Cassazione Penale, Sez. 4, 25 gennaio 2021, n. 2844 - Responsabilità del socio accomandatario per la morte per mesotelioma pleurico dell'addetta ai telai e presse del tessuto in amianto. Prescrizione e successione di leggi penali
1. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Torino ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata dichiarata, nei confronti di V.R., l'estinzione, per prescrizione, del reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen., perché, in qualità di socio accomandatario della F.I. N.A.F.F., dal 1974 al 1978, il V.R. cagionava la morte, avvenuta il 7 ottobre 2010, per mesotelioma pleurico, di A.S.D., dipendente della predetta impresa dal 1961 al 1980, addetta ai telai e presse del tessuto in amianto trattato e quindi esposta ad inalazioni di amianto, per colpa consistita nell' omettere di adottare tutti i provvedimenti tecnici e organizzativi, procedurali e igienici, necessari per contenere l'esposizione all'amianto (impianti localizzati di aspirazione e manutenzione degli stessi; limitazione dei tempi di esposizione; procedure di lavoro atte ad evitare la manipolazione manuale, lo sviluppo e la diffusione dell'amianto; pulizia dei locali chiusi); nell'omettere di curare la fornitura e l'effettivo impiego di idonei mezzi personali di protezione, di sottoporre la lavoratrice ad adeguati controlli sanitari, mirati sui rischi specifici da amianto, di informarsi e di informare e addestrare la dipendente circa tali rischi specifici e circa le misure per ovviare ad essi.
2. Il Procuratore generale ricorrente deduce violazione di legge, poiché erroneamente è stata dichiarata la prescrizione del reato, in quanto i pubblici poteri possono perseguire un illecito solo nel momento in cui l'evento si verifica. Nelle malattie professionali ciò avviene con il decesso del lavoratore derivante dalla patologia causalmente connessa all'esposizione lavorativa dal medesimo subita. Non si può dunque parlare di inerzia o di rinuncia alla pretesa punitiva da parte dei pubblici poteri. Sulla base di questa considerazione il legislatore, per determinate categorie di reati, fra cui l'omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha previsto il raddoppio dei termini prescrizionali, senza che, come ritenuto in giurisprudenza, ciò violi il principio di ragionevolezza e di uguaglianza, tanto più se si tratta di reati di evento in cui la violazione delle norme cautelari si è protratta per un periodo rilevante, con una condotta perdurante nel tempo, e se l'evento, per sua stessa natura, presenta un periodo di latenza necessariamente rilevante, posto che, nel caso delle malattie professionali, queste ultime si verificano a distanza addirittura di decenni dalla condotta tenuta dal soggetto agente. Anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 265 del 2017, ha rilevato che soluzioni ampliative dei termini di prescrizione ordinari possono essere giustificate sia dal particolare allarme sociale ingenerato da alcuni tipi di reato sia dalla particolare complessità delle indagini richieste per il loro accertamento, cui corrisponde un fisiologico prolungamento dei tempi necessari per pervenire al giudicato. È pertanto ragionevole che il legislatore si faccia carico dell'eventualità che il termine di prescrizione risultante dall'applicazione delle regole ordinarie non consenta, anche quando il procedimento penale prenda tempestivamente avvio, di pervenire alla pronuncia definitiva prima dell'estinzione del reato. Il legislatore, poi, negli ultimi anni, in una serie di interventi, ha rafforzato la tutela della vittima del reato, conformemente anche al Trattato di Lanzarote, introducendo, ad esempio, nel tessuto dell'ordinamento gli artt. 410 bis e 335 comma 3 ter cod. proc. pen. Ciò va nella direzione tracciata dalla decisione quadro del Consiglio di Europa 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, che ha delineato i diritti e le facoltà delle vittime dei reati. Adottare dunque un'interpretazione dell'istituto della prescrizione che assicuri la punibilità dei delitti di omicidio colposo, almeno per quanto concerne reati di elevato impatto sociale, come quelli in esame, con condotte protratte nel tempo e tenute in spregio ad ogni norma prevenzionale e cautelare, in un ambito sensibile come quello della tutela delle condizioni di igiene del lavoro, si pone in linea con le ragioni delle vittime di tale tipologia di reati e nell'alveo di una lettura costituzionalmente orientata. Adottando l'interpretazione fatta propria dalla Corte d'appello si giungerebbe ad una sostanziale impunità per tutte le vicende relative ad amianto, poiché solo in anni risalenti si sono verificate le condotte in disamina. Si priva così di ogni significato l'insorgere della malattia, collegando, in maniera erronea, l'operare della prescrizione alle semplici - e all'epoca neutre - condotte poste in essere. Se può apparire accettabile il dictum di Sezioni unite Pittalà con riferimento ad eventi normalmente ravvicinati rispetto alla condotta, non altrettanto può dirsi nel tema in esame, in cui non vi è stato un significativo intervento sul profilo sanzionatorio, ragion per cui spostare la lancetta della prescrizione a decenni prima genera un vulnus a tutta una serie di principi costituzionali, a partire dalla tutela del diritto alla salute nei luoghi di lavoro, determinando la sostanziale vanificazione delle previsioni incriminatrici, con una soluzione di palese irragionevolezza e in violazione del principio di eguale trattamento di posizioni analoghe. Infatti, mentre nei reati di lesioni e omicidio aggravati dalle violazioni antinfortunistiche, che si presentino in termini di "differimento contenuto" tra condotta ed evento, si avranno termini di prescrizione "capienti" rispetto alla celebrazione del processo, relativamente ad eventi più insidiosi e gravi, come quello delle morti da amianto, si genera una clausola di sostanziale impunità.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
l. La doglianza formulata è infondata. Come è noto, le Sezioni unite hanno stabilito che, in tema di successione di leggi penali, nel caso in cui l'evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore all'epoca in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento di quest'ultima, annullando, conseguentemente, la sentenza di patteggiamento con cui era stata applicata la pena più severa introdotta dalla norma di cui all'art. 589-bis cod. pen., entrata in vigore medio tempore, prima della verificazione dell'evento lesivo (Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Rv. 273934). Occorre dunque interrogarsi sull'ambito di applicabilità di tale principio, onde stabilire se esso possa o meno estendersi alla normativa in tema di prescrizione. Orbene, al riguardo, non sembra potersi prescindere dalla considerazione che il canone costituzionale di cui all'art. 25, comma 2, Cost., che impedisce che una disciplina successiva più sfavorevole possa applicarsi alle condotte poste in essere sotto il vigore di una legge meno severa, nell'ottica delineata da Sezioni unite Pittalà, riguarda tutti gli istituti di diritto sostanziale che concorrono a delineare l'area dell'illecito penale e le risposte sanzionatorie, riferendosi non soltanto alla norma incriminatrice ma, in generale, alla norma penale più severa ( Corte cost. 22 -2-1985, n. 51). Ciò che si riconnette, d'altronde, ai principi enunciati dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo, la quale ha, più volte, sottolineato l'importanza del requisito della "prevedibilità" della legge penale ( Cedu X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, § 58, 2013; CEDU Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], n. 38433/09, § 140, 2012; CEDU, Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 52, 2000; CEDU Maestri c. Italia [GC], n. 39748/98, § 30, 2004), che ricorre allorquando ogni cittadino, sulla base della formulazione delle norme di riferimento e, se necessario, dell'interpretazione offerta dalla giurisprudenza, possa essere in grado di conoscere il complessivo trattamento penale a cui andrà incontro, ove ponga in essere un determinato atto o una determinata omissione (CEDU, 29- 10-2013, Varvara c. Italia): ciò che non potrebbe verificarsi se fosse applicabile la legge successiva, più severa, vigente al momento dell'evento. Viceversa, i cittadini devono essere in grado - se necessario, mediante appropriata consulenza da parte di un giurista - di prevedere in toto le conseguenze che un determinato atto può comportare (CEDU, 23-2 2017, De Tommaso c. Italia). Occorre, dunque, aver riguardo al trattamento sanzionatorio globale applicabile all'imputato, poiché la nozione di responsabilità penale va ragguagliata ad un ampio plesso concettuale che comprende tutti gli istituti che incidono sulla concreta ed effettiva applicazione delle sanzioni penali. Il che è del tutto conforme all'orientamento espresso dalla Corte costituzionale, la quale, nell'analizzare il concetto di illegalità della pena, ha chiarito che "pena legale" è non soltanto quella prevista dalla singola norma incriminatrice ma anche quella risultante dall'applicazione di tutte le disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio (Corte cost. n. 312 del 1988; in senso conforme anche Sez. U., 26- 5-1984). E, in questa prospettiva, occorre sottolineare come, in giurisprudenza, sia stata condivisibilmente attribuita una latitudine semantica notevolmente ampia all'espressione "illegalità della pena", laddove essa è stata identificata in ogni statuizione ab origine contraria al complessivo assetto normativo vigente al momento della consumazione del reato o, se più favorevole, dell'applicazione della sanzione penale (Cass., Sez. 5, n 46122 del 13-6-2014, Rv 262108). Tant'è che la Corte EDU è pervenuta ad estendere il divieto di retroattività della norma più sfavorevole alle misure che incidono sulla fase dell'esecuzione della pena, ritenendo che l'espressione "pena inflitta" di cui all'art. 7 della Convenzione non possa essere interpretata nel senso di escludere dal campo di applicazione di quest'ultima disposizione tutte le misure che possono intervenire dopo l'irrogazione della pena, poiché la Convenzione deve essere interpretata e applicata in maniera da rendere le garanzie concrete ed effettive e non teoriche e illusorie (CEDU, 21-10-2013, Del Rio Prada c. Spagna).
Sotto altro profilo, non può non rilevarsi, sul piano dell'elemento psicologico, l'indefettibilità del principio della necessaria conoscibilità ex ante delle conseguenze della violazione del precetto. Su questo versante, il principio di legalità di cui all'art. 25, comma 2, Cost. si salda con il principio di colpevolezza ex art. 27, comma 1, Cost., nella prospettiva delineata da Corte cost. n. 364 del 1988, secondo cui, avuto riguardo anche al fondamentale principio di colpevolezza e alla funzione preventiva della pena, desumibili dall'art. 27 Cost., ognuno dei consociati deve essere posto in grado di conoscere in anticipo quali conseguenze afflittive potranno scaturire dalla propria decisione di porre o non porre in essere un determinato atto o comportamento. Ed anzi il principio è di tale pregnanza da trovare applicazione anche all'overruling giurisprudenziale. La Corte Europea dei diritti dell'Uomo, con la citata sentenza 21-10-2013, Del Rio Prada c. Spagna, ha, infatti, affermato che il mutamento imprevedibile nella intèrpretazione giurisprudenziale di una disposizione di legge (nella specie, disposizioni relative alle modalità di computo delle riduzioni di pena per lavoro volto in carcere), se sfavorevole, viola il principio di legalità di cui all'art. 7 CEDU, analogamente ad una riforma legislativa in peius applicata retroattivamente. Così come la CEDU, con sentenza 14-4-2015, Contrada c. Italia, ha ritenuto che, qualora all'epoca in cui un soggetto commette un fatto non sia sufficientemente chiaro, alla stregua degli orientamenti della giurisprudenza, se esso costituisca o meno reato, non è giuridicamente consentita l'applicazione di una sanzione penale, non essendo possibile, per l'autore, sapere se il fatto commesso dia luogo a responsabilità penale o meno.
2. In quest'ordine di idee, non può, pertanto, ritenersi che l'istituto della prescrizione si collochi al di fuori dell'ambito di applicabilità del principio di irretroattivitità della legge penale più sfavorevole. Una volta stabilito che quest'ultimo riguarda tutti gli istituti di diritto sostanziale che concorrono a individuare l'area dell'illecito penale e la risposta sanzionatoria, appare ineludibile concludere nel senso che la prescrizione rientri appieno in quest'ambito. Non pare, infatti, revocabile in dubbio che la prescrizione abbia natura sostanziale e non processuale. Essa è infatti inquadrata fra le. cause di estinzione del reato, e non dell'azione penale, e del tutto condivisibilmente è stato affermato, in giurisprudenza, che l'istituto della prescrizione trova il suo fondamento razionale nell'interesse generale, di natura senz'altro sostanziale, di non punire i reati in ordine ai quali il lungo tempo trascorso dalla loro commissione abbia provocato l'affievolirsi dell'allarme sociale e, con esso, di ogni istanza di prevenzione generale e speciale (Sez. U., n. 21833 del 22. 2.2007) . In quest' ottica, la prolungata inerzia dei pubblici poteri rende manifesta la mancanza di interesse, da parte dello Stato, a perseguire penalmente un determinato fatto -reato, con la inevitabile conseguenza della estinzione del reato, sancita dall'art. 157 cod. pen. (Sez. U., n. 33543 del 11.7.2001, Brembati). La valenza sostanziale attribuita dal legislatore all'istituto della prescrizione ha indotto a ritenere applicabile in questa materia l'art. 2, comma 4, cod. pen., con riferimento agli atti interruttivi della prescrizione disciplinati dall'art. 160 cod. pen., norma di cui è stato riconosciuto il carattere sostanziale e non processuale (Cass., Sez. II, 26 novembre 1992, Barbagallo, Rv. 193159).
Anche nella giurisprudenza costituzionale si rinvengono significativi elementi concettuali da cui è desumibile la natura sostanziale della prescrizione. Così, nell'ordinanza 26.1.2017 n.24, concernente il noto caso Taricco, oltre che nella sentenza n. 143 del 2014, il giudice della leggi ha rilevato che nell'ordinamento giuridico nazionale il regime legale della prescrizione è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall'art. 25, secondo comma, Cost. E' perciò necessario che il predetto regime sia enucleabile da norme vigenti al tempo della commissione del fatto. Si tratta infatti di un istituto che incide sulla punibilità della persona e la legge, di conseguenza, lo disciplina in ragione di una valutazione che viene compiuta con riferimento al grado di allarme sociale indotto da un certo reato e al concetto che, trascorso un certo lasso di tempo dalla · commissione del fatto, stante l'attenuarsi delle esigenze di punizione, maturi un diritto all'oblio in capo all'autore del reato (Corte cost. n. 23 del 2013). Occorre dunque che le norme che stabiliscono quali fatti punire, con quale pena, ed entro quale limite temporale, consentano una percezione sufficientemente chiara ed immediata della relativa portata precettiva (Corte cost. n. 5 del 2004). In particolare, il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono discendere da regole legali sufficientemente determinate e che non abbiano portata retroattiva. Di qui, ad esempio, l'affermazione secondo cui l'applicazione del canone ermeneutico enunciato dalla prima sentenza Taricco (Corte di .Giustizia dell'Unione Europea, 8 settembre 2015, in causa C-105/14, Taricco) - secondo cui l'art. 325 del TFUE impone al giudice nazionale di disapplicare il combinato disposto degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., ove quest'ultimo impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in materia di violazioni fiscali - ai fatti reato commessi anteriormente alla pronuncia della sentenza Taricco del 2015 determinerebbe un vulnus, per quanto attiene alla prescrizione, al principio di irretroattività della legge penale sostanziale, così come interpretato alla stregua dei principi fondanti dell'ordine costituzionale nazionale (Cass., Sez.2, 7-2-2018, Schiavo e altri, Rv.272350). E infatti, in quest'ottica, la Corte di Lussemburgo, pur ribadendo l'interpretazione fornita dalla prima sentenza Taricco in ordine al primato della disciplina sovranazionale, ha limitato gli effetti di una siffatta interpretazione ai fatti reato commessi successivamente a detta sentenza, affermando, con pronuncia del 5.12.2017, che i principi enucleabili nella sentenza Taricco del 2015 non si applicano, in forza del principio di irretroattività, ai reati commessi anteriormente alla sua emanazione.
Anche la giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato, proprio ai fini dell'applicazione dei principi di garanzia in tema di successione di leggi nel tempo, il carattere sostanziale della prescrizione. Ad esempio, con riferimento al delitto di omicidio aggravato commesso in epoca antecedente alla riforma dell'art.157 cod.pen., introdotta con legge n. 251 del 2005, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che il predetto reato, pur se astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo, può essere dichiarato estinto per prescrizione in caso di concessione di attenuanti prevalenti o equivalenti alle aggravanti, dovendo trovare applicazione la più favorevole disciplina vigente al tempo del commesso delitto, la quale attribuiva rilevanza anche alla esistenza di elementi circostanziali di ,segno favorevole per l'imputato, in ragione della natura sostanziale della prescrizione (Cass., Sez·. l, 22-5-2014, Abbinante e altri, Rv.260536).
In quest'ordine di idee, è stato affermato, in giurisprudenza,. che, in tema di successione di leggi penali concernenti la disciplina della prescrizione, nel caso in cui l'evento del reato intervenga nella vigenza di una legge più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della cessazione della condotta stessa (Cass., Sez. 4, n. 16026 del 20/12/2018, Rv. 275711 - 01; in senso conforme anche Cass., Sez 4, n 5541 del 8-11-2019, Sorianini, non mass.). E il principio è stato ribadito proprio in una fattispecie di omicidio colposo plurimo con inosservanza della normativa antinfortunistica in materia di amianto, laddove si è ritenuto che, in tema di prescrizione, nel caso di condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di evento intervenuto nella vigenza di una legge più sfavorevole, trovi applicazione la disciplina vigente al momento della cessazione della condotta. Conseguentemente, essendo intervenuto il decesso delle persone offese nella vigenza della meno favorevole disciplina sulla prescrizione introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, è stata ritenuta applicabile la normativa di cui al previgente art. 157 cod. pen. (Cass., Sez. 4 n. 13582 del 23/01/2019, Rv. 275800). Si rileva, infatti, condivisibilmente, in questa pronuncia, che se il cittadino, al momento della condotta, deve fruire della completa conoscibilità del sistema ordinamentale, precettivo e sanzionatorio, inerente all'inosservanza della norma penale, anche nella prospettiva della funzione preventiva della pena, appare del tutto coerente con il sistema delineato dalle Sezioni unite, nella sentenza Pittalà, riconoscere preminente rilievo consociato, al quale è consentito preventivare alla garanzia fornita all'afflittività dell'illecito, ricomprendendo in essa la previsione del tempo necessario a estinguere il reato. A ciò va aggiunto, in questa sede, che proprio il contesto fenomenologico delle morti da amianto conferma, sul piano applicativo, l'esattezza dell'opzione ermeneutica in esame, poiché la rilevanza del lasso di tempo intercorrente fra la condotta e l'evento dà la misura dell'incongruità del contrario indirizzo interpretativo, in forza del quale dovrebbe trovare applicazione un regime della prescrizione derivante da una normativa introdotta talora a distanza di decenni dalla condotta incriminata e dunque in una prospettiva del tutto avulsa dall'agire dell'imputato. Né appare condivisibile quanto sostenuto dal ricorrente, secondo cui ciò comporterebbe una declaratoria di estinzione del reato pressoché generalizzata in materia di esposizione ad amianto, poiché il reato si prescrive in sette anni e sei mesi soltanto qualora il giudice di merito, nell'esercizio di un potere discrezionale, insindacabile in sede di legittimità solo se congruamente motivato, decida non solo di concedere le circostanze attenuanti generiche- o altra circostanza attenuante - ma di ritenerne la prevalenza sull'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen.
3. Il ricorso va dunque rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Così deciso in Roma il 8.10.2020