Cassazione Penale, Sez. 1, 20 febbraio 2020, n. 6724 - Falsa attestazione, da parte del medico minacciato, sul decesso conseguenza di infortunio sul lavoro. La verità era un'altra

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

Fatto
1. Con sentenza del 5 luglio 2018 la Corte di assise di appello di Napoli ha confermato, per quel che interessa in questa sede, la pronuncia con cui la Corte di assise di Avelino, in data 2.12.2016, aveva riconosciuto, K.L.E. colpevole, in concorso con A.G., successivamente deceduto, del delitto di omicidio commesso ai danni del coniuge, C.I., e di violazione di sigilli nonché G.A. e la stessa K.L.E. colpevoli del reato di cui agli artt. 110, 54, comma 3, e 479 cod. pen. per avere, in concorso tra loro oltre che con l'G.A., usato una serie di pressioni e minacce per costringere il pubblico ufficiale R.C.D., in servizio presso la Guardia medica di Lauro, a compiere atti contrari al suo dovere ed in particolare a redigere una denuncia di morte del C.I., contenente la falsa attestazione di «causa accidentale da trauma cranico conseguente ad alcolismo cronico», con relativa scheda di morte ISTAT, contenente analoghe false attestazioni. Per l'effetto, la Corte di assise di appello aveva confermato anche il trattamento sanzionatorio, determinato dalla Corte irpina per K.L.E. in anni 25 di reclusione e per G.A. in anni 2 di reclusione.
Con specifico riferimento all'imputazione di falso documentale, contestata nel capo D) della rubrica, i giudici di merito, valorizzando la deposizione testimoniale resa dal R.C.D., avevano, con valutazioni conformi, ritenuta fondata l'ipotesi di accusa secondo cui il G.A., insieme con i correi, aveva contributo a creare il clima di tensione che aveva costretto il medico a redigere la denuncia di morte del cittadino polacco, con relativa scheda ISTAT, attestando falsamente la natura accidentale del decesso nonostante si trattasse di una versione dubbia o comunque non evidente.
2. Avverso la sentenza K.L.E. e G.A., per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione.
3. La K.L.E. ha dedotto sette motivi con i quali denuncia:
- violazione dell'art. 143 cod. proc. pen., dolendosi, in particolare, di non essere stata messa in condizione di partecipare al processo di primo grado per l'omessa traduzione dei principali atti processuali;
- violazione degli artt. 192 e 456 lett. e) cod. proc. pen., per l'impossibilità di individuare i criteri adottati per la valutazione della prova indiziaria;
- violazione dell'art. 603 cod. proc. pen., in ragione della decisione della Corte di appello di non procedere alla rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale con l'escussione del teste A.F.;
- mancanza di motivazione in ordine alla causa della morte della vittima;
- illogicità della motivazione in base alla quale era stato ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del reato omicidiario;
- falsa applicazione dell'art. 349 cod. pen.;
- travisamento dei fatti ed errore nella valutazione della prova con riferimento al reato di cui all'art.479 cod. pen.; erronea determinazione della pena.
4. G.A. ha affidato il suo ricorso a quattro motivi.
4.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza degli elementi costituivi della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 479 cod. pen.
Nonostante il reato di falso ideologico richieda, sul piano oggettivo, l'attestazione di un fatto non veritiero e, sul piano soggettivo, la coscienza e volontà dell'immutatio veri, la sentenza impugnata non si sarebbe occupata di verificare, attraverso il puntale esame di tutte le circostanze estrinseche dell'azione dotate di valore sintomatico, se la contestata falsità sia dovuta ad una leggerezza dell'agente o ad una incerta ed errata valutazione di tipo scientifico. La evidenziata carenza motivazionale sarebbe particolarmente grave perché l'unica prova utilizzata per la ricostruzione della vicenda, la deposizione testimoniale del medico R.C.D., deporrebbe in senso nettamente contrario all'ipotesi di accusa; il testimone, infatti, avrebbe affermato che la indicazione sulla natura accidentale della morte, contenuta nel certificato oggetto di falsificazione, costituiva l'esplicitazione di quanto egli stesso, in scienza e coscienza, aveva ritenuto al momento dell'esame del cadavere. Non sussisterebbe, quindi, né in capo a colui che aveva esercitato la pressione né, di conseguenza, in capo alla persona costretta il dolo del reato di falso ideologico.
4.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, con riferimento all'applicazione dell'art. 54 cod. pen.
La Corte di assise di appello avrebbe attributo alla deposizione del teste R.C.D. un significato completamente diverso da quello reale; il professionista avrebbe, infatti, affermato di essere stato convinto della veridicità di quanto andava a certificare e di avere voluto avvisare i Carabinieri non perché sottoposto a pressioni o ad altre forme di coartazione, ma soltanto per maggiore sicurezza. Non ricorrerebbe, pertanto la causa di esclusione dell'antigiuridicità del fatto prevista dall'art. 54, comma 3, cod. pen. che richiede una condotta di costrizione idonea ad annullare la libertà di autodeterminazione dell'agente, il quale nel caso di specie, proprio perché non sottoposto ad alcuna pressione, aveva rilasciato il certificato, ritenuto falso, non nel luogo dove erano state operate le richieste insistenti, ma all'interno della Stazione dei Carabinieri, solo dopo avere avvisato le Forze dell'ordine, quindi nella conclamata assenza dei requisiti della necessità di salvarsi e dell'inevitabilità altrimenti del pericolo.
4.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione nonché travisamento della prova con riferimento alla condotta concorsuale ritenuta a carico dell'imputato.
L'accertamento di responsabilità farebbe perno, in via esclusiva, sulla sibillina espressione pronunciata dal teste R.C.D. secondo cui anche il G.A. aveva fatto «voce comune» con gli altri presenti; i giudici di merito non avrebbero, però, chiarito il contributo causale fornito alla condotta delittuosa ben potendosi qualificare la sua condotta non come un comportamento materiale esteriore facilitatore rispetto alla complessiva azione criminosa, bensì come semplice adesione morale alla condotta illecita altrui.
In ogni caso, sarebbe stata attribuita alla deposizione del teste R.C.D. un significato erroneo. A fronte alla affermazione chiara e netta con il cui R.C.D., rispondendo ad una precisa domanda, aveva escluso qualunque pressione del G.A., è stata valorizzata una frase pronunziata dal testimone che, riferendosi alla condotta tenuta dal G.A. in occasione della richiesta del certificato, aveva parlato di pressante insistenza senza tuttavia contestualizzarla cronologicamente, sicché non sarebbe neanche possibile stabilire se il G.A. avesse avanzato dette richieste insistenti in presenza degli altri correi o da solo, durante l'accompagnamento del R.C.D. presso la stazione dei Carabinieri, e, più in radice, se il G.A. fosse in possesso di informazioni precise sulla causa della morte del cittadino polacco.
4.4. Con il quarto ed ultimo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione nonché travisamento della prova con riferimento al trattamento sanzionatorio che sarebbe stato determinato senza la preventiva individuazione del contributo fornito dall'imputato alla consumazione del reato, in ipotesi valutabile o come di minima importanza ai sensi dell'art. 114 cod. pen. o come idoneo a fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.




Diritto




1. All'udienza del 17.10.2019 è stato acquisito il certificato redatto dall'ufficiale di stato civile del comune di Solofra attestante la morte in data 25.3.2019 dell'imputata K.L.E., pertanto, avendo verificato la causa di estinzione del reato di cui all'art. 172 c.p., deve procedersi, con riferimento alla posizione processuale di quest'ultima, all’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio ai sensi dell'art. 620 c. 1 lett. a) cod. proc. pen.; la morte dell'imputato intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione determina la cessazione del sottostante rapporto processuale e preclude ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 49783 del 24/09/2009, Martinenghi, Rv. 245162, Sez. 3, n. 23906 del 12/05/2016, Patti, Rv. 267384).
2. Il ricorso proposto dal G.A. appare quantomeno infondato sicché deve essere rigettato.
2.1. La sentenza impugnata, contrariamente a quanto dedotto nel primo motivo, ha fatto buon governo dei principi in materia di prova dell'elemento soggettivo nel reato di falso documentale.
E' pacifico che l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell'integrazione del delitto di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici è il dolo generico; esso consiste nella consapevolezza della «immutatici veri», non essendo richiesto l'«animus nocendi vel decipiendi»; non si tratta, tuttavia, di un dolo in «re ipsa», in quanto deve essere provato, dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza dell'agente (cfr. Sez. 5, n. 29764 del 3/6/ 2010, Zago, Rv. 248264).
Con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede perché condotto in applicazione di criteri di valutazione delle richiamate risultanze probatorie, in particolare della testimonianza resa dal R.C.D., né manifestamente illogici né irrazionali, la Corte di assise di appello partenopea ha ritenuto che il medico si sia determinato a redigere la attestazione relativa alla morte accidentale di C.I., quale conseguenza di un infortunio su lavoro, non perché convinto della sua veridicità o fondatezza, a causa di un errore di valutazione o per semplice leggerezza, ma soltanto per aderire - senza alcun approfondimento tecnico - scientifico sia pure condotto, come richiesto dal tipo di certificazione, in termini di evidenza e di constatazione - alla prospettazione esternatagli, in termini perentori, dagli imputati e quindi anche dall'odierno ricorrente e, in tal modo, evitare le ripercussioni negative sulla sua persona minacciata in forma implicita ma inequivoca.
2.2. Il secondo motivo è parimenti infondato.
La Corte di assise di appello, ancora una volta attraverso una valutazione della prova testimoniale, insindacabile in sede di legittimità, fondata sul significato complessivo della deposizione del teste R.C.D. e non su alcune singole espressioni considerate volutamente equivoche nel tentativo di edulcorare la portata dell'accaduto, è pervenuta alla conclusione che il R.C.D. abbia redatto l'atto falso solo perché costretto ai sensi dell'art. 54, comma 3, cod. pen. dalle minacce profferite da più persone, tra cui l'odierno ricorrente, e dotate di elevata serietà perché allusive anche a ripercussioni sulla sua integrità fisica.
Detta conclusione è giuridicamente ineccepibile; la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito come anche l'altrui minaccia può rappresentare un possibile fattore causale determinante lo stato di necessità, ai sensi dell’art. 54 comma terzo, cod. pen. purché, come accertato nel caso in esame, possieda i caratteri concreti di gravità, serietà e consistenza, senza necessità di essere necessariamente accompagnata da condotte immediatamente lesive, e sia, alla stregua della previsione di cui all'art. 54, comma primo, cod. pen, proporzionata nel senso che il suo oggetto (nella specie la prospettata aggressione alla integrità fisica) sia idoneo a determinare la coartazione psichica del soggetto cui è stata rivolta (Sez. 1, n. 53386 del 14/06/2018, Martucci, Rv. 274541). L'altrui minaccia, inoltre può mantenere la sua efficacia condizionante anche in condizioni di assenza del soggetto autore della medesima, senza che ciò determini l’assenza di attualità del pericolo di cui all’alt. 54 comma 1 cod. pen.
3.3. Anche il terzo motivo relativo alla condotta concorsuale è privo di pregio.
La Corte distrettuale ha individuato il preciso contributo fornito dal G.A. alla condotta illecita evidenziando come lo stesso non solo aveva proferito le minacce verbali, facendo «voce comune» con gli altri correi, ma, all'evidente fine di mantenere il clima di tensione necessario ad ottenere la redazione del certificato con la falsa attestazione, aveva accompagnato il R.C.D. fino alla caserma dove quest'ultimo, ancora spaventato, aveva portato a termine la condotta oggetto della coazione morale.
3.4. Il quarto motivo relativo al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanza attenuante previste dall'art. 114 cod. pen. e dall'art. 62 bis cod. pen. è generico ed aspecifico perché non tiene in alcun conto della ricostruzione dei giudici di merito secondo i quali il contributo apportato dal G.A. alla consumazione del reato era stato identico a quello dei correi; detta valutazione, implicitamente ma inequivocabilmente, esclude in radice la possibilità di qualificare la condotta concorsuale del G.A. di minima importanza e di valorizzarla ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche in assenza di altri elementi positivi, invero nemmeno menzionati dalla difesa ricorrente.
4. La reiezione del ricorso importa, a norma dell'art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata da K.L.E. per essere il reato estinto per morte della stessa imputata. Rigetta il ricorso di G.A. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma il 17 ottobre 2019.


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