Cassazione Penale, Sez. 4, 19 gennaio 2022, n. 2179 - Caduta dal tetto del capannone. Linee vita rimosse prima del completamento del lavoro

2022

Fatto




1. Con sentenza del 25/6/2020, la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia di responsabilità emessa a carico di T.A. per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2. La vicenda attiene all'infortunio patito da S.F., il quale, effettuando lavori in quota, cadeva dal tetto di un capannone durante la installazione di un pannello della "Tecnocoperture s.r.l.".
A carico dell'imputato, direttore di cantiere e dirigente della società, erano individuati profili di colpa generica e specifica, non avendo egli imposto al lavoratore di agganciare l'imbracatura alla linea vita durante la lavorazione in quota ed avendo violato il POS, che prevedeva di non rimuovere la "linea vita"dal tetto prima del completamento dei lavori.
3. Avverso la pronuncia di condanna ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, affidando le proprie deduzioni ai seguenti motivi.
Primo motivo:
Manifesta illogicità della motivazione; inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., per non avere i giudici tenuto conto della condotta abnorme serbata dal lavoratore.
I documenti acquisiti nel giudizio di primo grado e le testimonianze rese dalle persone escusse in dibattimento renderebbero palese, secondo il ricorrente, che la caduta dall'impalcatura e le conseguenti lesioni personali erano dipese in via esclusiva da un comportamento dello stesso lavoratore imprevedibile e consapevolmente inadempiente delle e prescrizioni datoriali in materia di sicurezza sul lavoro, ragion per cui non poteva sussistere alcuna colpa del ricorrente.
Il P.M. nel giudizio di prime cure aveva chiesto l'assoluzione dell'odierno ricorrente sostenendo, al riguardo, che la condotta negligente, imperita e imprudente del lavoratore era stata tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta addebitata al datore di lavoro e l'evento lesivo. Ciò in quanto l'obbligo di vigilanza non determina la necessità di un controllo e di una vicinanza continua al lavoratore. Del tutto corretto appare tale assunto atteso, infatti, che l'istruttoria svolta in primo grado aveva reso lampante che la p.o., allorquando è salita sull'impalcatura "soltanto per mettere due viti in più", pur indossando l'apposita cintura-imbracatura, aveva deciso sua spante di non agganciarsi ai dispositivi di sicurezza, non ritenendolo necessario ed in ogni caso per perdere meno tempo. A ciò aggiungasi che Tecnocoperture s.r.l. aveva messo il Sig. S.F. e gli altri dipendenti nelle condizioni di poter operare in altezza in tutta sicurezza, dotando il cantiere delle varie misure necessarie. Tutto ciò risulterebbe inoltre confermato anche dagli esiti delle indagini effettuate dall'ASL competente.
Era del tutto imprevedibile che il lavoratore decidesse, per adempiere più velocemente al suo compito, di non assicurare l'imbracatura ai punti vita ed era inesigibile in capo al ricorrente la pretesa di una sorveglianza continuativa.
Secondo motivo: inosservanza dell'art. 131-bis cod. pen.
La Corte territoriale avrebbe espresso sul punto una motivazione incoerente avendo riconosciuto al ricorrente tutti i benefici di legge ed irrogato una pena prossima al minimo edittale. La motivazione di rigetto esprimerebbe valutazioni inconferenti in relazione all'istituto. Non si è tenuto conto dell'avvenuto risarcimento integrale del danno, dell'ottemperanza da parte del datore di lavoro di tutte le disposizioni di sicurezza in grado di evitare l'evento.
Il PG. con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso.




Diritto




4. I motivi di doglianza proposti dalla difesa sono infondati e, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
5. Prendendo le mosse dalle censure ,riguardanti il comportamento asserita mente abnorme del dipendente (contenute nell'Ultimo paragrafo del ricorso), occorre rilevare come la Corte territoriale abbia correttamente escluso che la condotta del lavoratore potesse essere da sola idonea ad interrompere il nesso causale con l'evento verificatosi.
La sentenza impugnata ha ritenuto che, nel caso in esame, fosse stato rispettato il necessario rapporto di causalità tra la condotta omissiva del garante della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo, rapporto che deve ritenersi interrotto, ai sensi dell'art. 41, comma secondo, cod. pen., solo nel caso in cui sia dimostrata l'abnormità del comportamento del lavoratore. Ha poi correttamente affermato che la condotta del lavoratore non poteva ritenersi connotata dall'abnormità, per stranezza ed imprevedibilità delle sue caratteristiche.
L'assunto del giudice d'appello è corretto e conforme ai principi più volte affermati dalla Corte di legittimità in proposito, ampiamente richiamati nella sentenza impugnata. E' infatti orientamento costante, in materia di infortuni sul lavoro, quello in base al quale la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l'evento, quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (così ex multis, Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Rv. 236721).
Pertanto, può definirsi abnorme soltanto la condotta del lavoratore che si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e sia assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni che gli siano state affidate (così, Sez. 4, n. 38850 del 23/06/2005, Rv. 232420).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di .sicurezza approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme della giurisprudenza di questa Corte, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli. (così, ex multis Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015 Rv. 263497; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Rv. 232421 ).
Orbene, risulta evidente, dai principi richiamati, come non sia possibile inquadrare nell'ambito delle condotte connotate da abnormità ed esorbitanza, il comportamento serbato dal lavoratore, non essendosi realizzato, tale comportamento, in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto e non potendosi sostenere che si trattasse di una condotta assolutamente eccentrica ed imprevedibile, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte territoriale.
La Corte d'appello di Firenze nel ricostruire la dinamica dell'infortunio ha posto in evidenza che il lavoratore era intento a fissare un pannello di copertura su un capannone; non riuscendo ad avvitare una vite, aveva sollevato il pannello perdendo l'equilibrio e precipitando al suolo all'interno del capannone. Si era, altresì, pacificamente accertato che l'infortunato, seppure indossasse l'imbracatura di sicurezza, non era però agganciato alla linea vita installata durante i lavori, né ai golfari infissi nel muro su cui erano state attaccate le linee vita.
Vero è che la persona offesa si è assunta tutte le responsabilità asserendo che sua era stata l'iniziativa di non agganciarsi per finire in fretta il lavoro ma la corte territoriale ha richiamato l'esito del sopralluogo della ASL effettuato il giorno dell'infortunio, con relativo corredo fotografico, che aveva consentito di accertare l'assenza delle linee-vita (la cui mancanza, peraltro, era stata rilevata anche durante l'ispezione di alcuni giorni prima, il 4/9/2014, benché subito dopo installate). I rilievi della ASL erano, del resto, confortati dalle dichiarazioni di altro dipendente, tale K., che aveva riferito che le linee-vita erano state rimosse lo stesso giorno perché non più necessarie, atteso il completamento della copertura.
Nella sentenza, infatti, viene censurata la intempestiva rimozione delle linee -vita prima che il lavoro sul tetto fosse veramente completato e l'assenza del medesimo, per un tempo apprezzabile, in una fase delicata e pericolosa dell'attività avrebbe richiesto una rigorosa vigilanza [Sez. 4, Sentenza n. 3787 del 17/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015 ) Rv. 261946: "In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell' esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile, (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere)"].
Né appare puntuale la deduzione difensiva della presenza degli anelli di acciaio a cui pure il lavoratore si sarebbe potuto ancorare. In merito i giudici distrettuali rilevano come i golfari, infissi sui muri, fossero distanti dal punto in cui lo S.F. stava operando.
Il tessuto argomentativo illustrato in sentenza circa l'addebito di colpa mosso all'imputato e il determinismo eziologico dell'inosservanza delle regole cautelari, poste a presidio proprio del rischio poi concretizzatosi, appare coerente con le risultanze processuali ed esente da censure.
Quanto alla prevedibilità dell'evento, è indubbio che l'applicazione del principio di colpevolezza, escluda qualunque automatismo rispetto all'addebito di responsabilità colposa a carico del garante. Sotto questo profilo, si impone la verifica, in concreto, sia della violazione, da parte del soggetto agente, della regola cautelare da osservarsi, sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, che la regola cautelare mira a prevenire, secondo il principio della cd. "concretizzazione" del rischio (così, ex multis Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, Rv. 264128).
Pertanto, l'individualizzazione della responsabilità penale, impone di verificare, non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento (aspetto che si risolve nell'accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare, ma anche se l'autore della stessa abbia potuto prevedere, con giudizio "ex ante" quello -specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo. In tale ambito ricostruttivo, oltre all'accertamento della violazione della regola cautelare e della sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento, il giudice dovrà necessariamente verificare se l'evento derivato rappresenti o meno la "concretizzazione" del rischio, che la regola cautelare mirava a prevenire e, se tale evento dannoso, fosse o meno prevedibile, da parte dell'imputato (così Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526).
Ebbene, le doglianze difensive riguardanti l'attribuzione di una responsabilità oggettiva all'imputato, nel caso in esame, appaiono, alla luce dell'analisi della sentenza impugnata, destituite di fondamento.
Seguendo un ragionamento immune da vizi logici e ossequioso dei principi stabiliti in questa sede i giudici di merito hanno ritenuto la prevedibilità dell'evento realizzatosi: le linee vita, previste per l'attività che stava svolgendo il lavoratore, dovevano essere lasciate sul posto fino a completamento dei lavori ed era prevedibile una caduta dall'alto in seguito alla loro rimozione.
Manifestamente infondata appare la seconda censura che deduce la violazione di legge mentre, di fatto, si limita a lamentare un vizio motivazionale sollecitando la Corte di legittimità a sostituirsi al giudice di merito nella valutazione dei presupposti della causa di non punibilità.
La Corte d'appello di Firenze, viceversa, ha spiegato in modo congruo le ragioni ostative al riconoscimento della scarsa offensività del fatto illecito indicando i criteri utilizzati per le sue valutazioni discrezionali (gravità delle conseguenze lesive ed intensità della colpa alla luce anche delle pregresse e importanti carenze nelle cautele da parte dell'imputato) con apprezzamento logico tale da renderlo impermeabile alle doglianze difensive.
6. Conseguentemente il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali



P.Q.M. ·



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 12 gennaio 2022


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