Cassazione Penale, Sez. 3, 04 agosto 2020, n. 23506 - Infortunio con il miscelatore per granulati plastici privo di adeguata protezione. Responsabilità del socio amministratore
1. Con sentenza del 15 ottobre 2019 il Tribunale di Como ha condannato A.C.M. alla pena di 3.000,00 euro di ammenda, per aver commesso il reato di cui all'art. 87, comma 2, d.lgs. 81/2008, in relazione agli artt. 70, comma 2, e 71, comma 1, e al punto 6.1 dell'allegato V, del medesimo d.lgs. 81/2008 (per avere, quale socio amministratore della S.n.c. M. Materie Plastiche di M. Giacomo Ezio & C., messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non conformi ai requisiti di cui all'art. 70 d.lgs. 81/2008 e non idonee ai fini della salute e della sicurezza; in particolare la zona inferiore della macchina denominata "miscelatore per granulati plastici" era pericolosa in quanto consentiva ai lavoratori il raggiungimento, con gli arti superiori, degli organi lavoratori in moto; fino al 2 settembre 2015).
2. Avverso tale sentenza la A.C.M. ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione trattandosi di sentenza non appellabile, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo ha eccepito la prescrizione del reato contestatole.
Ha esposto che i fatti oggetto della imputazione erano emersi a seguito dell'infortunio sul lavoro occorso a un dipendente, C.L., il 29 maggio 2014, cosicché, dovendo computarsi da tale data il decorso del termine quinquennale di prescrizione della contravvenzione ascrittale, lo stesso doveva ritenersi interamente decorso, anche tenendo conto della circostanza che la società amministrata dalla ricorrente il 18 marzo 2015 aveva ceduto alla S.r.l. Smart Protections il ramo d'azienda (nell'ambito del quale era stata realizzata la condotta contestata), con la conseguenza che il suddetto termine quinquennale sarebbe comunque decorso nel marzo 2020.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato l'erroneità della affermazione della propria responsabilità, in considerazione della imprevedibilità e abnormità della condotta del lavoratore C.L. da cui aveva avuto origine l'accertamento della inidoneità, al fine della sicurezza sul lavoro, della macchina miscelatrice per granulati plastici.
Ha esposto che il lavoratore C.L. aveva prestato la propria attività alle dipendenze della S.n.c. M. Materie Plastiche di M. Giacomo Ezio & C., per il tramite di una agenzia interinale, per oltre due anni, e per tutto tale periodo aveva lavorato utilizzando il macchinario miscelatore oggetto della contestazione; tenuto conto del funzionamento di tale macchinario descritto dai testi escussi (mediante inserimento dall'alto di granulati plastici insieme ad altre sostanze, destinate a essere miscelate nel corpo centrale per poi essere scaricate nella parte inferiore), la cui zona di carico è protetta da un dispositivo di interblocco meccanico, suscettibile di arrestare il funzionamento della macchina in caso di mediante rimozione di una sorta di tappo, l'inserimento da parte del lavoratore delle mani all'interno del canale fino a raggiungere le parti meccaniche, al fine di velocizzare le operazioni di scarico, risultava del tutto improprio, cosicché da tale circostanza non poteva trarsi la conclusione che il macchinario fosse pericoloso; la movimentazione del materiale accumulatosi in eccesso avrebbe potuto essere eseguita, come avevano sempre fatto tutti i lavoratori della M. Materie Plastiche, arrestando il movimento delle lame, anziché inserendo, in maniera del tutto arbitraria e imprevedibile, la mano all'interno del vano di scarico del materiale a macchinario acceso; dall'utilizzo arbitrario e improprio di tale macchinario non avrebbe potuto, dunque, farsi derivare la responsabilità della ricorrente.
2.3. Infine, con un terzo motivo, ha lamentato l'eccessività della pena e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per non essere stati adeguatamente considerati la non più giovane età della ricorrente e il corretto adempimento da parte sua dei propri obblighi di garante della sicurezza dei lavoratori, in relazione ai quali si era anche avvalsa di un soggetto terzo specializzato nelle materie della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, la S.a.s. Politecna, che dopo le opportune analisi aveva ritenuto di non valutare il rischio legato al miscelatore di granuli plastici oggetto della contestazione.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo, volto unicamente a far valere l'avvenuto decorso del termine di prescrizione del reato ascritto alla ricorrente successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (trattandosi di reato permanente, consistito nell'aver messo a disposizione dei lavoratori un macchinario privo dei necessari dispositivi di protezione, contestato come commesso fino al 2 settembre 2015 e, comunque, in relazione al quale non risulta che la condotta sia cessata anteriormente alla cessione del ramo d'azienda avvenuta il 18 marzo 2015, con la conseguente decorrenza del termine quinquennale di prescrizione quantomeno da tale data e il suo compimento il 18 marzo 2020, successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata), è inammissibile, sia a causa della sua genericità, essendo privo di qualsiasi analisi della condotta così come contestata e della collocazione cronologica della sua cessazione; sia perché non è volto a censurare il provvedimento impugnato o un errore od omissione del primo giudice, ma solamente a far valere un fatto, il decorso di detto termine, successivo alla decisione sfavorevole, e dunque non è riconducibile ad alcuno dei casi di ricorso per cassazione, posto che il giudizio di legittimità è strutturato nella forma della critica vincolata, che richiede cioè la deduzione di uno dei vizi tassativamente previsti dall'art. 606 cod. proc. pen., cosicché la sola deduzione del decorso del tempo e della verificazione della estinzione del reato successivamente al provvedimento impugnato non può essere ritenuto motivo ammissibile di ricorso per cassazione.
3. Il secondo motivo è inammissibile, sia perché è volto a censurare la ricostruzione del fatto e, in particolare, l'accertamento della non conformità del macchinario oggetto della contestazione alle disposizioni volte a salvaguardare la sicurezza dei lavoratori; sia perché è manifestamente infondato.
Mediante la doglianza in esame la ricorrente tende, in modo non consentito nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, e.e. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099;
Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716), a censurare, attraverso una rilettura delle deposizioni testimoniali, in ordine alla conformità del macchinario alle disposizioni di sicurezza e alla prassi esistente tra i lavoratori dell'impresa amministrata dalla ricorrente per accedere alle parti meccaniche del macchinario (preceduto sempre dall'arresto delle lame), quanto accertato dal Tribunale in ordine alla non conformità del macchinario in questione alle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro.
Al riguardo, infatti, il Tribunale ha evidenziato, sulla base di quanto accertato in occasione del sopralluogo presso lo stabilimento della M. Materie Plastiche a seguito dell'infortunio occorso al lavoratore C.L., che detto macchinario era dotato di un dispositivo di protezione solamente nella parte superiore di carico (in corrispondenza del quale era presente un dispositivo di interblocco meccanico, idoneo ad arrestare il funzionamento della macchina in caso di apertura), ma non anche nella zona di scarico, accessibile al lavoratore anche con il macchinario in funzione, previa rimozione di una sorta di tappo, tanto che il C.L., allo scopo di rimuovere una ostruzione che impediva il funzionamento del macchinario, aveva aperto il canale di scarico mentre il miscelatore era in funzione, riportando un trauma da schiacciamento della mano destra.
Nè è stata, quindi, desunta, in modo logico, la non conformità del macchinario alla prescrizione di cui al punto 6.1. dell'allegato V al d.lgs. 81/2008, secondo cui, nel caso in cui gli elementi mobili di una attrezzatura di lavoro presentino rischi di contatto meccanico che possano causare incidenti, devono essere adottate protezioni o sistemi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione.
Tali rilievi, pienamente idonei a giustificare l'affermazione di responsabilità in ordine alla contravvenzione ascritta alla ricorrente, sono da quest'ultima stati censurati sul piano della ricostruzione delle modalità di funzionamento del macchinario e delle prassi esistenti all'interno dell'impresa dalla stessa amministrata, nonostante la piena logicità delle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale, coerenti con gli elementi emersi dall'istruttoria, di cui la ricorrente ha proposto una non consentita rivisitazione sul piano del merito.
Le doglianze della ricorrente sono, inoltre, manifestamente infondate, in quanto essa ha allegato l'abnormità e l'imprevedibilità della condotta del lavoratore infortunato, che se può assumere astrattamente rilievo con riferimento all'infortunio (anche se ciò è stato comunque escluso dal Tribunale), è del tutto priva di rilievo di fronte al dato oggettivo della insicurezza del macchinario, di cui la ricorrente era a conoscenza, come emerso da quanto risultante dal documento di valutazione dei rischi richiamato dal Tribunale.
Ne consegue, in definitiva, l'inammissibilità delle doglianze della ricorrente.
4. Il terzo motivo, relativo alla misura della pena e alle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
Attraverso la doglianza relativa alla misura della pena la ricorrente ha censurato, in realtà, una valutazione di merito compiuta dal Tribunale che, nel sottolineare sia la gravità della colpa (in considerazione della piena consapevolezza della irregolarità del macchinario e della sua pericolosità), sia la negativa personalità della ricorrente (alla luce dei precedenti penali specifici), ha dato conto in maniera sufficiente degli elementi ritenuti preponderanti tra quelli di cui all'art. 133 cod. pen. per addivenire alla determinazione della pena: tale valutazione non è sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità, ed è stata adeguatamente motivata, in quanto la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, cosicché l'obbligo della motivazione deve ritenersi compiutamente osservato quando il giudice, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva, giacché ciò dimostra che egli ha considerato, sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi di appello (sez. 6, n. 10273 del 20.5. 1989 Rv 181825).
La doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondata, in quanto, anche a questo proposito, il Tribunale, con la sottolineatura della negativa personalità dell'imputata, ha dato conto degli elementi, tra quelli di cui all'art. 133 cod. pen., ritenuti di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell'imputata medesima.
La ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell'imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell'imputato (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell'Anna, Rv. 227142).
L'obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato. Essa, inoltre, può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del fatto e nella valutazione negativa della personalità dell'imputato, essendo compresa in tale giudizio l'indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilità di dette attenuanti.
5. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, stante la genericità, il contenuto non consentito e la manifesta infondatezza di tutti i motivi cui è stato affidato.
L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. Un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv 231164 e Sez. Un. 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalera, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 23/7/2020