dell'infortunato, responsabile delle decisioni organizzative dell'impresa, di fatto presente sul cantiere, non fosse I.G. ma il fratello O.. Quest'ultimo, come risulta dalle testimonianze assunte nel processo di primo grado, si occupava della gestione dei dipendenti e della loro sicurezza (cfr. verbale udienze del 26/1/2015, pag. 33, teste I.O.).
La circostanza emergerebbe anche dai documenti acquisiti al giudizio (in particolare dalla dichiarazione datata 1/1/2006 - depositata all'udienza del 26/1/2015 - con cui O. I. dichiarava di avere assunto la funzione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione della I.G. s.n.c. e dalla dichiarazione rilasciata dai dipendenti).
La Corte avrebbe errato nel ritenere che I.G. fosse, di fatto, presente sul cantiere: ivi, al momento dell'accaduto, era presente solo un altro fratello, I. A., come risulta dalla deposizione testimoniale di quest'ultimo, da quella del lavoratore U. e dalla deposizione dell'ispettore C..
L'organizzazione dell'impresa faceva capo a O.I., il quale non aveva solamente una funzione di RSPP, in ausilio del G., ma aveva anche pieni poteri decisionali e di spesa. Di conseguenza la posizione di garanzia avrebbe dovuto essere individuata In capo ad I. O., essendosi questi occupato in via esclusiva della formazione del lavoratore.
2.2 Violazione e falsa applicazione degli artt. 590 cod. pen., 40 e 41 cod. pen.; contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In ordine allo stato manutentivo della sega circolare, la Corte d'appello, nel rivalutare i fatti atta luce dei motivi di gravame, diversamente dal primo giudice, ha ritenuto che non vi fossero elementi sufficienti per ritenere che le condizioni della manutenzione del macchinarlo avessero avuto un'incidenza causale sull'infortunio occorso.
In sentenza si ritiene, invece, che la mancata o insufficiente formazione del lavoratore sia all'origine di quanto accaduto. Sul punto la Corte territoriale afferma: "il dipendente, pur lavorando già da tre mesi, non aveva un bagaglio esperienziale specifico formato nell'arco di anni di osservazione ed apprendimento"; "la breve durata dello stage non può avere consentito al lavoratore di assorbire con la dovuta coscienza e profondità le nozioni di sicurezza minime in un settore, quale quello edile, in cui il rischio di infortunio è permanente, per l'utilizzo di potenti macchinari o l'esposizione a lavorazioni potenzialmente pericolose".
Il ragionamento non risulterebbe validamente supportato. Dalle risultanze istruttorie è emerso che il lavoratore U.A. aveva frequentato un corso di formazione sulla "sicurezza e salute sul lavoro in edilizia" presso il Comitato Paritetico Edile per la formazione e la sicurezza della Provincia di Bolzano. Si tratta di un corso specifico, rivolto a tutti i lavoratori del comparto dell'edilizia, nell'ambito del quale l'impiego della sega circolare era stata oggetto di attività formativa. Nella sua deposizione testimoniale, il consulente nominato dalla difesa, dott. F., ha dichiarato che tra le norme d'impiego nell'uso della sega circolare è raccomandato di non rimuovere mai schegge o altre parti che si siano staccate davanti alle linee di taglio e che ai corsi viene spiegato ai lavoratori che non bisogna inserire le mani nelle macchine in movimento.
Il consulente ha poi chiarito come la sega circolare non sia stata annoverata tra le macchine per le quali è prevista una specifica abilitazione per il conduttore o il manovratore.
Il lavoratore aveva svolto un corso teorico ed aveva anche ricevuto un addestramento pratico in cantiere, avendo già utilizzato la sega circolare prima dell'incidente, come dichiarato dai vari testi e dalla stessa persona offesa.
Per quanto riguarda la qualità del materiale al cui taglio era stato addetto U., la Corte ometterebbe di considerare quanto indicato dal consulente nella relazione tecnica: il pannello di "Styrodur" è costituito da materiale morbido al taglio, difficilmente in grado di provocare un contraccolpo nella fase di lavorazione. Sarebbe quindi errata la considerazione della Corte di merito in base alla quale si tratterebbe di un materiale fragile. Che il lavoratore si fosse infortunato al termine del taglio è inoltre una deduzione che non troverebbe conforto in atti, essendo smentita dalla circostanza che la lesione è avvenuta tra l'indice e il pollice.
La Corte di merito (pag. 9 detta motivazione) non nega la componente di imperizia presente nella condotta del lavoratore, ma ritiene egualmente che il dipendente non avrebbe dovuto essere incaricato di effettuare il lavoro di taglio ("Tale profilo avrebbe richiesto particolare attenzione da parte del datore di lavoro tanto più che fu lo stesso imputato, secondo quanto afferma la persona offesa, ad assegnargli il compito specifico di tagliere lo Styrodur'').
Un passaggio da ultimo richiamato risulterebbe erroneo: nel verbale d'udienza del 26/01/2015, a pag. 23, dalle parole della persona offesa emerge che era stato I. A. ad assegnare il compito di eseguire il taglio. Proprio le caratteristiche del materiale dei pannelli (tenero e morbido) consentivano l'affidamento del lavoro all'operaio. Il consulente dott. F., nella propria relazione, ha evidenziato come l'infortunato già da tre mesi operasse all'interno dei cantieri, pertanto aveva acquisito una certa esperienza nell'utilizzare il macchinario. Nessun rimprovero in punto dì formazione e informazione poteva essere mosso al datore di lavoro I.G.. La stessa circostanza che il lavoratore U.A. avesse precedente esperienza lavorativa come cuoco, o aiuto cuoco, avrebbe dovuto escludere il profilo di responsabilità addebitato, avendo il lavoratore una pregressa esperienza con l'affettatrice, macchinario simile a quello adoperato per il taglio del pannello.
La Corte d'appello non avrebbe adeguatamente considerato il comportamento imprudente del lavoratore, idoneo ad interrompere, per la sua abnormità, il nesso causale tra la condotta attribuita all'imputato e l'evento lesivo.
2.3 Violazione e falsa applicazione dell'art. 25-septies, comma 3, d.Lvo 231/01; contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La Corte motiva la conferma della sentenza di primo grado in ragione dell'inadeguata preparazione professionale del dipendente, sostenendo che ha comportato un risparmio per l'ente, il quale non deve sostenere costi aggiuntivi per i corsi e per le giornate di lavoro perse.
La motivazione sarebbe palesemente illogica atteso che, come già detto in precedenza, dall'istruttoria dibattimentale è emerso che al lavoratore è stata fornita la preparazione teorica prevista per legge ed è stato dimostrato l'addestramento pratico sul luogo di lavoro.
2.4 Contraddittorietà e Illogicità della motivazione in punto determinazione della sanzione amministrativa.
La motivazione della Corte di merito, la quale non ha ridotto la sanzione fino alla metà, come previsto dall'art. 12, comma 2, d.lvo 231/2001, sarebbe illogica e contraddittoria. Si sostiene che la massima riduzione non sarebbe riconoscibile in quanto il risarcimento, garantito dall'assicurazione, non ha comportato un diretto esborso da parte della società. Rileva la difesa che il medesimo risarcimento è stato tenuto in debita considerazione dalla Corte al fine dì stabilire l'entità della pena inflitta all'imputato, con riconoscimento della circostanza di cui all'art. 62, comma 5, cod.pen.
Non si comprenderebbe la ragione per cui la circostanza del risarcimento possa essere tenuta in considerazione per l'imputato, ma non per l'ente. Vero è che il risarcimento non ha comportato un esborso "diretto" da parte della società, tuttavia ha senz'altro comportato un esborso "indiretto", atteso che la polizza assicurativa a tal fine stipulata rappresenta un costo specifico che l'ente sostiene periodicamente, suscettibile di lievitare in caso di sinistri.

3. Con motivi aggiunti la difesa ha dedotto violazione del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza ex artt. 521, 522, 178 cod.proc.pen., violazione del principio del contraddittorio ex art. 111 detta Costituzione, nella parte In cui la sentenza della Corte d'Appello afferma che l'Interesse dell'ente sarebbe rappresentato dal risparmio dei costi per la formazione del dipendente infortunato. Pone in rilievo che il Giudice di primo grado non aveva fatto cenno a tale argomentazione. Con l'introduzione di tale nuovo elemento, su cui non si era formato il contraddittorio, la torte di merito sarebbe incorsa in una violazione del principio del diritto di difesa.
In ogni caso dalla compiuta istruttoria sarebbe emersa la circostanza dell'avvenuta formazione del lavoratore.




Diritto




1. I ricorsi in favore dell'imputato e dell'ente devono essere dichiarati inammissibili.
2. I motivi proposti risultano manifestamente infondati.
Con riferimento alla posizione dell'imputato si osserva quanto segue.
Il ricorrente riveste la qualifica di legale rappresentante della "I.G. s.n.c.", datore di lavoro dell'infortunato.
In plurime pronunce questa Corte ha affermato che dalla qualità datoriale discendono una serie di obblighi fondamentali, tra i quali deve annoverarsi la previsione dei rischi a cui risulta esposto il lavoratore nell'espletamento delle sue mansioni. Alla previsione del rischio è strettamente collegato l'obbligo di formare e informare il lavoratore, secondo quanto stabilito dall'art. 37 d.lgs. 81/08, e di vigilare perché siano attuate le misure previste ai fini della tutela della sua incolumità.
E' quindi pacifico che il datore di lavoro debba rispondere dell'infortunio occorso al dipendente ove la mancata formazione sia causalmente collegata al verificarsi dell'evento.
3. Tutto ciò premesso, la Corte di merito ha correttamente posto in evidenza come l'infortunio occorso al lavoratore sia stato conseguenza della sua inesperienza, dovuta alla lacunosa formazione professionale ricevuta in relazione al compito affidatogli in azienda di tagliare un pannello di polistirene espanso con una sega circolare.
Nel descrivere le modalità di accadimento del fatto la Corte di merito evidenzia che il lavoratore ha avvicinato la mano alla lama per impedire che le vibrazioni determinate durante le fasi di taglio potessero danneggiare il materiale ["Quando un pannello di Styrodur è soggetto al tipo di lavorazione alla quale la persona offesa lo stava sottoponendo (taglio con sega circolare) la leggerezza del pannello, unita alla sua rigidità, provoca una caratteristica tendenza alla vibrazione del pezzo. A sua volta, in considerazione della fragilità del materiale, la vibrazione comporta il rischio di spezzare il pezzo in lavorazione. Ed è proprio per impedire la vibrazione del pezzo ( e diminuire quindi il rischio di frattura dello stesso) che il lavoratore tende ad avvicinare la mano al punto ove la vibrazione ha origine (il punto di presa della lama sul pezzo). Ciò è avvenuto nel caso di specie, con l'operaio (inesperto e non specificamente istruito) che ha progressivamente avvicinato la mano alla lama senza realizzare il pericolo incombente e fino a provocarsi la lesione"].
Dalla descrizione delle modalità di accadimento dell'infortunio è stata logicamente desunta la causa di esso, riconducibile ad una inadeguata e insufficiente formazione del lavoratore. Si legge in motivazione che il dipendente, pur lavorando da tre mesi in I. s.n.c., non aveva un bagaglio d'esperienza specifico, avendo solamente beneficiato di un corso di formazione di otto ore sulle mansioni di operaio edile: anche ammettendo che gli fossero state somministrate nozioni di sicurezza riguardanti il tipo di macchina con cui sì infortunò, la brevità detta durata detto stage non gli aveva permesso di acquisire una conoscenza esaustiva ai fini dell'utilizzo in sicurezza del macchinario.
Sì tratta di adeguata motivazione, non censurabile in questa sede, suscettibile di rendere conto in maniera puntuale delle ragioni del decisum. A tali argomentazioni la difesa contrappone una diversa ricostruzione della vicenda, asserendo la esaustività del corso frequentato dalla persona offesa ai fini della sua formazione e prospettando una diversa ricostruzione della dinamica dell'Infortunio.
E' d'uopo rilevare come alla Corte di Cassazione non spetti il compito di provvedere ad una diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza detta motivazione in rapporto ai dati processuali.
In virtù di principi consolidati, nel momento del controllo delta motivazione, la Corte di cassazione non è tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento [cfr. Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Rv. 229369 - 01: "Nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l'art. 606, comma primo, lett. e) del cod. proc. pen. non consente alla Corte di una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. (In senso conforme anche Cass., Sez. V, 13 maggio 2003, Pagano ed altri, non massimata)].

4. Come ha osservato la Corte di merito la qualifica di RSSP in capo ad I. O., fratello dell'imputato, non può costituire ragione di esonero da responsabilità per il datore di lavoro.
Secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge una funzione di consulenza in materia antinfortunistica del datore di lavoro, coadiuvandolo nella individuazione dei rischi, nelle soluzioni tecniche da adottare per impedire il verificarsi di infortuni collegati a tali rischi, nella pratica di formazione e informazione del lavoratore [cfr. Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017, Rv. 270286 - 01: "La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema dì violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. (In motivazione, la Corte ha precisato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale)", conforme a Sez. 4, n. 50605 del 05/04/2013, Rv. 258125 - 01: "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti").
Occorre quindi ribadire che la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è equiparabile ad una delega di funzioni: ove si concretizzi un rischio prevedibile non considerato ed ove l'evento sia causalmente collegato all'omessa o incompleta formazione del lavoratore, dell'infortunio dovrà comunque rispondere il datore di lavoro.
5. Le doglianze attinenti alle modalità di verificazione dell'infortunio sono palesemente versate in fatto.
I motivi di ricorso investono la ricostruzione della dinamica dell'incidente sotto diversi profili.
La difesa esprime considerazioni che attengono ad aspetti di merito, proponendo un'alternativa ricostruzione della vicenda. Si legge in ricorso che le caratteristiche del materiale legittimavano l'affidamento del compito al nuovo assunto; che il taglio del materiale era operazione semplice; che la ferita riportata dal lavoratore, per le sue caratteristiche, era indicativa del fatto che l'infortunio fosse avvenuto all'inizio dell'operazione di taglio, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito.
Attraverso tali argomentazioni la difesa approda alla conclusione che l'incidente si verificò per un comportamento imperito e imprudente dell'infortunato, ascrivibile alla categoria dei comportamenti abnormi, suscettibili di incidere sul legame causale.
Ebbene, a fronte delle ricordate censure, appare opportuno nuovamente ribadire che compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito, la sua manifesta illogicità, l'incoerenza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso delta realtà o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente, dotati autonomamente di forza esplicativa tale da disarticolare l'intero ragionamento svolto in sentenza (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, lmp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Le contraddizioni lamentate dalla difesa e l'asserito travisamento delle emergenze processuali, peraltro sostenuti attraverso un frammentario richiamo alle testimonianze acquisite, non si riconoscono all'interno dell'apparato giustificativo della sentenza, le cui argomentazioni sono prive di aporie logiche e sorrette da spiegazioni che trovano fondamento in richiami pertinenti (si veda la parte della sentenza in cui i giudici addivengono alla ricostruzione dell'infortunio attraverso il puntuale richiamo alla deposizione resa dell'ispettore C.).
Infine, il prospettato comportamento esorbitante del lavoratore non è evocato a proposito. L'abnormità del comportamento del lavoratore, può apprezzarsi solo in presenza di condotte connotate de assoluta imprevedibilità o ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto si è efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - suscettibili di collocare fa condotta dell'infortunato al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso [cfr. Sez. 4, Sentenza n. 15174 del 13/12/2017, dep. 05/04/2018, Rv. 273247 - 01:"In tema di infortuni sul lavoro, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro"; da ultimo Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Rv. 278603 - 01: "Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore. (Nella specie, la Corte ha ritenuto immune da censure il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro per la morte di un lavoratore, ascrivibile al non corretto uso di un macchinario dovuto all'omessa ad guata formazione sui rischi del suo funzionamento)].
E' significativo ribadire quanto già affermato nelle massime richiamate: in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'attività di formazione del lavoratore non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenze del lavoratore, formatosi per effetto di pregresse esperienze lavorative o per il trasferimento di conoscenze che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori. Questo tipo di apprendimento non può avere un valore surrogatorio delle attività di informazione e di formazione legislativamente previste.
Ne consegue che la prova dell'assolvimento degli obblighi di informazione e di formazione del lavoratore non può ritenersi raggiunta attraverso la considerazione della circostanza che l'infortunato sapesse come fare funzionare una sega elettrica, avendo adoperato in passato una macchina affettatrice. La carenza, invero, non può essere colmata dalle conoscenze personali e l'imperizia del lavoratore, come pure l'imprudenza o la negligenza, non sono suscettibili d'interrompere il nesso causale tra condotta addebitata al datore di lavoro ed evento.
6. Non si individuano le criticità segnalate dal difensore in punto di responsabilità dell'ente e di determinazione della sanzione applicata (motivi terzo e quarto di ricorso).
Il rilievo difensivo, riguardante l'assenza del presupposto del vantaggio per la configurazione della responsabilità dell'ente (art. 5, comma 1, d.lgs. 231/2001), è tutto incentrato sulla negazione della violazione addebitata all'imputato ("nel caso che ci occupa non è stata fornita alcuna prova che la I.G. s.n.c. avesse un interesse o conseguito un vantaggio da un qualsivoglia comportamento di violazione delle norme prevenzionistiche, atteso che la ditta ha osservato tutte le prescrizioni legislative in vigore").
Si tratta di affermazioni puramente avversative che collidono con la ricostruzione offerta in motivazione dalla Corte di merito e con quanto logicamente argomentato in sentenza in relazione alla carenza di formazione somministrata al lavoratore.
Data per acquisita la esistenza della violazione addebitata all'imputato, le ragioni espresse dalla Corte di merito, poste a fondamento del ritenuto vantaggio per la società, sono del tutto congrue ["In ordine alla responsabilità dell'ente (punti 4 e 5 dell'appello), affermata la responsabilità del datore di lavoro, è sufficiente osservare che i profili critici afferiscono innanzi tutto (per il datore di lavoro) alla mancata fornitura di un'adeguata preparazione professionale e (per l'impresa). Ciò significa, praticamente, che vi è un risparmio dell'ente, che non deve sostenere costi aggiuntivi per i corsi e per le relative giornate di lavoro 'perdute' (ovviamente il termine è usato solo in senso improprio), con la conseguenza di immettere nell'attività produttiva lavoratori non adeguatamente formati ed allertati delle possibili insidie che il luogo di lavoro può sempre presentare.
Il fatto che l'argomento del risparmio dei costi sia stato introdotto nella motivazione espressa in grado di appello non si traduce in una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, poiché il giudice di appello ha il potere di integrare la motivazione del primo giudice (Sez. 6, n. 30059 del 05/06/2014, Rv. 262397 - 01).
Peraltro la doglianza ha carattere di novità rispetto ai motivi di ricorso originari (Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020 Rv. 280294 - 01: «In materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si Intenda allargare l'ambito del predetto "petitum", introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione»).

6.1 La difesa si duole della mancata riduzione della sanzione inflitta all'ente nella misura massima della metà, siccome previsto dall'art. 12, comma 2, d.lgs. 231/2001.
La Corte di merito ha ritenuto che la società non fosse meritevole di beneficiare della massima riduzione, mettendo in rilievo la gravità del fatto, il risparmio conseguito dall'ente in conseguenza dell'omessa formazione del dipendente ed il mancato diretto esborso di somme a titolo risarcitorio, essendo stato il risarcimento riconosciuto dalla società assicuratrice.
La motivazione non soffre dei vizi lamentati dalla difesa: la giustificazione offerta dalla Corte di merito non riguarda il solo aspetto del risarcimento, ma anche i più generali profili della gravità delle criticità osservate nella gestione della sicurezza dei lavoratori e del risparmio conseguito dall'ente.
Ai sensi dell'art. 11 d.lgs. 231/01, nella determinazione della sanzione da applicare all'ente, il giudice deve tenere conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
Il successivo art. 12 prevede, al comma 2, che la sanzione pecuniaria sia diminuita da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l'ente abbia provveduto a risarcire integralmente il danno e ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia adoperato efficacemente in tal senso.
E' evidente come, nella ricorrenza delle condizioni imposte nella norma da ultimo citata, l'entità della diminuzione della sanzione pecuniaria sia rimessa al prudente apprezzamento del giudice, il quale, nel compiere la valutazione farà uso di un potere discrezionale entro i parametri indicati dall'art. 11 d.lgs. 231/01. Ebbene, tale valutazione sfugge al sindacato di legittimità ove non sia espressione di manifesta illogicità.
Non sono comparabili gli istituti previsti dall'art. 62, comma 1, n. 6 cod. pen. e dall'art. 12 d.lgs. 231/01. La prima è un'attenuante comune destinata ad incidere sul trattamento sanzionatorio riservato all'imputato, la seconda è un'attenuante che riguarda l'ente. Il sistema introdotto con il d.lgs. 231/01 ha disegnato un trattamento dedicato all'illecito della persona giuridica, avente proprie connotazioni peculiari, pertanto ìl collegamento prospettato dalla difesa è del tutto inconferente.
6. La inammissibilità del ricorso esclude che possa farsi luogo per l'imputato alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 - 01: "L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.").
7. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità dei ricorsi la condanna del ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro 3000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).



P.Q.M.



Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso il 20 maggio 2021


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