Cassazione Penale, Sez. 4, 17 febbraio 2020, n. 5963 - Caduta all'interno di una fossa non protetta e responsabilità del direttore di stabilimento delegato

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

Fatto

1. La Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di quella città, appellata da B.M. con la quale costui era stato condannato per il reato di cui all'art. 590, co. 1 e 3, cod. pen. ai danni del lavoratore dipendente Z.G., ha sostituito la pena detentiva inflitta con quella pecuniaria corrispondente, confermando nel resto.
In particolare, si è contestato al B.M., nella qualità di direttore dello stabilimento delle ACCIAIERIE VENETE S.p.A., sede di Sarezzo, delegato per gli aspetti della sicurezza sul lavoro e datore di lavoro della persona offesa, di avere cagionato, per colpa generica e specifica, omettendo di provvedere a difendere in modo idoneo una fossa contro il rischio di caduta al suo interno (in violazione dell'art. 64 co. 1 lett. a), art. 63 co. 1 all. IV punto 1.5.14.1, d. Lgs. 81/2008), le lesioni gravi da questa riportate il 16 giugno 2013, allorché era Intenta ad utilizzare una lancia a spruzzo in posizione prospiciente detta fossa profonda tre metri. A causa di una improvvisa riattivazione della lancia, l'uomo aveva perso l'equilibrio cadendo nella fossa suddetta e procurandosi le lesioni descritte in imputazione.
2. Questa, in sintesi, la vicenda come ricostruita nella sentenza.
L'infortunio era avvenuto all'interno di uno stabilimento ove si producono billette e laminati, segnatamente nel reparto refrattari e in prossimità di due fosse - in realtà un'unica attraversata da una sorta di camminamento - all'interno della quale veniva collocata una siviera (cioè una struttura metallica circolare atta a contenere metallo fuso versato al suo interno dal forno di fusione, destinato ad alimentare le lingottiere dell'impianto di colata continua). Ai quattro lati della fossa vi era un parapetto nel quale si apriva un cancello che consentiva l'accesso al camminamento; mentre la zona della fossa destinata al ripristino del setto poroso risultava tutta circondata dal parapetto, la parte destinata al rifacimento dei refrattari era priva di protezioni, il pericolo di caduta essendo scongiurato da un metodo di lavoro in base al quale al suo interno veniva collocata una siviera che, debordando di oltre un metro dal bordo della fossa, finiva con il funzionare da parapetto. L'indicazione aziendale al lavoratori era pertanto di accedere a quella fossa solo previo posizionamento di una siviera.
Tale metodica, tuttavia, era stata ripensata dopo un infortunio mortale e dopo la constatazione, da parte del dipendente S., che il meccanismo di chiusura del cancello che impediva l'accesso al camminamento non protetto non era funzionante, cosicché era in corso, all'epoca dell'Infortunio per cui è processo, la progettazione di un sistema di copertura dedicato, atto a prevenire la caduta all'interno della fossa.
3. Il B.M. ha proposto ricorso avverso la sentenza d'appello, con proprio difensore, formulando due motivi. 
Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge quanto alla valutazione del nesso di causalità, con riferimento specifico al comportamento alternativo lecito, e vizio della motivazione, quanto alla valutazione delle evidenze probatorie.
Sotto il primo profilo, il deducente ha rilevato che la Corte avrebbe erroneamente interpretato gli artt. 40 e 41 cod. pen., non avendo considerato che, in caso di osservanza del comportamento conforme al dovere di diligenza, l'evento si sarebbe ugualmente prodotto, poiché il lavoratore non avrebbe provveduto a posizionare la copertura metallica sopra la fossa, misura che ha sostituito la precedente soluzione, dopo l'infortunio.
Tale vizio avrebbe finito, secondo la difesa, con intrecciarsi con quello motivazionale, avendo le prove dimostrato l'assunto di partenza dell'osservazione difensiva, vale a dire l'equivalenza, in termini di presidio di sicurezza, tra l'utilizzo della siviera e l'apposizione della copertura metallica realizzata dopo l'infortunio, erroneamente considerate alla stessa stregua dalla Corte territoriale, trattandosi in entrambi i casi di copertura non fissa che doveva essere appositamente posizionata all'occorrenza.
Con il secondo motivo, invece, la difesa ha contestato la valutazione della responsabilità personale e, dunque, la posizione di garanzia rispetto al rischio concreto, deducendo analoghi vizi.
Sotto il primo profilo, ha rilevato che la Corte avrebbe ritenuto che le violazioni contestate al B.M., nella qualità datoriale, non fossero attribuibili anche ad altre figure, nella specie il S., dirigente del reparto acciaieria, tenuto conto che le scelte di modificare il presidio di sicurezza non implicavano decisioni di politica aziendale tali da richiedere l'intervento datoriale. Ha dunque opposto che la responsabilità della scelta era da ricollegarsi esclusivamente a costui, quale soggetto che aveva ammesso la paternità della decisione di cambiare il sistema di sicurezza inadeguato. Su tale punto, la Corte avrebbe reso una motivazione del tutto apodittica affermando che, in ogni caso, il B.M. non aveva verificato che il S. svolgesse adeguatamente il suo compito.




Diritto




1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte bresciana ha ritenuto incontestata la ricostruzione della dinamica dei fatti e dei luoghi ove essi erano avvenuti in uno con la circostanza che, nell'occorso, le lesioni erano state certamente conseguenza della rovinosa caduta dell'uomo all'interno della fossa non protetta.
Ha, dunque, richiamato la sentenza appellata, procedendo poi alla disamina delle doglianze veicolate con i motivi d'appello, con i quali si era in sostanza contestata la posizione di garanzia del B.M., avuto riguardo a una organizzazione complessa, nella quale era in atto un'ampia suddivisione del lavoro, tale da determinare che anche funzioni penalmente presidiate facessero capo a soggetti diversi dal datore di lavoro, nella specie il dipendente S., il quale si era fatto carico in prima persona delle problematiche in tema di sicurezza, sia prima, che dopo l'infortunio, formando anche un elenco degli interventi migliorativi dall'ottobre 2012, prodotto dalla difesa. L'effettività del suo ruolo, del resto, sempre nell'ottica difensiva, era confermata dalla circostanza che gli interventi previsti in quell'elenco non richiedevano impegni di spesa rilevanti e che la realizzazione della copertura metallica dopo l'infortunio non aveva comportato un costo reale, essendo stata realizzata per mezzo delle strutture interne dell'azienda.
Sotto il profilo colposo, inoltre, a parere della difesa, la fossa era adeguatamente protetta dalla rete di parapetti che lasciava un solo varco, interdetto da un cancello regolarmente chiuso.
I pochi operai autorizzati ad accedere all'interno della zona non protetta erano perfettamente consapevoli della situazione dei luoghi ed erano stati specificamente formati. Neppure era convincente l'assunto secondo cui l'utilizzo della siviera era solo eventuale e richiedeva la collaborazione di altre maestranze per lo spostamento con un carroponte, poiché anche la copertura metallica in seguito realizzata doveva essere posizionata con lo stesso mezzo.
Con tale ultima riflessione, la difesa ha introdotto anche in appello censure intese a contestare la ricostruzione del nesso di causalità, opponendo che il comportamento alternativo lecito non avrebbe scongiurato l'evento, dal momento che la scelta imprudente autonomamente adottata dal lavoratore (di entrare, cioè, nella parte non protetta senza prima posizionare la siviera), si sarebbe tradotta nella mancata allocazione della copertura metallica, cosicché l'evento si sarebbe ugualmente verificato.
La Corte bresciana ha ritenuto innanzitutto accertata la posizione di garanzia del B.M., il quale era titolare di una specifica delega per la sicurezza dello stabilimento diretto, munito di totale autonomia, anche di spesa. Il fatto che costui avesse ritenuto di delegare di fatto alcuni compiti, nella specie al S., non poteva essere favorevolmente considerato, residuando in capo allo stesso quantomeno l'obbligo di accertarsi che il dipendente svolgesse in maniera adeguata quel compito.
Quanto agli ulteriori profili di censura, quel giudice ha ritenuto irrilevante la circostanza che l'area fosse provvista di apposito parapetto, atteso che oggetto del procedimento era proprio l'adeguata protezione di coloro che erano abilitati ad accedere alla parte non protetta, rilevando l'inadeguatezza di un sistema basato su una mera disposizione impartita ai lavoratori (quella, cioè, di non accedere a quell'area senza il previo posizionamento di una siviera, ulteriore rispetto a quella posta nella fossa attigua). Tale inadeguatezza, del resto, aveva ricevuto conferma, secondo la Corte territoriale, dal fatto che il S. aveva ritenuto di dover sostituire il sistema, progettando una copertura stabile della fossa.
Né il comportamento del lavoratore, operaio esperto e formato, era idoneo a interrompere il nesso causale, per le condivisibili ragioni evidenziate dal Tribunale, secondo cui l'imprudenza di costui non elideva il fatto che l'incidente era accaduto a causa della inadeguatezza delle misure di prevenzione approntate, non rilevando la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore allorché chi la invoca versi in re illicita per avere consentito alla vittima di operare in condizioni di pericolo.
Quanto, poi, al giudizio controfattuale, pur attaccato dalle argomentazioni difensive, la Corte bresciana ha ritenuto il ragionamento sopra svolto non convincente: anche a voler ritenere dimostrato che la copertura metallica progettata avrebbe necessitato comunque uno spostamento con il carroponte, le due strutture non potevano essere considerate alla stessa stregua, poiché la destinazione naturale della siviera non era di tipo prevenzionale, tanto che ogni volta occorreva reperirne una libera all'Interno dell'azienda; laddove la copertura dedicata sarebbe stata normalmente già posizionata sulla fossa e spostata solo ove necessario per porre all'interno di essa una siviera. Lo Z.G., quindi, nel secondo caso, avrebbe trovato la fossa già coperta e non avrebbe avuto bisogno di provvedere alla sua protezione, come non fece, reperendo e posizionando una siviera non utilizzata.
L'accertata inadeguatezza del sistema vigente rendeva poi irrilevante la circostanza che il nuovo fosse in fase di progettazione al momento dell'infortunio, atteso che il B.M. avrebbe dovuto interdire la prosecuzione della lavorazione in prossimità della fossa, In attesa della realizzazione della copertura dedicata (In ogni caso, ove egli avesse Ignorato la pericolosità del sito e il progetto del S. di ovviare al problema riscontrato, gli sarebbe stato addebitabile il disinteresse su aspetti importanti della sicurezza dello stabilimento rientranti nelle sue competenze).
3. I motivi sono Infondati con riferimento ad entrambi i vizi denunciati.
3.1. Invertendo l'ordine di esame delle doglianze, può intanto osservarsi - quanto all'inquadramento giuridico della posizione ricoperta dall'imputato operata dal giudice d'appello - che essa è assolutamente coerente con le norme di legge e con il costante orientamento di questa Corte di legittimità.
Giovi intanto un richiamo all'art 64 co. 1 lett. a), d.lgs. 81/2008, quanto agli obblighi del datore di lavoro: la norma opera un espresso rinvio al requisiti di salute e di sicurezza del luoghi di lavoro, per I quali prescrive la conformità ai requisiti indicati nell'allegato IV: al punto 1.5.14.1. di tale documento, è previsto che «Le aperture esistenti nel suolo o nel pavimento dei luoghi, degli ambienti di lavoro o di passaggio, comprese le fosse ed I pozzi, devono essere provviste di solide coperture o di parapetti normali, atti ad impedire la caduta di persone. Quando dette misure non siano attuabili, le aperture devono essere munite di apposite segnalazioni di pericolo».
Orbene, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro [cfr. sez. 4 n. 4361 del 21/10/2014 Ud. (dep. 29/01/2015), Ottino, Rv. 263200].
Peraltro, in ordine alla ripartizione degli obblighi di prevenzione tra le diverse figure di garanti nelle organizzazioni complesse, il Supremo Collegio di questa Corte ha definitivamente chiarito che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere sì trasferiti (con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante), a condizione che il relativo atto di delega ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (cfr. Sez. Unite n.38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261108).
Anche più di recente, del resto, si è affermato il principio in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, diretto precipitato di quelli già richiamati, secondo cui, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione [cfr. sez. 4 n. 6507 dell'11/01/2018, Caputo, Rv. 272464; già in precedenza cfr. sez. 4 n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253850 (in un caso in cui era stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto)].
Proprio con riferimento alla esatta individuazione del garante in tali specifiche ipotesi, si è precisato che il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli (cfr. sez. 4 n. 26294 del 14/03/2018, Passero Gamba, Rv. 272960).
3.2. La risposta alle censure difensive è del tutto coerente con i richiamati principi.
Intanto, deve premettersi che la responsabilità penale dell'Imputato, per la posizione di garanzia ricoperta all'interno di quella specifica realtà produttiva, non è stata attribuita in via automatica per il solo fatto di rivestire quel ruolo apicale e/o decisionale, bensì tenendo conto dell'effettivo contesto organizzativo e delle condizioni in cui egli si è trovato a operare. E' proprio la complessità organizzativa evidenziata a difesa a suggerire, secondo l'insegnamento del S.C. nella sentenza citata (cfr. Sez. Un. Espenhahn e altri, Rv 261103) che l'individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all'interno di ciascuna istituzione. Da un lato, a tal fine, rilevano le categorie giuridiche, i modelli di agente; dall'altro, I concreti ruoli esercitati da ciascuno. Si tratta «di una ricognizione essenziale per un'Imputazione che voglia essere personalizzata, in conformità ai sommi principi che governano l'ordinamento penale; per evitare l'indiscriminata, quasi automatica attribuzione dell'illecito a diversi soggetti.» (sul punto, cfr. anche sez. 4 n. 55005 del 10/11/2017, P.G. e P.C. in proc. Pesenti e altri).
Orbene, la Corte bresciana ha posto in rilievo la espressa delega del B.M. per la sicurezza, attribuitagli quale direttore dello stabilimento di Sarezzo delle ACCIAIERIE VENETE S.p.A., munito di ampia autonomia decisionale e di spesa e, in virtù di essa, ritenuto l'imputato gravato da responsabilità con riferimento a una intera unità produttiva autonoma, articolazione di un'organizzazione aziendale più complessa. Rispetto a tale posizione, peraltro, l'eventuale "presa in carico" da parte del S. - unicamente per vie di fatto peraltro - dell'onere di verifica interna della sicurezza del luogo di lavoro, conseguita all'Infortunio mortale verificatosi poco prima di quello oggetto del presente processo (per il quale la Corte territoriale ha pure rilevato che il B.M. aveva patteggiato una pena di otto mesi di reclusione), non era certamente idonea a escludere la posizione di garanzia autonomamente riconoscibile in capo all'imputato, opportunamente evidenziando che quella di terzi soggetti (anche ove ravvisabile, tenuto conto delle modalità della delega, certamente non conformi al disposto di cui all'art. 16 del d.lgs. 81/08) avrebbe potuto, al più, concorrere con quella del titolare, ma - in ogni caso e risolutivamente - non esonerare costui dall'onere di controllare gli adempimenti degli obblighi che la difesa ha ritenuto oggetto di una delega che, si ribadisce in questa sede, non era stata neppure formalizzata.
4. Anche per quanto riguarda il nesso eziologico, con specifico riferimento al giudizio controfattuale che la difesa ha ritenuto positivamente risolvibile in favore dell'Imputato, emerge una congrua risposta da parte del giudice dell'appello: questi ha, infatti, obiettato alla considerazione difensiva una valutazione in questa sede non sindacabile, rispetto alla quale mette conto evidenziare l'intrinseca contraddittorietà degli assunti difensivi (secondo cui, si rammenta, il lavoratore non avrebbe utilizzato neppure la copertura metallica ove già realizzata, cosicché il comportamento alternativo lecito non avrebbe scongiurato l'evento). La contraddizione si annida nella semplice considerazione che la copertura metallica era in fase di realizzazione allorché avvenne l'Infortunio, come pure rilevato dalla corte del merito. Essa, contrariamente agli assunti difensivi, ha correttamente operato il giudizio meramente ipotetico, necessario per verificare se il comportamento omesso avrebbe, con un alto grado di probabilità logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell'evento o comunque ridotto l'intensità lesiva dello stesso (sui connotati del quale pare sufficiente, in questa sede, un rinvio ai principi consolidatisi dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2002, Franzese in avanti e sino alla più recente Espenhahn e altri del 2014, citata), ponendo l'accento sulla diversità ontologica dei due differenti strumenti. L'uno (la siviera) era infatti presidio assolutamente precario e disfunzionale (siccome finalizzato ad altro scopo); l'altro era, invece, stabile e dedicato, atteso che la copertura metallica, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, sarebbe stata regolarmente apposta alla fossa e solo eventualmente rimossa, allorché fosse stato necessario collocarvi la siviera.
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In Roma il 23 gennaio 2020



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