Cassazione Penale, Sez. 3, 06 novembre 2020, n. 30923 - Chi sono i soggetti che, sulla base della qualifica loro attribuita di "lavoratori", devono essere avviati dal "datore di lavoro" alla visita medica?
.M. è stato dichiarato, dal Tribunale di Treviso con sentenza del 23 settembre 2019, responsabile del reato di cui all'art. 18, comma 1, lettera g), del dlgs n. 81 del 2008 in quanto, in qualità di datore di lavoro, titolare di un'impresa individuale specializzata nello svolgimento di opere edili, aveva omesso di inviare un dipendente, tale B.F., il quale svolgeva un'attività comportante l'assunzione di rischi per la salute e la sicurezza, a visita medica secondo le scadenza programmate; egli era stato, pertanto, condannato alla pena di giustizia.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso in appello il C.M., deducendo 3 motivi di impugnazione: con il primo ha contestato la correttezza della valutazione del materiale probatorio nonché la valutazione operata dal Tribunale quanto alla qualifica di lavoratore da attribuire al B.F., cioè al soggetto non avviato alle visite mediche; egli, infatti, secondo la versione confermata dai testi escussi non era assolutamente un soggetto alle dipendenze dell'imputato ma era persona cui l'imputato aveva semplicemente chiesto un consiglio tecnico; egli pertanto non doveva essere sottoposto ad alcuna visita medica su indicazione dell'imputato.
Con il secondo motivo di ricorso è stata contestata la mancata concessione delle attenuanti generiche che, viceversa, potevano essere giustificate, ad avviso del ricorrente, in ragione delle ridottissime dimensioni della impresa gestita dall'imputato.
Infine, con il terzo motivo di ricorso è stata contestata la entità della pena inflitta in misura di euro 4.000,00 di ammenda, cioè non in prossimità della minima sanzione pecuniaria prevista per il reato in questione.
Diritto
Il ricorso è fondato nei termini che saranno di seguito illustrati.
Deve in primo luogo disporsi la conversione della presente impugnazione da ricorso in grado di appello, quale essa era stata originariamente formulata a ricorso per cassazione.
Invero, essendo la sentenza impugnata relativa alla condanna per contravvenzione ad una sola pena pecuniaria, essa non è suscettibile di essere impugnata in grado di merito; in considerazione, tuttavia, del principio del favor impugnationis il presente ricorso deve essere trattato alla stregua di un ricorso per cassazione, essendo questo l'unico mezzo di impugnazione consentito avverso la sentenza gravata.
Tanto premesso, rileva la Corte che è fondato il primo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la soggezione del C.M. al dovere di far sottoporre il B.F. alla visita medica di cui al capo di imputazione.
Osserva, infatti, il Collegio che la disposizione che si assume essere stata violata dal ricorrente prevede, per quanto ora interessa, sotto la comminatoria della sanzione penale che "il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all'articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: (...) g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l'osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto".
Si tratta, a questo punto, di verificare chi siano i soggetti che, sulla base della qualifica loro attribuita di "lavoratori", debbano essere avviati dal "datore di lavoro" alla visita medica entro le predette scadenze.
Osserva al riguardo la Corte che, sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia inteso attribuire alla qualifica in questione un'accezione piuttosto ampia, ad avviso di questo Collegio la medesima deve essere modulata in funzione della ratio che sottende alla singola norma.
Ed invero, osserva la Corte che - per quanto si sia affermato che la definizione di "lavoratore", di cui all'art. 2, comma primo, lett. a), del dlgs n. 81 del 2008, faccia leva sullo svolgimento dell'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale in forza della quale essa è prestata, e che essa è definizione più ampia di quelle previste dalla normativa pregressa, le quali si riferivano invece al "lavoratore subordinato" (art. 3 del dPR n. 547 del 1955) e alla "persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro" (art. 2, comma primo, lett. a, del dlgs n. 626 del 1994), ed, ancora, che a ciò consegue che, ai fini dell'applicazione delle norme incriminatrici previste nel citato dlgs n. 81 del 2008, rileva l'oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell'impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell'imprenditore, a prescindere dal fatto che il "lavoratore" possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo (Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 aprile 2017, n. 18396) - non può, tuttavia, non rilevarsi che, laddove una tale ampia accezione del concetto fosse indiscriminatamente ritenuta applicabile ad ogni tipo di relazione comportante lo svolgimento di un'attività astrattamente qualificabile come lavorativa in favore di un soggetto che, contestualmente, avrebbe acquisito la qualifica di "datore di lavoro", con la conseguente assunzione da parte di questo dei doveri (anche presidiati dalla sanzione penale laddove non ottemperati) dettati, per quanto ora interessa, dall'art. 18, comma 1, del ricordato dlgs n. 81 del 2008, il sistema della normativa testè citata presenterebbe delle evidenti incongruenze applicative.
Infatti, atteso che fra i doveri imposti dalla norma da ultima citata vi è, a titolo esemplificativo, quello di comunicare in via telematica all'INAIL e all'IPSEMA, nonché, per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all'articolo 8 del dlgs n. 81 del 2008, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l'assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell'evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza dal lavoro superiore a tre giorni (art. 18, comma 1, lettera r, del dlgs n. 81 del 2008), dovrebbe concludersi che, ove il rapporto di lavoro - perché ad esempio riguardante una prestazione occasionale eventualmente anche erogata a titolo di cortesia - abbia una durata inferiore a quella sopra indicata l'obbligo in questione non debba essere ottemperato.
Per converso, considerato che un ulteriore obbligo del datore di lavoro, attiene all'adempimento di una serie di doveri di informazione, formazione ed addestramento del lavoratore, appare evidente che gli stessi non siano compatibili con una tipologia di rapporto di lavoro - pur rientrante fra quelli implicati dalla normativa in questione ove si facesse indiscriminata applicazione dei principi sanciti da questa Corte con la citata sentenza n. 18396 del 2017 - che, data la brevità della sua durata e la qualificazione professionale richiesta nell'occasione al prestatore d'opera, presuppone che questi sia professionalmente già pienamente formato non essendo così giustificato un periodo di addestramento ulteriore rispetto al periodo in cui la prestazione lavorativa viene erogata.
D'altra parte questa stessa Corte ha, con opportuna puntualità, precisato, sia pure in una fattispecie non sovrapponibile alla presente ma esponendo un principio che appare comunque del tutto pertinente anche al caso in esame, che in tema di infortuni sul lavoro, al fine di accertare gli obblighi gravanti sul soggetto garante e l'estensione del rischio che il medesimo è tenuto a gestire, anche sotto il profilo della causazione dell'evento, è necessario che il giudice proceda alla valutazione della natura del rapporto di lavoro e della situazione fattuale sottostante (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 31 maggio 2017, n. 27035).
Operazione questa, cioè la valutazione concreta del tipo di relazione che era intervenuta fra il C.M. ed il B.F., che il Tribunale di Treviso ha del tutto omesso di fare o, quanto meno, non ha fatto sapendone trarre le opportune conseguenze.
Infatti, il Tribunale ha osservato che la presenza del B.F. presso il cantiere gestito dal C.M. è circostanza che "quale che fosse l'attività da costui in tal momento prestata, anche di mera consulenza occasionale" sarebbe tale da far ritenere riferibile ad essa la definizione di "lavoratore" stabilita all'art. 2 del dlgs n. 81 del 2008 ed a rendere, pertanto, cogenti nei confronti del datore di lavoro gli obblighi connessi alla citata qualifica sancito dal ricordato art. 18 del dlgs n. 81 del 2008.
Il principio in tal modo espresso dal Tribunale della Marca è, nel suo rigido schematismo, evidentemente inaccettabile.
Infatti, ove di aderisca, come il Tribunale ha fatto mostra di aderire, alla prospettazione secondo la quale il B.F. era presente sul cantiere ove sono intervenuti gli ispettori del lavoro (verificando in tale occasione che lo stesso B.F. non era stato avviato dal C.M. alla periodica visita medica prevista dal programma relativo alla sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro) in quanto richiesto dal C.M. di una occasionale consulenza, non vi è chi non veda la ultroneità, rispetto alla presente fattispecie, dell'adempimento da parte del C.M. dell'obbligo da lui non adempiuto.
Infatti, la disposizione che lo prevede, la quale impone, per quanto ora interessa, che il datore di lavoro provveda ad "inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria", deve essere intesa nel senso che il predetto obbligo sia riferito solo all'ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia caratterizzato da una certa durata nel tempo, posto che diversamente, ove la stessa si riferisse anche a prestazioni occasionali destinate ad esaurirsi uno actu, non avrebbe alcun senso il richiamo alle "scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria", le quali logicamente implicano una certa ampiezza del tempo in cui la prestazione lavorativa è svolta.
L'affermazione contenuta, invece, nella sentenza impugnata, secondo la quale anche la eventuale occasionalità del rapporto lavorativo avrebbe imposto al C.M. l'adempimento dell'obbligo di cui al capo di imputazione mina radicalmente, sotto il profilo della logica, l'interpretazione della normativa applicabile al caso, così viziando la motivazione della sentenza impugnata, che deve essere, pertanto, annullata, restando assorbiti i restanti motivi di impugnazione, con rinvio al Tribunale di Treviso che, in diversa composizione personale, valuterà, in conformità ai principi testé esposti, se la valutazione della natura del rapporto intercorso fra il C.M. ed il B.F. e quella della situazione fattuale ad esso sottostante giustifichino o meno l'attributo della doverosità in capo all'imputato dell'adempimento di quanto stabilito dalla disposizione che, secondo la ipotesi accusatoria, egli avrebbe violato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Treviso in diversa persona fisica.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020