Cassazione Penale, Sez. 3, 20 aprile 2020, n. 12523 - Visite ispettive e obbligo di esibizione della documentazione
1. Con sentenza pronunciata il 02/04/2019, depositata in data 28/06/2019, il Tribunale di Catanzaro dichiarava G.G. colpevole del reato di cui all'art. 28, D.lgs. n. 758/1994, con conseguente condanna alla pena di 500,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. Veniva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art. 163 c.p.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il G.G. a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione all'art. 28 D.lgs. n. 758/1994 e all'art. 15 D.lgs. n. 124/2004. In sintesi, si sostiene che il Tribunale di Catanzaro avrebbe omesso di precisare che con il "verbale di primo accesso" - n. 017/U.O.V.T. del 26/02/2016 - redatto presso il cantiere ove la ditta del G.G. stava eseguendo dei lavori, gli Ispettori del lavoro avrebbero invitato l'imputato a esibire la documentazione richiesta presso gli Uffici della Direzione Territoriale del Lavoro, datata 15/03/2016. Tale omissione configurerebbe un vizio di interpretazione della norma contestata, anche in riferimento al periodo della condotta contravvenzionale addebitata, difettando la prescrizione obbligatoria prevista dall'art. 15 D.lgs. n. 124/2004, costituente condizione di procedibilità per l'esercizio dell'azione penale. Nel verbale di primo accesso summenzionato, infatti, sarebbe stato dato atto di un'attività di controllo ordinario, finalizzata e limitata all'accertamento di violazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, non anche invece di Polizia Amministrativa, la quale trova le proprie ragioni nell'art. 8 D.P.R. n. 520/55, non estensibile alle generali attività di vigilanza di carattere ordinario. Ad avviso del ricorrente, pertanto, gli Ispettori del Lavoro avrebbero potuto esclusivamente chiedere l'esibizione di documentazione ritenuta utile ai fini dell'espletamento della suddetta vigilanza e la mancata ottemperanza a tale richiesta non integrerebbe i presupposti della contravvenzione addebitata, non essendo stati esercitati poteri di Polizia Amministrativa di controllo, per i quali la legge prescriverebbe garanzie di difesa formali e sostanziali (quali quella di informare l'interessato del diritto di essere assistito da un difensore). La norma in questione sanzionerebbe inoltre solo l'omissione circa le notizie da fornire, e non anche la mancata esibizione di documentazione.
La sentenza sarebbe censurabile in quanto il giudice non avrebbe tenuto conto di quanto disposto dall'art. 15, co.l, D.lgs. n 124/2004: la prescrizione obbligatoria rappresenterebbe la condizione di procedibilità per promuovere l'esercizio dell'azione penale nel caso in cui venga rilevata una condotta contravvenzionale nell'attività di controllo di polizia giudiziaria da parte dell'Ispettorato del Lavoro, la quale si caratterizzerebbe per un contenuto formale e sostanziale in garanzia del destinatario. Essa si sostanzierebbe in un provvedimento scritto, emesso in conseguenza di un accertamento di violazioni contravvenzionali (punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, o con la sola pena pecuniaria), con il quale, nell'esercizio di funzioni di P.G. (art. 55 c.p.p.), si impartirebbero le direttive volte alla rimozione o alla modifica delle situazioni irregolari riscontrare. Il ricorrente sostiene pertanto l'erroneità dell'applicazione della norma contestata, mancando i presupposti per l'esercizio dell'azione penale, rectius la prescrizione obbligatoria, a garanzia dell'interessato, della quale non sarebbe mai venuto a conoscenza, come meglio precisato nel successivo motivo di impugnazione.
2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 138 ss. c.p.c.
In sintesi, si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato la normativa in materia di notificazioni. L'invito all'imputato di esibire la documentazione contenuta nel verbale di primo accesso non rappresenterebbe un sollecito, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Catanzaro, ma la richiesta con relativa prescrizione obbligatoria, costituente presupposto per l'esercizio dell'azione penale, di cui al precedente motivo di ricorso. La missiva inviata dalla Direzione Territoriale del Lavoro al G.G. (prot. uscita 8400 del 19/05/2016) sarebbe l'atto contenente la prescrizione di cui all'art. 15 D.lgs. n. 124/2004, assente per ragioni procedurali nel verbale di primo accesso. Tale missiva, tuttavia, non sarebbe mai stata notificata al ricorrente in quanto momentaneamente assente nel luogo di residenza, sua dimora abituale e sede legale della ditta di cui il medesimo è titolare. Nel procedimento di notificazione si sarebbe confusa la momentanea assenza con la "irreperibilità", insussistente nel caso di specie. Il G.G. avrebbe indicato nel verbale di primo accesso il proprio indirizzo in Soverato, via Aia n.2. In violazione della normativa di riferimento, l'Ispettorato del Lavoro avrebbe chiesto al Comune di Soverato il rilascio di un certificato di residenza dell'imputato, venendone indicato dall'ente pubblico uno errato (via Verga n.7) e diverso da quello comunicato dal G.G.. L'ispettorato, sulla base del certificato rilasciato dal Comune, avrebbe notificato a tale diverso indirizzo la missiva, invitando il destinatario ad esibire la documentazione richiesta in data 13/09/2011 con il relativo avvertimento della sanzione penale in caso di omissione. Di quest'ultima, così come della precedente, l'imputato non avrebbe avuto conoscenza, essendo tra l'altro stata presa in consegna da un familiare non convivente da anni con il G.G.. Non potrebbe pertanto ritenersi perfezionato il procedimento di notificazione dell'invito ad esibire la documentazione richiesta, con relativa prescrizione obbligatoria di cui all'art. 15 D.lgs. n. 124/2004, con conseguente non rimproverabilità penale della condotta tenuta dal ricorrente. A conferma della tesi difensiva, si riporta che l'Ispettorato del Lavoro avrebbe dichiarato di aver eseguito la notifica mediante tali modalità al fine di "accorciare i tempi" (Verbale fonoregistrazione del 02/20/2018, pag. 7). Tali affermazioni avrebbero dovuto essere tenute in conto dall'organo giudicante per rilevare l'errore nel procedimento di notificazione degli atti. Il ricorrente precisa che il familiare, il quale ha accettato la notifica, non sarebbe suo convivente da anni e tale dato non sarebbe stato aggiornato nei registri del Comune di Soverato. Il G.G. non avrebbe dunque mai avuto conoscenza del contenuto delle missive sopra citate, costituenti unici atti nei quali sarebbe riportata la prescrizione obbligatoria di cui all'art. 15 D.lgs. n. 124/2004.
2.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e) c.p.p. in relazione agli artt. 131-bis e 62-bis c.p.
La sentenza sarebbe priva di motivazione in ordine alla esclusione della formula assolutoria di cui all'art. 131bis c.p., essendosi il giudice limitato ad escludere l'assoluzione per particolare tenuità del fatto sulla base della sola condotta addebitata e non anche sulla presunta offesa del bene giuridico tutelato dalla norma penale. La decisione sarebbe infine contradditoria nella parte in cui, non riconoscendo le attenuanti generiche di cui all'art. 62bis c.p., avrebbe valutato positivamente la condotta dell'imputato, applicando la sola pena pecuniaria e ritenendolo meritevole del beneficio della sospensione di cui all'art. 163, c.p. Tali elementi positivi avrebbero dovuto favorire l'applicazione della formula assolutoria per particolare tenuità del fatto.
Diritto
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Il primo motivo di impugnazione non merita accoglimento in quanto la difesa del G.G. non risulta essersi confrontata né con il dato testuale delle disposizioni normative richiamate, né con la giurisprudenza formatesi in punto di prescrizione obbligatoria.
L'art. 15, commi 1 e 2, D.lgs. n. 124/2004 dispone che «1. Con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale de! lavoro, qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e per gli effetti degli articoli 23 e 24 e 25, comma 1, dello stesso decreto. 2. L'articolo 22 del citato decreto legislativo n. 758 del 1994, trova applicazione anche nelle ipotesi di cui al comma 1».
L'art. 20, D.lgs. n. 758/1994 prevede, poi, che «Allo scopo dì eliminare la contrav-venzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce ai contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario [...]. Resta fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale».
Infine, per quanto qui rileva, l'art. 24, del medesimo decreto legislativo, prevede che la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato, provvedendo a pagare nel termine stabilito la sanzione amministrativa.
5. Questa Suprema Corte si è precedentemente pronunciata in ordine alla speciale procedura di prescrizione di cui al D.lgs. n. 758/1994 riconoscendone, espressamente o implicitamente, l'obbligatorietà e la natura di condizione di procedibilità dell'azione penale. Il giudice penale, nel pronunciare la sentenza di condanna per una delle contravvenzioni estinguibili mediante la particolare procedura, è tenuto ad accertare che siano stati regolarmente svolti tutti i passaggi richiesti dalla legge (Cass., Sez. III, 1 ottobre 1998, n. 13340), con l'obbligo di sospendere il procedimento (salva la possibilità dell'archiviazione ex art. 23, co.3, D.lgs. n. 758/94), sino alla comunicazione dell'inadempimento della prescrizione ovvero del mancato pagamento della sanzione amministrativa, costituendo essa una condizione di procedibilità dell'azione penale (Cass., Sez. III, 6 giugno 2007, n. 34900; Cass., Sez. III, 22 gennaio 2004, n. 14777). L'omessa fissazione, da parte dell'organo di vigilanza, di un termine per la regolarizzazione comporterebbe, pertanto, l'improcedibilità dell'azione penale (Cass., Sez. III, 8 gennaio 2009, n. 12483; Cass., Sez. III, 4 ottobre 2007, n. 43825; Cass., Sez. III, 24 ottobre 2007, n. 43839; Cass., Sez. III, 20 gennaio 2006, n. 6331).
6. La giurisprudenza successiva, tuttavia, discostandosi dai principi sopra riportati, ha, in primo luogo, precisato come l'organo di vigilanza possa legittimamente non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, ciò non condizionando l'esercizio dell'azione penale, il che si verifica, e per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui l'organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione.
La speciale procedura descritta dal D.lgs. n. 758/94 è, infatti, finalizzata a consentire l'adozione di specifiche misure da parte del contravventore, prescritte dall'organo di vigilanza, con possibilità di oblazione del reato in caso di adempimento. Al Pubblico Ministero non sono preclusi, in ogni caso, la richiesta di archiviazione, l'assunzione delle prove con incidente probatorio, nonché gli atti urgenti di indagine preliminare ed il sequestro preventivo (art. 23, co. 3 D.lgs. 758/94). Solo in questi termini può dunque parlarsi di "condizione di procedibilità" dell'azione penale, intendendosi una parentesi finalizzata alla regolarizzazione e all'eventuale oblazione del reato (Cass., Sez. III, 5 maggio 2010, n. 26758). Ne consegue che, nell'ipotesi in cui l’organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione, l'esercizio dell'azione penale non ne verrebbe condizionato, essendolo, all'opposto e per un limitato periodo di tempo, ove tali prescrizioni vengano impartite. In altri termini, la prescrizione di regolarizzazione può, ma non deve, essere impartita dall'organo di vigilanza il quale, ab origine (art. 20), o successivamente (art. 22), può determinarsi a non impartirne alcuna.
La sospensione del processo penale di cui all'art. 23 D.lgs. n. 758/94, nell'ipotesi in cui la prescrizione di regolarizzazione sia stata impartita dall'organo di vigilanza, ovvero possa esserlo ai sensi dell'art. 22, non può in ogni caso essere sine die, essendo fissato un limite temporale massimo entro il quale tale parentesi procedurale - finalizzata alla conformazione da parte del trasgressore alla prescrizione di regolarizzazione -deve essere chiusa. Da tali considerazioni consegue che il contravventore non potrà vantare il "diritto" a ricevere la prescrizione de qua dall’organo di vigilanza, potendo in ogni caso, ove abbia provveduto autonomamente alla regolarizzazione, chiedere al giudice di essere ammesso all'oblazione in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione gli sia stata impartita dall'organo di vigilanza (art. 24, comma 3). Alla luce di quanto sopra esposto, in sintesi, l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non potrebbe determinare l'improcedibilità dell'azione penale (Cass., Sez. III, 13 gennaio 2017, n. 7678).
7. Nel caso di specie, tuttavia, l'esame degli atti consente di escludere il difetto, asserito dal ricorrente, della prescrizione di cui all'art. 15 D.lgs. n. 124/2004.
Nel corso della verifica nei confronti della Ditta Giardin Edil, della quale il G.G. è titolare, veniva richiesto a quest'ultimo di esibire la documentazione aziendale di lavoro prevista dal D.lgs. n. 81/2008, il che non avveniva in quanto il G.G. non ne era in possesso. Nel verbale 017/U.O.V.T. del 26 febbraio 2016, venivano impartite specifiche prescrizioni (Allegati D e F), tra cui anche quella di esibire tutta la documentazione indicata nell'atto medesimo presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Catanzaro in data 15 marzo 2016. Il ricorrente risulta essere stato avvertito degli effetti derivanti dall'eventuale mancata esibizione, e, nello specifico, veniva dato avvertimento che: «... non ottemperando a quanto sopra richiesto nei tempi e con le modalità stabilite nei presente verbale o non presentandosi senza dare avviso al/i verbalizzante/i, si procederà nei confronti del/dei responsabile/i con l'adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti dalla legge» (All. D); «In caso di mancata ottemperanza alla/e disposizione/i impartita/e dall'organo di vigilanza, in materia di sicurezza ed igiene dei lavoro, di cui all'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520 come sostituito dall'art. 11 del D.lvo 758/94, si procederà alla comunicazione al P.M. della violazione di detto articolo, la cui penalità prevede l'arresto fino a un mese o l'ammenda fino a euro 413 (quattrocentotredici)» (All. F).
Con tale atto, pertanto, l'organo di vigilanza risulta non soltanto aver provveduto ad impartire le prescrizioni che il G.G. avrebbe dovuto rispettare (eliminazione del materiale intorno al fabbricato per rendere la viabilità dei dipendenti sicura - All. F; esibizione della specifica documentazione richiesta, entro il termine indicato - All. D), ma anche aver consentito al ricorrente di avere conoscenza delle conseguenze scaturenti dal mancato adempimento delle stesse. Il verbale risulta infatti essere stato sottoscritto e ritirato dal G.G..
8. Si ricorda, del resto, che, secondo quanto precedentemente affermato da questa Suprema Corte, il reato previsto dall'art. 4 L. n. 628/1961 - come modificato dall'art. 28 D.lgs. n. 758/1994 - deve ritenersi integrato anche nel caso di mancata esibizione di documenti richiesti dall'Ispettorato del lavoro nell'esercizio dei compiti di vigilanza demandati dal medesimo articolo, altresì quando la richiesta non avvenga nel contesto delle indagini di polizia amministrativa disciplinate dall'articolo 8 D.P.R. n. 520/1955 (Cass., Sez. III, 30 marzo 2017, n.35170; Cass., Sez. III, 17 gennaio 2017, n.13102; Cass., Sez. III, 26 giugno 2013, n. 42334; Cass., Sez. III, 2 dicembre 2011, n. 6644; Cass., Sez. III, 18 gennaio 2007, n. 7106).
La mancata risposta alle richieste di notizie, avanzata dall'ispettorato del lavoro, costituisce reato soltanto quando l'accertamento concerne violazioni alle leggi sui rapporti di lavoro, sulle assicurazioni sociali, sulla prevenzione e l'igiene del lavoro, assumendo l'indagine valore strumentale rispetto alla necessità di controllo, che il legislatore ha sanzionato penalmente. Non integra, invece, il reato de quo la condotta omissiva del datore di lavoro al quale sia stata genericamente richiesta la trasmissione della "documentazione di lavoro", essendo penalmente sanzionata solo la mancata risposta a richieste di informazioni specifiche e strumentali rispetto ai compiti di vigilanza e di controllo dell'ispettorato medesimo.
9. Inammissibile è anche il secondo motivo del ricorso.
9.1. Non può trovare accoglimento la tesi difensiva secondo cui, non avendo il ricorrente ricevuto personalmente la notifica della nota n. 8400 del 19/05/2016 - con la quale, si evidenzia, veniva sostanzialmente comunicato il sollecito dell'ordine di esibizione - mancherebbe l'elemento soggettivo del reato contestato. Sul punto, si osserva innanzitutto che la questione posta dal ricorrente, benché apparentemente riferibile al profilo sostanziale dell'elemento soggettivo della fattispecie contravvenzionale, attiene in realtà al profilo processuale dell'avvenuto esperimento della procedura di definizione amministrativa. Dal punto di vista sostanziale, infatti, il reato de quo si è consumato allo scadere del termine per la produzione della documentazione (Cass., Sez. III, 20 marzo 2017, n. 13204), stabilito nel verbale del 21 febbraio 2016, recte il 15 marzo 2016, che lo stesso organo di vigilanza aveva indicato, in sede di accesso ispettivo. A tale data, pertanto, il reato era già stato perfezionato, avendo l'imputato omesso di esibire, nel termine assegnatogli, la documentazione richiesta (All. D), non avendo, tra l'altro, il G.G. allegato concreti elementi sulla base dei quali poter ipotizzare una omissione incolpevole dello stesso. Non può dubitarsi, infatti, che il ricorrente, essendo presente al momento dell'accesso ispettivo, ed avendo sottoscritto e ricevuto una copia del verbale del 26/02/2016, fosse pienamente a conoscenza del contenuto delle legittime richieste rivolte dall'autorità amministrativa e del (primo) termine entro il quale lo stesso avrebbe dovuto provvedere alla prescrizione impartita.
9.2. In ordine alle successive comunicazioni, aventi la finalità di sollecitare il ricorrente ad adempiere all'esibizione, si rammenta che, secondo l'orientamento di questa Suprema Corte, il reato di omessa risposta alla richiesta dell’Ispettorato del lavoro di fornire notizie e documenti è configurabile anche nel caso in cui la richiesta sia spedita mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, non essendone necessaria la notifica nelle forme previste dagli art. 157 e ss. c.p.p. (Cass., Sez. III, 14 dicembre 2010, n. 2337), configurandosi il reato anche nell'Ipotesi in cui la richiesta di informazioni non sia stata rivolta al datore di lavoro personalmente. Si ritiene sufficiente, infatti, la conoscibilità della richiesta, garantita, ad esempio, anche ove la notificata avvenga alla sede della ditta (Sez. 3, n. 28701 del 25/05/2004, Rv. 229432).
Nel caso in esame, la disamina del fascicolo processuale, consentita dalla tipologia della doglianza formulata, consente di affermare la effettiva conoscenza dell'ordine di esibizione, il quale era stato comunicato al G.G. al momento stesso dell'Ispezione mediante il verbale redatto il 26/02/2016, dallo stesso sottoscritto e ricevuto, il che costituisce dato fattuale assorbente le censure sollevate in ordine alla legittimità della procedura di notificazione.
9.3. Sembra, poi, opportuno evidenziare che l'eccezione di nullità fondata sull'i-nesistenza del rapporto di convivenza con il familiare ricevente la notifica deve essere rigorosamente provata dall'Imputato che la invoca, non essendo sufficiente a tal fine l'allegazione di un certificato anagrafico di residenza in un luogo diverso da quello in cui è avvenuta la notifica, tanto più se vi sia uno stretto vincolo familiare tra questi ed il prenditore dell'atto (Sez. 3, n. 229 del 28/06/2017 - dep. 09/01/2018, Z, Rv. 272092). Dalla sentenza impugnata risulta testualmente che la notifica del sollecito è stata ricevuta da un "familiare convivente", senza che sul punto il G.G. abbia fornito alcuna prova contraria, limitandosi ad una mera allegazione del fatto contrario.
IO. Resta, infine, da esaminare il terzo ed ultimo motivo di ricorso, con cui il ricorrente, come dianzi illustrato, si duole del mancato riconoscimento della causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità, nonché del diniego delle attenuanti generiche.
Anche tale motivo di ricorso espone tuttavia il fianco al giudizio di inammissibilità.
10.1. Ed invero, quanto al mancato riconoscimento dell'art. 131-bis, cod. pen., il giudice di merito ne motiva il diniego rilevando che l'offesa al bene giuridico non potesse ritenersi tenue, non avendo l'imputato esibito la documentazione il cui controllo era necessario per verificare il rispetto della normativa in materia di sicurezza in ambito lavorativo. Orbene, osserva il Collegio, come, alla luce dell'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590). Nel caso di specie, il giudice di merito ha inteso negare l'applicazione dell'art. 131-bis, c.p. valorizzando in particolare l'entità del pericolo derivante dalla mancata ottemperanza all'ordine di esibizione, il cui assolvimento si rendeva necessario per verificare il rispetto della normativa in materia di sicurezza in ambito lavorativo. Che, del resto, il giudizio negativo circa il disvalore penale del fatto espresso dal giudice di merito risultasse palese, emerge in maniera limpida dal trattamento sanzionatorio riservato al fatto, avendo il giudice determinato la pena in € 500,00 di ammenda, ossia in misura prossima al massimo edittale (l'art. 4, u. co., legge n. 628 del 1961, infatti, individua la pena pecuniaria nel massimo in € 516,00). Né si rileva alcuna contraddittorietà nell'aver il giudice, al fine di giustificare l'irrogazione della pena pecuniaria, prevista in alternativa a quella detentiva, valorizzato lo stato di incensuratezza dell'imputato. Sul punto, infatti, merita di essere ricordato che i parametri di valutazione previsti dal comma primo dell'art. 131-bis cod. pen. hanno natura e struttura oggettiva (pena edittale, modalità e particolare tenuità della condotta, esiguità del danno), mentre quelli da valutare ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche sono prevalentemente collegati ai profili soggettivi del reo (v. tra le tante: Sez. 5, n. 45533 del 22/07/2016 - dep. 28/10/2016, Bianchini, Rv. 268307).
10.2. Ad analogo approdo deve pervenirsi, come anticipato, anche con riferimento alla censura attinente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice di merito, infatti, ne motiva il diniego evidenziando come non fossero venuti in rilievo utili elementi per riconoscerle. Premesso che, per giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017 - dep. 30/08/2017, Starace, Rv. 2709860), non rileva ai fini del riconoscimento dell'art. 62 bis, c.p., l'incensuratezza del reo, osserva il Collegio come nessuna contraddittorietà è ravvisabile nell'aver valutato l'incensuratezza per ritenere applicabile la sola pena pecuniaria, atteso che detta motivazione era unicamente richiesta al solo fine di giustificare la scelta della specie di pena applicabile. Come infatti affermato da questa Corte, il giudice, nell'esercizio del potere di scelta fra l'applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l'obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (tra le tante: Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 - dep. 29/01/2015, Ottino, Rv. 263201).
10.3. Né il vizio di contraddittorietà della motivazione è ravvisabile nell'aver il giudice di merito negato le invocate attenuanti e riconosciuto il beneficio di cui all'art. 163, c.p.
Sul punto, infatti, è stato più volte affermato che la valutazione favorevole del comportamento processuale dell'imputato, compiuta da giudice al fine di concedergli il beneficio della sospensione condizionale della pena non impedisce al giudice medesimo di rigettare l'istanza dello stesso imputato di applicazione delle attenuanti generiche, sul presupposto della gravità dei fatti contestatigli (Sez. 6, n. 8308 del 26/09/1984 - dep. 06/10/1984, Salice, Rv. 166005). Non vi è, infatti, incompatibilità tra la applicazione del beneficio della sospensione della pena ed il contestuale diniego delle attenuanti generiche, essendo diversi i presupposti giustificativi dei due istituti, che hanno finalità diverse, il primo mirando al ravvedimento del colpevole, nell'interesse suo e della collettività, tenendolo fuori dell'ambiente carcerario, il secondo all'adeguamento della pena al fatto e alla personalità del reo (Sez. 5, n. 1045 del 30/10/1981 - dep. 04/02/1982, Grillo, Rv. 151983).
11. Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 4 febbraio 2020