Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2021, n. 46157 - Perdita di un occhio a causa di una violenta esplosione: mancanza di idonea protezione della zona scala dei tempi nella macchina insufflatrice
Fatto
1. La Corte di Appello di Brescia, pronunciando nei confronti dell'odierna ricorrente S.I., con sentenza del 18/12/2019 confermava la sentenza emessa in data 13/6/2018, all'esito di giudizio ordinario, dal giudice monocratico del Tribunale di Mantova, appellata dall'imputata, che l'aveva condannata, con concessione delle attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di mesi due di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, per: il delitto di cui all'art. 590 co. 1, 2, 3 cod. pen. perché nella sua qualità di Presidente del Cda della CAN 58 Marie Plastics srl e datore di Lavoro (in assenza di deleghe) di C.S. (assunto il 17 gennaio 2014 con contratto di somministrazione a tempo determinato fino al 14 febbraio 2014 prorogato per due volte fino al 1/4/2014) cagionava per colpa lesioni personali allo stesso consistite nella perdita quasi completa visus occhio destro per un grado di menomazione pari a circa 28 % e dunque lesioni permanenti comunque di durata superiore ai giorni quaranta (più di sei mesi): colpa consistita in generica negligenza ed imprudenza e, più specificatamente nella violazione di norme in materia sicurezza e prevenzione infortuni tra cui l'art. 68 co. 1 lettera B) D. Lvo 81/08 e l'art. 26 co. 2 Divo 81/08 mettendo a disposizione dei dipendenti un macchinario sul quale non era installata una adeguata protezione delle zone pericolose rendendole inaccessibili o comunque omettendo di predisporre adeguata segnalazione in tal senso e comunque omettendo di fornire al personale indicazioni operative sulle procedure da seguire durante le fasi di regolamentazione del timer e scala dei tempi: in particolare consentiva che C.S. (che mai aveva operato su una macchina con simili caratteristiche) lavorasse a fianco di S. (suo collega esperto che gli chiedeva di regolare sulla macchina soffiatrice 01 il timer e la scala dei timer impostandolo sul tempo di scarico di 15 secondi: una volta fornite tali indicazioni S. si allontanava momentaneamente e C.S. procedeva in sua assenza a ruotare la rotellina centrale del timer: tuttavia avvedutosi del fatto che la lancetta del timer non si spostava molava anche la ghiera esterna trasparente della rotellina centrale ponendola sul valore 1,5 secondi: (rotellina che corrispondeva alla scala dei tempi che in questo modo venivano modificati in maniera ristretta così da non consentire lo scarico dell'aria: si trattava di fatto di una rotellina che non doveva essere manomessa o toccata in alcun modo: questo spostamento del timer non veniva segnalata a S. che rientrava in postazione il quale, non accorgendosi di questa modifica, una volta terminato il ciclo di produzione del pezzo e aperto lo stampo, faceva sì che l'aria che non si era scaricata (per i tempi troppo stretti) determinasse il verificarsi di una esplosione che mandava in frantumi il plexiglass posto a protezione del cancelletto, uno dei pezzi colpiva l'addome di S. e un altro pezzo invece andava a colpire l'occhio di C.S. procurandogli le gravissime lesioni descritte in premessa: se la ditta avesse disposto una protezione della zona scala dei tempi segregando il timer e avesse predisposto adeguata segnalazione con divieto C.S. non si sarebbe avvicinato e non avrebbe operato sul timer alterandone i tempi e così determinando l'esplosione oggetto dell'infortunio, né può ritenersi un concorso di cause con la condotta di C.S. stesso che non ha avvisato e ha proceduto in maniera errata posto che l'operazione comunque non è eccezionale e i sistemi di prevenzione debbono proprio salvaguardare l'incolumità da comportamenti imprudenti. Fatto aggravato ai sensi dell'art. 590 c.p. commi 2 e 3 c.p. in quanto commesso in violazione di norme in materia infortunistica e cagionando lesioni gravissime. In Casalmoro (MN) il 17 aprile 2014.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, S.I., deducendo i sei motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo la ricorrente deduce erronea applicazione degli artt. 18 e 19 D. L.vo 81/08 - legittimità dell'affidamento del datore di lavoro sulla vigilanza del preposto esperto circa la segnalazione di eventuali situazioni di pericolo.
Ci si duole dell'errata lettura degli obblighi previsti dai citati articoli e dal generale dovere di collaborazione previsto dal T.U. della sicurezza sul lavoro in relazione alla responsabilità addebitata alla ricorrente per avere messo a disposizione dei lavoratori una macchina soffiatrice sulla quale si erano scolorite le indicazioni presenti sulla ghiera, necessarie a porre in condizione gli operatori di rendersi conto di eventuali errate predisposizioni dell'impianto.
In particolare si rileva che il datore di lavoro faceva affidamento sulla presenza del preposto S., lavoratore esperto, che annoverava fra i propri compiti quello di segnalare eventuali deficienze della attrezzature di lavoro e ogni altra situazione di pericolo.
Tra l'altro, lo scolorimento era percepibile soltanto da parte di chi utilizzava la macchina, e i manutentori intervenuti sulla stessa non lo hanno mai segnalato.
Lo stesso S. pur dichiarandosi consapevole dell'avvenuto scolorimento non ha dichiarato di averlo mai riferito al datore di lavoro.
Si contesta l'interpretazione data alla normativa antinfortunistica che, come affermato da questa Corte, con sentenza n. 8883/2016, è passata da un modello iperprotettivo, che individuava nel datore di lavoro l'unico o il principale soggetto garante, a un modello collaborativo in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti tra cui anche i lavoratori.
Pertanto, nel caso che ci occupa, corretto sarebbe stato l'affidamento riposto dal datore di lavoro sul preposto, che avrebbe dovuto informarlo per intervenire, tra l'altro con una minima spesa.
Si rileva, infine, che nessuna contestazione, in entrambi i giudizi di merito, è stata fatta al datore di lavoro su un'eventuale omessa vigilanza, che non può dedursi acriticamente dall'anomalia dello scolorimento delle scritte, accertata ex post.
Con un secondo motivo si deduce mancanza di motivazione sull'omessa vigilanza da parte del datore di lavoro e/o sulla conoscenza dello scolorimento delle scritte sulla ghiera dei tempi.
Sempre in relazione alla questione dello scolorimento delle scritte sulla ghiera della macchina, il ricorrente, ove si ritenga che la corte di appello abbia rilevato implicitamente un'omessa vigilanza da parte del datore di lavoro o, addirittura, la conoscenza, dello stato della macchina, contesta la mancanza di motivazione e di prova sul punto.
Con un terzo motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 41 cod. pen. sul concorso di cause, concretizzazione del rischio e non prevedibilità dell'evento quale conseguenza dell'omissione.
Si critica l'individuazione dell'omessa manutenzione della ghiera quale causa dell'evento, perché non avrebbe consentito allo C.S. di percepire che, girandola, stava modificando l'assetto della regolazione.
La ricorrente rileva di avere sottolineato sia in primo grado che in sede di appello, la mancanza di nesso causale tra la condotta e l'evento, che andava rinvenuto, invece, nell'esistenza di un vizio occulto della macchina per il sottodimensionamento della protezione in plexiglass, non adatta a resistere all'esplosione del pezzo in lavorazione.
La sentenza impugnata, sul punto, nel rilevare la mancanza di prova che un altro schermo avrebbe impedito l'evento, ritiene che anche ove fosse configurabile un concorso di cause, ciò non escluderebbe la responsabilità del datore di lavoro. A tale affermazione, si obietta che la circostanza che un altro schermo avrebbe retto non doveva essere dimostrata, in quanto sarebbe logico che, in una macchina ben costruita, lo schermo debba resistere a ogni tipo di esplosione trattenendo sia le parti del prodotto esploso che l'aria espulsa, essendo questa la funzione della protezione in plexiglass.
Il vizio della macchina non era percepibile e quindi era occulto, mentre la ghiera non era un dispositivo di sicurezza e serviva solo ad impostare i tempi di espulsione dell'aria insufflata nel pezzo.
La scoloritura delle indicazioni dei tempi sulla ghiera, poteva comportare l'impossibilità di modificare la scala dei tempi, ma non doveva costituire una situazione di prevedibile pericolo.
Va esclusa, pertanto, qualsiasi inottemperanza alle prescrizioni antinfortunistiche, che in ogni caso non sarebbero in prevedibile rapporto causale con l'infortunio verificatosi.
Si rileva l'importanza del giudizio controfattuale perché se le scritte sulla ghiera fossero state visibili, l'errore di impostazione sarebbe stato comunque possibile per imperizia o distrazione.
Tale circostanza veniva confermata dalla deposizione testimoniale resa dall'infortunato che dichiarava l'avvenuto verificarsi di episodi simili, meno gravi.
L'esplosione di un pezzo in lavorazione è un episodio possibile dovuto a diversi motivi, ma che doveva essere assorbito dalla barriera di plexiglass posta sulle macchine.
Pertanto, non essendo percepibile il vizio occulto della macchina con sottodimensionamento della protezione e facendo la ricorrente affidamento sulla corretta progettazione della macchina, la stessa non poteva prevedere ex ante che la propria omissione potesse determinare l'evento
Si ritiene non condivisibile il configurato concorso di colpa, che sarebbe stato sicuramente escluso ove fosse stato correttamente operato il necessario giudizio controfattuale, essendo la causa dell'evento riconducibile esclusivamente al vizio occulto della macchina.
Con un quarto motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 64 co. 1 D.L.vo 81/08, ritenendo che vada escluso che la ghiera dei tempi sia un dispositivo di sicurezza.
Ci si duole dell'errata affermazione di sussistenza della violazione dell'articolo citato, nonostante lo specifico motivo di appello volto ad ottenere una pronuncia di non doversi procedere per mancanza di querela.
La corte distrettuale ha ritenuto, senza motivare sul punto, che la ghiera costituisse un dispositivo di sicurezza.
Si rileva che la mancanza di motivazione preclude una replica puntuale, ma si rileva comunque, ancora una volta, che la mancata indicazione dei tempi sulla ghiera avrebbe dovuto avere come unica conseguenza un errore di impostazione o l'impossibilità di impostare i tempi, impedendo la realizzazione del pezzo.
Si ribadisce che l'esposizione del lavoratore al rischio è stata determinata unicamente dal sottodimensionamento della protezione in plexiglass.
Di conseguenza sarebbe errata la contestazione del generico obbligo di manutenzione previsto dall'art. 64 co. 1 D.L.vo 81/08.
Con un quinto motivo si deduce vizio di motivazione sul concorso di colpa dell'infortunato e sulla condotta del preposto.
Ci si duole dell'avvenuta esclusione del concorso di colpa del lavoratore sul presupposto che sarebbe stata la prima volta che utilizzava la macchina, dotata di una seconda ghiera a differenza delle altre.
Tale circostanza sarebbe errata come documentato fotograficamente, essendo dotate di seconda ghiera anche le altre macchine su cui lo C.S. aveva già lavorato.
Si critica la ritenuta inattendibilità del preposto S. che, a differenza di quanto affermato nella sentenza impugnata, non avrebbe avuto interesse a mentire essendo già stata esclusa in fase di indagini una sua responsabilità penale e avendo egli confermato in dibattimento quanto dichiarato durante le indagini.
Del resto la circostanza che lo C.S. fosse stato ben istruito sulla necessità di non muovere la ghiera dei tempi, sarebbe confermata dal fatto che lo stesso aveva già lavorato per quattro mesi sulle altre soffiatrici anch'esse dotate di doppia ghiera per i secondi e per i tempi.
Si riporta la testimonianza resa dall'ing. Segni che conferma l'esistenza delle ghiere su tutte le soffiatrici e la loro funzione.
Lamenta la S.I. che l'esclusione di concorso colposo del lavoratore è fondata sull'immotivato giudizio di inattendibilità dello S. e sull'errato presupposto che il timer e il posizionamento delle ghiere fosse diverso sulla soffiatrice 1 dove avveniva l'incidente rispetto alle altre macchine.
Viene precisato che il concorso di colpa è stato invocato non per escludere il rapporto di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento, ma perché la stessa ha rilievo sul grado di colpa della S.I. e sulla determinazione della pena. La ricorrente pone l'accento sul ruolo nella determinazione dell'evento del preposto S. al quale era stato affidato l'addestramento del lavoratore e sul quale incombeva l'onere di segnalare lo scolorimento delle indicazioni sulla macchina.
Sul punto il tribunale non si sarebbe pronunciato, mentre la corte di appello avrebbe affrontato il motivo sommariamente e parzialmente affermando che la mancata segnalazione dell'usura della macchina non esclude la responsabilità della S.I., senza alcun accenno al fatto che il lavoratore fosse stato affidato al preposto per il periodo di addestramento.
Al di là del problema della mancata segnalazione dell'usura, già affrontato, si rileva che la fase di addestramento riveste un importanza fondamentale e richiede una vigilanza costante che è mancata, come ammesso dallo stesso S..
Nessuna rilevanza avrebbe il fatto che lo S. non si sia avveduto della modifica dell'unità di misura del timer, per via degli indicatori sbiaditi, che lui stesso doveva segnalare.
Con un sesto motivo si deduce vizio di motivazione sui criteri adottati per la determinazione della pena e sulla richiesta di sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria.
Ci si duole della mancanza di motivazione, in entrambe le sentenze di merito sulle modalità di determinazione della pena, al di là di un richiamo alle conseguenze del reato e la gravità del danno riportato dalla persona offesa, senza alcuna indicazione sulla valutazione degli altri parametri previsti dall'art. 133 cod. pen. e del grado di colpa, di cui si era chiesta la valorizzazione con i motivi di appello.
Si critica l'affermazione sull'inefficacia di una pena più contenuta rispetto al disvalore del fatto e alle sue conseguenze, che non sarebbe stata motivata, mentre è proprio in funzione dell'efficacia della pena che il giudice deve dare conto dei criteri utilizzati per la determinazione della pena.
Si rileva l'assoluta lievità del grado di colpa della ricorrente, del resto come segnalato nell'atto di appello e non confutato dalla sentenza impugnata la S.I. ha assunto un lavoratore con precedenti esperienze lavorative, lo ha fatto formare e affiancare e nessuna segnalazione aveva ricevuto dello scolorimento degli indicatori sulla ghiera.
Inoltre l'infortunio è avvenuto durante una distrazione del preposto.
Tali circostanze, unitamente al vizio occulto della macchina, giustificherebbero l'irrogazione di una pena prossima al minimo o almeno il riconoscimento di una pena pecuniaria sostitutiva.
Tra l'altro nessuna motivazione è stata fornita su quest'ultima richiesta.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio o con rinvio per la rideterminazione della pena.
In subordine si chiede che la pena detentiva venga sostituita con pena pecuniaria della stessa specie ex art. 53 L.689/81.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore del ricorrente Avv. Gaetano Alaia del Foro di Mantova che ha insistito perché la sentenza impugnata venga annullata senza rinvio o con rinvio per la rideterminazione della pena o, in subordine, si chiede che la pena detentiva venga sostituita con pena pecuniaria della stessa specie ex art. 53 L. 689/81. Con revoca della sospensione condizionale della pena.
Diritto
1. Non essendo tutti i motivi sopra illustrati manifestamente infondati, il Collegio non può che prendere atto dell'intervenuta prescrizione del reato e pertanto, stante l'assenza di parti civili, annullare senza rinvio la sentenza impugnata per l'estinzione del reato.
Riscontrata ex actis la mancanza di periodi di sospensione della prescrizione, al 17/10/2021 risulta infatti decorso per il reato contravvenzionale in imputazione il termine prescrizionale massimo di sette anni e mezzo.
Non trova, infatti, applicazione al processo in esame alcuna delle sospensioni della prescrizione.
La sentenza di secondo grado risulta, infatti, emessa il 18/12/2019 e la motivazione depositata il 18/1/2020.
Il ricorso per cassazione risulta depositato il 2/3/2020 e pervenuto il 5/3/2020 (il fascicolo verrà poi inviato a questa Corte molti mesi dopo e risulta pervenuto il 18/2/2021).
Pertanto, il 9/3/2020 non era pendente alcun termine processuale e le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno chiarito che, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell'emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'll maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale (così Sez. Un., n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432, nella cui motivazione, la Corte ha escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta all'art. 83, co. 4, d.l. n.18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia).
Alla luce delle pronunzie di merito nemmeno si configura, infatti, l'evidenza della prova che consentirebbe l'adozione di una decisione liberatoria nel merito ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. (cfr. Sez. Un. n. 35490 del 28/5/2009, Tetta manti, Rv. 244275).
2. Ebbene, i primi cinque motivi di ricorso, in punto di responsabilità, sono inammissibili perché manifestamente infondati, in quanto in gran parte meramente ripropositivi di doglianze già argomentatamente e logicamente confutate dalla Corte territoriale.
Pacifica è la ricostruzione dell'evento, avvenuto durante l'utilizzo di una macchina insufflatrice per la realizzazione di oggetti in plastica vuoti, tipo taniche, a causa dell'errata regolazione del timer dei tempi di sfiato, che risultavano azzerati e pertanto determinavano l'esplosione del pezzo con un fortissimo getto d'aria che colpiva lo C.S. all'occhio destro provocandogli la perdita completa del visus.
Come ricordano i giudici di merito, nella fase produttiva che qui interessa la produzione avviene immettendo la materia prima (granulato in polimero termoplastico) nella macchina prescelta (secondo il tipo e la dimensione del manufatto da produrre), che, portata alla temperatura necessaria, viene immessa nello stampo all'uopo predisposto.
Ottenuta la forma desiderata e raffreddata la materia plastica, viene immessa nel manufatto aria compressa, in modo tale da determinare la formazione della cavità, facendo così assumere al prodotto la forma, anche interna, di una tanica. A questo punto, è necessario procedere, sempre per il tramite della macchina soffiatrice, allo scarico della pressione che si è formata nel corpo cavo del manufatto e quindi l'impianto apre lo stampo e scarica il prodotto finito.
Nel caso in cui l'aria compressa immessa nel corpo in plastica per creare la cavità non fosse scaricata o fosse scaricata in modo insufficiente prima dell'apertura degli stampi, all'apertura degli stessi il pezzo prodotto, per effetto della pressione immagazzinata, fuoriuscirebbe in maniera violenta, così come verificatosi nel caso oggetto del procedimento.
In particolare, la macchina soffiatrice presso la quale erano avvenuti i fatti (poi dismessa dalla Can SB Marine Plastics srl) prevedeva un sistema di controllo e determinazione del tempo di scarico della pressione prima dell'apertura degli stampi che veniva impostato con una ghiera.
Il tempo di scarico della pressione dipendeva dal tipo di prodotto che era in produzione e mediamente per ogni singolo prodotto la produzione era settimanale. In altre parole, gli stampi venivano cambiati una volta alla settimana ed in tale occasione era necessario dare un nuovo assetto alla macchina, compreso il tempo di scarico della pressione, che dipendeva dalla quantità di aria immessa in relazione alle dimensioni della tanica e, conseguentemente, della cavità da realizzare.
Quanto alla dinamica dell'incidente, la stessa era ricostruita sulla scorta dei due testimoni oculari.
Il 17 aprile 2014, lo S. e lo C.S. stavano predisponendo la macchina soffiatrice presso la quale è avvenuto l'infortunio, al fine della produzione delle taniche da eseguire in quei giorni. Lo C.S. era stato assunto dal gennaio 2014 ed era destinato a ricoprire le funzioni di caporeparto esercitate anche dallo S., che pertanto lo stava addestrando. I due, in quel periodo, curavano la predisposizione di volta in volta delle macchine soffiatrici a seconda delle esigenze della produzione, il che avveniva curando le varie impostazioni e provando quindi a realizzare uno o più pezzi, sino a quando il prodotto non era soddisfacente e poteva quindi iniziare la produzione in serie.
Il tempo di scarico della pressione dell'aria immessa nel pezzo da produrre avrebbe dovuto essere impostato, secondo le istruzioni ricevute, in 15 secondi. All'impostazione del tempo di scarico, prima di produrre il primo pezzo, aveva provveduto lo C.S., il quale, chiesto allo S. se poteva impostare il timer dello scarico della pressione ed avuto l'assenso del compagno esperto, vi aveva provveduto, mentre lo S. si era spostato per espletare un'altra incombenza (così la deposizione C.S.). L'operazione era già stata fatta dallo C.S. su altre macchine soffiatrici, ma non su quella che poi causò l'infortunio. Secondo lo S., invece, lo C.S. aveva già fatto qualche altra volta l'operazione su quella macchina: riteneva il giudice che le errate modalità con cui aveva operato lo C.S. rendevano più verosimile la versione di quest'ultimo.
La ghiera dei tempi era formata da due ghiere sovrapposte, una più piccola interna, agendo sulla quale si determinava l'unità di misura del tempo (secondi, decimi di secondo, centesimi di secondo, millesimi di secondo) e una ghiera corrispondente alla circonferenza esterna, che determinava invece la quantità di tempo, nella unità di misura stabilita con la ghiera più piccola.
C.S. "per inesperienza" nell'impostare il tempo di scarico della pressione immessa nel manufatto da produrre, aveva girato in un primo tempo la manopolina centrale (e quindi aveva modificato la scala dei tempi) e quindi, visto che i numeri "non si muovevano" (intesi quelli messi ad arco attorno alla circonferenza grande della ghiera) aveva mosso la ghiera più grande che impostava sul 15 (queste le sue parole: "sono andato lì dove è il timer, ho girato la manopolina centrale e ho visto che non si muoveva niente nel timer... e allora dopo un po' che ho girato... ho girato la manopola quella esterna, che è quella più grande, e ho visto che si muovevano i numeri; quindi, ho impostato secondo il foglio che mi aveva lasciato... secondo le istruzioni che c'era da impostare per quel pezzo lì").
Così facendo però, la persona offesa aveva prima manomesso, operando sulla rotellina o ghiera centrale, la scala dei tempi, ed aveva modificato il tempo in millesimi di secondo, anziché in secondi, determinando l'evidente assoluta insufficienza del tempo di scarico dell'aria compressa, da 15 secondi a 15 millesimi di secondo.
Lo S., a sua volta, giratosi prima di mettere in moto la soffiatrice, aveva visto che la ghiera grande era sul tempo 15 e, non sapendo che era stata mossa la ghiera centrale e quindi la scala dei tempi, aveva dato l'assenso all'avvio della soffiatrice ("io ero ad un metro e mezzo girato di spalle che mi avevano chiamato. mi son girato e ho visto che era a 15 e ho detto: "Bon, è giusto, 15 secondi", però io non sapevo che lui aveva mosso la rotellina, quella in mezzo" pag. 36 verbale di udienza).
La soffiatrice aveva quindi eseguito la produzione del primo pezzo e gli stampi, apertisi dopo soli 15 millesimi di secondo di scarico dell'aria, per la pressione in terna dell'aria medesima, che era sostanzialmente intatta e fortissima, avevano lasciato fuoriuscire con violenza il manufatto di plastica, al cui interno vi era l'aria in pressione; il manufatto aveva colpito la protezione in plexiglass posta innanzi all'imboccatura e quindi, infrantala, un frammento di quest'ultima o della tanica aveva colpito l'addetto S. all'addome (senza cagionargli lesioni) e l'addetto C.S. all'occhio destro, provocandogli una lesione (che aveva determinato una malattia di circa 150 giorni e la perdita completa del visus dell'occhio colpito). Secondo quanto precisato dallo C.S. gli accertamenti eseguiti presso l'ospedale avevano stabilito che il colpo all'occhio non era stato dovuto ad un pezzo del manufatto, ma all'onda d'urto provocata dall'uscita violenta dalla macchina.
3. Così ricostruita la dinamica dell'incidente, quanto alle responsabilità dello stesso, i giudici di merito osservavano che era emerso un grave difetto di manutenzione della ghiera dei tempi posta sulla soffiatrice, che non mostrava alcuna evidenza della propria funzione, né alcuna evidenza di eventuali spostamenti.
La censura della ricorrente, che, non ritiene corretta la contestazione del generico obbligo di manutenzione di cui all'art. 64, co. 1, cit. in quanto la ghiera in questione non rientrerebbe nei dispositivi che, se non manutenuti, potrebbero pregiudicare la sicurezza dei lavoratori, oltre che parziale rispetto alla fissazione delle norme determinative della regola cautelare di riferimento, è stata motivatamente ritenuta dalla Corte di merito manifestamente infondata, laddove si tenga conto che l'art. 64, co. 1, lett. c) prevede per i luoghi di lavoro, gli impianti e dispositivi, l'obbligo di sottoposizione a regolare manutenzione tecnica e di eliminazione, quanto più rapidamente possibile, dei difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori, per tal via riferendosi non alla ghiera in sé, ma all'intero impianto chi la parte offesa era addetta, il cui utilizzo in sicurezza richiedeva la possibilità di prevenire errori nella programmazione dell'apertura degli stampi per consentire l'uscita controllata dell'aria compressa.
In realtà, i vari profili di doglianza contestano sotto vari profili la ritenuta violazione della regola cautelare.
Ci si duole, ad esempio, con il primo motivo, che il giudice del gravame del merito abbia omesso di considerare che lo scoloramento della ghiera dei tempi della soffiatrice n. 1 non era immediatamente percepibile se non dall'operatore che utilizzava la soffiatrice o dai manutentori, e che nessuno di questi aveva informato l'imputata (anzi lo S. aveva ammesso di essere consapevole dello scoloramento.
Tuttavia, sul punto il ricorso non contesta né la decisività di indicazioni non scolorite sulla ghiera per l'immediata comprensione delle esatte modalità di utilizzo, né la prevedibilità dello scolorimento, mentre, come detto, la regola cautelare, come sopra individuata, imponeva al datore di lavoro di vigilare sulla sicurezza della macchina, facendosi carico di organizzare un adeguato sistema di controllo e prevenzione.
Si lamenta con il secondo motivo che la Corte territoriale abbia omesso di motivare sulla inosservanza dell'obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro, e con il terzo e il quarto, che abbia erroneamente escluso che la causa esclusiva dell'incidente fosse il vizio occulto della macchina, consistente nell'inidoneità dello schermo in plexiglass a resistere all'urto violento dell'aria compressa improvvisa mente sprigionatasi per effetto dell'errata programmazione dei tempi di apertura dello stampo.
Ebbene, in un sistema di produzione a rischio come quello delineato, la cui esistenza non viene neppure dedotta, la responsabilità del datore di lavoro non può dirsi certo surrogata, secondo la logica motivazione dei giudici di merito, dal mero affidamento sulla estemporanea e volontaria segnalazione da parte del preposto e del manutentore. Ciò in assenza della prova di uno specifico incarico in tal senso conferito a tali soggetti, nel contesto di meccanismi di prevenzione prede terminati con l'individuazione dei fattori di rischio e delle soluzioni per affrontarli (in altri termini, il datore di lavoro avrebbe dovuto indicare le cautele che, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio del comportamento del lavoratore, poiché le norme di prevenzione mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia).
Quanto al presunto vizio occulto in sede di costruzione del macchinario, lo stesso è stato motivatamente escluso dalla Corte territoriale quale causa delle lesioni, in quanto si è ritenuto che queste ultime siano state determinate dal solo getto violento di aria compressa, con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria e il ricorso non deduce alcun travisamento della prova di tale fatto, limitandosi a riproporre la questione per invocarne una diversa soluzione di merito. La tesi difensiva del vizio occulto della macchina, che era in uso presso l'azienda da ben 27 anni, è stata correttamente e logicamente ritenuta non sostenibile. Piuttosto l'età della macchina è indicativa della necessità di manutenzione della stessa e di adeguamento agli odierni parametri di sicurezza.
4. Manifestamente infondata è anche la doglianza, sviluppata nel quinto motivo di ricorso, in cui si censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale negato il contributo causale esclusivo alla condotta dell'infortunato, per effetto della sua manovra imprudente, e del collega S., il quale, come addestratore del giovane ed inesperto collega, avrebbe dovuto assisterlo nella manovra di programmazione del timer.
Sul punto la Corte bresciana. con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, ha escluso la colpa concorrente dell'infortunato, il quale giovanissimo era privo di esperienza nel settore, essendo stato assunto con contratto a termine, tramite un'agenzia interinale, tanto è vero che risultava affiancato dallo S. preposto all'addestramento. La precedente esperienza lavorativa era di elettricista.
La circostanza che le altre macchine sulle quali aveva svolto analoghe mansioni fossero dotate o meno dello stesso sistema di impostazione del timer di sfiato appare ininfluente, ai fini dell'odierno decidere, non potendo certamente ritenere non prevedibile che il lavoratore, inesperto, potesse errare nell'impostazione delle ghiere posizionate sulle macchine.
E' evidente che la mancata segnalazione del divieto di spostare il timer dei tempi, o il bloccaggio in qualche modo della rotella del timer, in aggiunta alla circostanza che la parte computerizzata della macchina non dialogava con la re golazione dei tempi di scarico, ha determinato il verificarsi dell'evento. Mentre l'assenza di indicatori a seguito dello scolorimento per vetustà ha impedito al preposto di avvedersi dell'avvenuta manomissione del timer.
Né può ritenersi circostanza imprevedibile che lo S. si sia distratto, anche solo pochi secondi, e non abbia percepito l'avvenuta manomissione così come non configurabile è un suo concorso di colpa.
Questa Corte di legittimità, peraltro, ancora di recente, ha ribadito che, in tema di infortuni sul lavoro non è configurabile il concorso di colpa del lavoratore allorquando te disposizioni di sicurezza dettate dal datore di lavoro e non rispettate dal dipendente siano di per sé illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza (Sez. 3, n. 37383/2021).
Va peraltro evidenziato che la colpa (esclusiva o concorrente) dello S. non risulta dedotta, in modo specifico, nella fase di merito e comunque presuppone, in disparte l'ambigua definizione di accertatore e l'incertezza dei relativi confini, la riconoscibilità da parte sua, dell'erronea programmazione del timer di apertura sulla griglia, nonostante lo scolorimento, condizione che la sentenza di primo grado aveva escluso, punto che il ricorso non riferisce di aver specificamente censurato con l'appello;
5. Tuttavia, come si diceva, non è manifestamente infondato il sesto motivo del ricorso proposto nell'interesse della S.I., con il quale ci si duole dell'omessa risposta della Corte territoriale relativamente alla richiesta di sostituzione della pena detentiva irrogata con quella pecuniaria ex art. 53 I. 689/81.
Orbene, la richiesta, come si evince dall'atto di appello del 4/10/2018 a firma dell'Avv. Gaetano Alaia, cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere in ragione della natura della doglianza, era effettivamente stata operata (cfr. pagg. 14-15).
Alla stessa non era, peraltro, ostativa, l'avvenuta concessione all'imputata dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.
Questa Corte di legittimità ha, infatti, chiarito - e va qui ribadito- che la sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria è compatibile con il beneficio della sospensione condizionale della pena, poiché l'interessato è portatore di un interesse giuridicamente rilevante ad ottenere entrambi i benefici; invero, in ipotesi di eventuale revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, il condannato che abbia ottenuto la sostituzione della pena detentiva irrogatagli con la corrispondente pena pecuniaria sarebbe sottoposto all'esecuzione non della pena detentiva, ma soltanto della pena pecuniaria, come determinata in sede di conversione, con conseguente trattamento sanzionatorio meno afflittivo (così Sez. 3, n. 46458 del 22/10/2009, Mbengue, Rv. 245618 e Sez. 2, n. 40221 del 10/07/2012 Sgroi ed altro, Rv. 253447).
Già in precedenza, peraltro, si era condivisibilmente affermato che la sostituzione della pena detentiva breve irrogata con la corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689 del 1991, non pregiudica l'applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena in quanto la pena sostitutiva è, comunque a tutti gli effetti, una sanzione penale (così Sez. 5, n. 18731 del 11/4/2007, Natalizio, Rv. 236927 che ha ritenuto illegittima la decisione con cui il giudice di appello aveva rigettato l'istanza di sostituzione della pena detentiva - solo perché condizionalmente sospesa - stante la compatibilità della sospensione condizionale con la pena sostitutiva che è a tutti gli effetti una sanzione penale; conf. Sez. 2, n. 40221 del 10/07/2012, Sgroi ed altro, Rv. 253447).
Orbene, non manifestamente infondato è il rilievo difensivo secondo cui la sentenza impugnata non motiva specificamente sulla richiesta di sostituzione della pena detentiva irrogata ex art. 53 I. 689/81.
Né può ritenersi, ad avviso del Collegio, che la risposta possa individuarsi implicitamente nel breve passaggio motivazionale di pag. 11, ove si legge che " ...inefficace ed inadeguata al disvalore del fatto e alle sue conseguenze sarebbe la irrogazione della sola pena pecuniaria o una pena più contenuta".
La sostituzione delle pene detentive brevi, infatti, comporta una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l'osservanza dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., prendendo in esame, tra l'altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (cfr. Sez. 3, n. 19326 del 27/1/2015, Pritoni Rv. 263558, che ha ritenuto manifestamente illogica la valutazione operata dal giudice di merito che, pur concedendo all'imputato la sospensione condizionale della pena, aveva rigettato la richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria in ragione della pericolosità dell'impu tato e della sua "proclività alla violazione della legge penale")
Occorreva che il giudice del merito, secondo i criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., prendesse in esame le modalità del fatto, la personalità del condannato e le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale al fine di valutare l'idoneità della sostituzione al reinserimento sociale dello stesso e di formulare una prognosi circa l'adempimento delle prescrizioni applicabili (cfr. Sez. 2, n. 21459 del 07/03/2019, Diouf Papa, Rv. 276064). Il che, nel caso in esame, non è avvenuto.
La non manifesta infondatezza del motivo in esame, dunque, ha ben radicato il grado di giudizio dinanzi a questa Corte di legittimità e pertanto, come detto, si è dovuto prendere atto dell'intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 24 novembre 2021