Cassazione Penale, Sez. 4, 19 maggio 2020, n. 15333 - Scala priva di ganci di trattenuta e caduta mortale durante la raccolta degli agrumi. Responsabilità del gestore del fondo
1. La Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza con cui il Tribunale della stessa città ha riconosciuto G.M. responsabile del reato di omicidio colposo ai danni di A.N., per colpa generica, nonché per l'inosservanza delle norme antinfortunistiche afferenti alla raccolta degli agrumi che veniva eseguita con l'utilizzo di scale semplici, prive di ganci di trattenuta, appoggi antisdrucciolevoli e livellamento del piano di pendenza. In particolare, nella ricostruzione operata dai giudici di merito, l'A.N., giunto presso il fondo di proprietà di DI.F. (sito in Ravello, loc. Casa Rossa), ma gestito e curato dal G.M., incaricato da quest'ultimo di procedere alla raccolta dei limoni - operazione che eseguiva senza casco protettivo e mediante l'utilizzo di una scala comune inadeguata ad effettuare lavori a 7 mt di altezza su piano di calpestio in pendenza, con inclinazione di circa 25%, con uno strapiombo di 5,50 mt sulla destra - improvvisamente, durante l'esecuzione del lavoro, cadeva con tutta la scala, precipitando sulla piazzola sottostante e decedendo per le gravi ferite riportate.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il difensore dell'imputato, articolando due motivi. Con il primo, eccepisce violazione dell'art. 589 cod. pen. e dell'art. 2, lett. b), d.lgs. 81/2008, con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza della qualifica di datore di lavoro; nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle specifiche doglianze prospettate nell'atto di appello. Non vi è, sostiene il ricorrente, alcun elemento probatorio da cui dedurre, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'imputato abbia invitato la vittima a prestare il proprio contributo lavorativo; né dalla posizione del cadavere la prova può ricavarsi la prova della posizione di garanzia assunta dall'imputato. Costituisce mera congettura l'assunto secondo cui l'imputato, nel brevissimo lasso temporale di escursione in giardino, insieme al figlio e alla vittima, avesse dato disposizioni per la raccolta dei limoni, per poi rientrare in casa. Le numerose cassette di limoni, appena raccolti, sono state riempite dall'imputato e non dall'A.N. il quale si trovava, sino alle 12.30, nella tenuta dei signori S. e non presso l'abitazione del C.. Risulterebbe provato che, quando la vittima raggiunse l'abitazione dell'imputato, la raccolta dei limoni nel fondo DI. era terminata, sicché il C. non aveva alcuna necessità di ricorrere all'ausilio del figlio o dell'A.N.. Il giudice dell'appello non avrebbe tenuto conto di risultanze probatorie, richiamate dalla difesa e aventi il carattere della decisività. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 539 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in ordine all'avvenuta quantificazione del danno riconosciuto alle parti civili. Nel caso di specie, non sarebbe stato accertato, in entrambe le sentenze di merito, qualunque profilo fattuale che possa incidere sulla determinazione del danno risarcibile, essendosi fatto ricorso alle "tabelle del Tribunale di Milano". Peraltro, nel computo del risarcimento del danno si sarebbe dovuto altresì considerare il concorso di colpa della vittima che ha agito in modo affrettato, utilizzando una scala in una zona pericolosamente inclinata.
Diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. La qualificazione giuridica del rapporto intercorrente tra l'imputato e la vittima dell'infortunio ha formato oggetto di specifico approfondimento da parte della Corte di merito, trattandosi di questione incidente sull'estensione della responsabilità del C. in materia antinfortunistica e del rischio che questi, nella sua qualità, si trovava a gestire. Al riguardo, la sentenza impugnata ricorda il rapporto informativo a firma degli ispettori del lavoro, ing. P. e dott. S., da cui si apprende che il C. gestiva il limoneto, per conto del proprietario dello stesso, DI., realizzando, durante tutto l'arco dell'anno, lavori di potatura, spruzzando antiparassitari e simili, sistemando i telai di copertura e provvedendo alla raccolta finale del prodotto. Egli operava in piena autonomia quanto alla programmazione e all'esecuzione dell'attività (comprese le spese di acquisto dei materiali utilizzati per la coltura dei limoni), venendo retribuito annualmente dalla moglie del proprietario, F.I., comodataria del fondo per conto del predetto DI., comodante (la cui posizione giuridica è stata stralciata). La sentenza impugnata richiama la normativa specifica antinfortunistica di settore, riportata anche dai predetti ispettori del lavoro nel loro rapporto, a norma della quale (art. 21 d.lgs. 81/08) "i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici, i componenti dell'impresa familiare devono utilizzare attrezzature da lavoro conformi alle disposizioni di cui al Titolo 7/7", e, quindi, quanto alle scale, secondo la specifica normativa antinfortunistica dettata dal successivo art. 113. La Corte di appello, peraltro, rileva come la qualifica di imprenditore agricolo o di coltivatore diretto in capo al C. si desuma, a fortiori, anche dal certificato di iscrizione alla Camera di Commercio e Agricoltura di Salerno (allegato alla citata informativa ed acquisita agli atti). Correttamente, pertanto, sostiene che l'imputato era titolare di un vero e proprio obbligo di garanzia a tutela dell'Incolumità del lavoratore e che, essendosi verificato l'infortunio sul luogo di lavoro, e quindi entro l'area di rischio, competeva al medesimo, in quanto gestore del fondo, l'obbligo giuridico dell'esatta osservanza delle misure antinfortunistiche, quindi, nel caso di specie, di dotare l'occasionale collaboratore di una scala conforme alla previsioni del, citato art. 133 d. lgs. 81/80, proprio in quanto titolare della specifica posizione di garanzia. Si tratta di conclusione giuridicamente corretta. Sul punto, invero, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (ex multis, Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321; Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365).
Si tratta, come si vede, di considerazioni dirimenti e, in quanto tali, assorbenti degli ulteriori argomenti, peraltro fattuali, prospettati dal ricorrente nel primo motivo. Quanto alla doglianza sulla mancata considerazione, da parte della Corte di appello, delle asserite emergenze probatorie sollecitate dalla difesa, giova ricordare che é comunemente ammessa, in giurisprudenza, la motivazione implicita, la quale si ha allorquando, dal tessuto argomentativo della pronuncia impugnata, siano enucleabili le ragioni del convincimento, poiché il giudice a quo ha dimostrato che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente e che le statuizioni emesse si fondano su un substrato razionale esente da aporie e da incongruenze logiche (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso e altro, Rv. 250900).
2.1. Parimenti infondato il secondo motivo di ricorso. La motivazione della sentenza impugnata si appalesa immune dalle sollevate censure atteso che, nel confermare le statuizioni civili e la provvisionale, stabilita nella misura di euro 165.960, dal primo giudice, ha affermato che detto ammontare minimo deve «ritenersi provato per la morte del lavoratore a seguito d'infortunio sul lavoro, anche alla luce dell'elevato grado di colpa dell'imputato, quasi ai limiti della colpa cosciente, non potendosi ravvisare alcun concorso di colpa in capo alla vittima, peraltro nemmeno specificato dall'appellante ma solo genericamente evocato».
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.
Così deciso il 19 febbraio 2020