Cassazione Penale, Sez. 5, 03 febbraio 2020, n. 4448 - Dimissioni dall'incarico di coordinatore per "inadempimento contrattuale" nella missiva. Nessuna lesione della reputazione della committente
Fatto
1. Con sentenza del 10/4/2018 il Tribunale di Asti ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Alba del 14/3/2017 con la quale G.F. e F.R. erano stati condannati, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 400 di multa oltreché in solido al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, liquidato in complessivi 3000,00, per il reato di cui all'art. 595 c.p., per avere, comunicando con più persone (ossia oltre al Cubo s.r.l., con la M. Costruzioni, il geom. B., il Comune di Guarene e l'ing. R.), mediante l'invio della missiva datata 26.3.2014, a mezzo di posta elettronica certificata, offeso la reputazione della società il Cubo s.r.l., nelle persone di M. Angelo e I. Renato, rispettivamente amministratore delegato e presidente del c.d.a, attribuendo la ragione delle dimissioni rassegnate a "inadempienze contrattuali da parte della committente il Cubo s.r.l.".
2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore di fiducia, deducendo:
-con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all'art 606, primo comma, lett e) c.p.p., per erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 595 c.p.; in particolare, difetta nella fattispecie in esame l'elemento oggettivo e segnatamente: la comunicazione con più persone -non essendo stata la lettera inviata ad un numero indiscriminato di soggetti, bensì solo ai soggetti a cui necessariamente per legge dovevano essere comunicate le avvenute dimissioni dall'incarico di Coordinatore per la Sicurezza in fase di progettazione dei lavori e di Coordinatore in fase di esecuzione dei lavori-; la violazione del limite della continenza; la non veridicità della comunicazione contenuta nella missiva- non avendo il giudice d'appello considerato la deposizione della teste M., addetta alla contabilità nello studio G.F.; inoltre, difetta l'elemento soggettivo del dolo, sia pur generico, atteso che con la missiva in questione i ricorrenti si sono limitati ad evidenziare che le dimissioni erano legate ad inadempienze contrattuali e non a violazioni di legge (mancanza dei requisiti di sicurezza) in relazione al disposto di cui all'art. 92 del D.Lgvo 81/2008;
-con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all'art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p., per violazione degli artt. 92 e 99 del d.lgs 81/08; invero, il giudice di appello ha rilevato che l'inoltro della lettera agli enti preposti con la motivazione ivi riportata sarebbe stata suscettibile di ledere la credibilità professionale della società "Il cubo s.r.l.", atteso che proprio in ragione delle affermazioni di cui al documento incriminato seguivano controlli da parte dello Spresal e dell'Ispettorato del lavoro presso i due cantieri, ma con tale valutazione omette di considerare che, ai sensi degli artt. 92 e 99 del d. lgs. n. 81 del 2008, è previsto l'obbligo di comunicare le dimissioni agli enti preposti, sicché nella fattispecie trattavasi di comunicazione doverosa e necessaria;
- con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all'art. 606, primo comma, lett b) c.p.p., per violazione di legge in punto di risarcimento danni; invero, il giudice di prime cure è incorso in errore di legge nella liquidazione dei danni, in quanto, pur essendo costituita parte civile la società il Cubo s.r.l., ha liquidato il risarcimento dei danni non già a favore di detta società, ma a favore dei signori M. e I.; l'importo di € 3000,00 doveva essere liquidato alla società indipendentemente dal numero dei soci o legali rappresentanti invece che essere rapportato al numero dei legali rappresentanti
Diritto
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
1. Va premesso che in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Rv. 256706).
1.1. Tanto premesso, si osserva nella fattispecie in esame, in linea con quanto dedotto con il primo motivo di ricorso, difetta l'offesa dell'altrui reputazione.
Invero, agli imputati ing. F.R. e G.F. dell'omonimo "studio professionale G.F."- aventi una relazione professionale con la società il Cubo s.r.l. al fine di curare per conto della stessa il coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione di lavori- risulta contestato, come innanzi evidenziato, l'avere inviato a più soggetti, oltre alla suddetta società, una missiva a mezzo di posta elettronica certificata, con la quale essi ascrivevano le dimissioni dall'incarico loro affidato dalla Cubo ad "inadempienze contrattuali" da parte della committente.
1.2. La sentenza impugnata, in linea con quanto rilevato dalla sentenza di primo grado, ha evidenziato, tra l'altro, come, "al di là della fondatezza o meno della notizia diffusa" (ossia le inadempienze contrattuali da parte del committente il Cubo s.r.l.), il tenore offensivo dell'affermazione oggetto di imputazione emerga con evidenza, ledendo la credibilità della società il Cubo s.r.l., atteso che proprio in ragione delle affermazioni di cui al documento incriminato seguivano controlli da parte dello Spresal e dell'Ispettorato del lavoro presso i due cantieri, l'uno seguito dallo studio G.F. e l'altro da M.S., che, dopo le dimissioni dello studio G.F. assumeva l'incarico di seguire la sicurezza anche per il primo cantiere; inoltre, la portata lesiva delle dichiarazioni per cui è processo, secondo quanto correttamente evidenziato dal Giudice di prime cure, è stata amplificata dal contesto in cui si sono svolti i fatti, ossia una realtà locale ristretta e perciò caratterizzata da rapporti di diretta conoscenza e affidabilità tra le parti coinvolte.
1.3. Tale valutazione merita censura, sulla base di quanto si evidenzierà. Ed invero, il bene giuridico tutelato dalla norma ex art. 595 c.p., è l'onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (alias reputazione) di ciascun cittadino e l'evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (Sez. 5, n. 5654 del 19/10/2012). La capacità di essere titolari dell'onore sociale e di essere soggetti passivi del reato non può essere esclusa nei confronti di entità giuridiche collettive o di fatto, in quanto rappresentative di un interesse collettivo unitario ed indivisibile in relazione alla finalità perseguita, oltreché degli interessi dei singoli componenti. Invero, è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che non solo una persona fisica, possa rivestire la qualifica di persona offesa dal reato: è, infatti, concettualmente ammissibile l'esistenza di un onore e decoro collettivo, quale bene morale di tutti gli associati o membri, considerati come unitaria entità, capace di percepire l'offesa (Cass. 23.2.88 n. 3756, Rv 177953; Cass. 16.3.92 n. 2886, Rv 189101; Cass.27.4.98 n. 4982, Rv 210601; Sez. 5A, 07/10/1998, n. 12744), sicché possono costituire soggetto passivo del reato di diffamazione una comunità religiosa (Sez. 5, Sentenza n. 2817 del 16/01/1986), un partito politico (Sez. 5, Sentenza n. 2886 del 24/01/1992), un Consiglio dell'Ordine (Cass, Pen., sez. 5A, n. 1188 del 26-10-2001), uno studio professionale (Sez. 5, Sentenza n. 16281 del 16/03/2010), una società di capitali (Sez. 5, Sentenza n. 19368 del 14/02/2006. Imp. Zunino. Rv. 234539), sia come riflesso all'offesa recato ad un singolo componente, sia come offesa portata direttamente all'ente Sez. 5, Sentenza n. 43184 del 21/09/2012 Rv. 253773).
1.4. La divulgazione offensiva può non riguardare solo "comportamenti riferiti alla parte lesa", ma anche notizie, comunque, idonee ad intaccare l'opinione dell'entità collettiva tra il pubblico dei consociati. Pertanto, non solo "atti" posti in essere dalla persona offesa, ma anche abitudini, attitudini e qualità (negative, ovviamente) ad essa attribuite e persino situazioni equivoche in cui venga indebitamente collocata possono essere idonei ad offendere il bene protetto e, quindi, a integrare il reato, in quanto trattasi di reato a forma libera. Allorché, poi, si tratti di un ente commerciale, la nozione di reputazione deve ritenersi comprensiva anche del profilo connesso all’attività economica svolta dall'ente e alla considerazione che essa ottiene nel gruppo sociale, sicché la condotta lesiva può attenere anche al buon nome commerciale del soggetto giuridico (Sez. 5, n. 43184 del 21/09/2012 Rv. 253773).
1.5. Tenuto conto dei suddetti principi nella fattispecie in esame deve concludersi che l'affermazione degli imputati oggetto di contestazione non possa ritenersi oggettivamente lesiva della reputazione della società il Cubo, stante la sua genericità, il contesto nel quale è inserita e le incontestate finalità di essa, come indicate senza contestazioni dai ricorrenti, ossia dar conto anche agli enti pubblici delle ragioni delle dimissioni dall'incarico loro conferito. Invero, l'imputazione ad un ente collettivo di un non meglio precisato "inadempimento contrattuale" non contiene una carica dispregiativa, tale da essere immediatamente avvertita nel comune sentire, come espressione della volontà di aggredire la reputazione dell'ente commerciale destinatario dell'affermazione, assumendo, invece, tale concetto - specie nella vicenda in esame, in assenza di ulteriori espressioni che si accompagnino all'affermazione in contestazione- una valenza del tutto neutra. Ciò soprattutto in considerazione del complesso significato del concetto di "inadempimento contrattuale", come disegnato dal legislatore all'art. 1218 cod.civ., che non implica sempre e necessariamente la responsabilità del debitore. Infatti, il debitore è responsabile dell'inadempimento, a meno che esso derivi da impossibilità della prestazione a lui non imputabile, ben potendo questi trovarsi nell'impossibilità di adempiere, in base a plurimi fattori, da verificare anche in relazione alla buona fede. L'ulteriore passaggio contenuto nella sentenza impugnata -secondo cui la notizia diffusa deve ritenersi suscettibile di ledere la credibilità professionale della società il Cubo s.r.l., tenuto conto del fatto che, in ragione delle affermazioni di cui alla missiva in contestazione, seguivano controlli da parte della Spresal e dell'Ispettorato del lavoro- si presenta ultronea, dovendo essere valutata la portata lesiva della missiva in contestazione in sé e non certo per le sue successive implicazioni e conseguenze tecniche, scaturite, secondo l'assunto degli imputati, dalla mera comunicazione delle dimissioni.
2. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Così deciso il 16.10.2019