Cassazione Penale, Sez. 4, 16 marzo 2020, n. 10132 - Crollo di un muro e ferimento del lavoratore. Cumulo di incarichi dell'imputato: responsabile dei lavori, coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecutiva e direttore dei lavori
1. La Corte di appello di Genova l'8 novembre 2018 ha integralmente confermato la sentenza con cui il Tribunale di Imperia il 22 dicembre 2017, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto E.B. responsabile del reato di lesioni colpose gravi nei confronti di B.R., con violazione della disciplina antinfortunistica, commesso il 9 marzo 2011, in conseguenza condannandolo alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni alla parte civile.
2. I fatti in breve, come ricostruiti dai giudici di merito.
2.1. Nel 2006 erano stati autorizzati lavori di restauro e di risanamento conservativo, con incremento volumetrico, di un edificio; la proprietà aveva incaricato la s.a.s, "EdilG.E.", il cui legale rappresentante era G.E., della realizzazione dei lavori; responsabile dei lavori, coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecutiva ed inoltre direttore dei lavori (come si legge alla p. 2 della sentenza di primo grado), oltre che progettista delle strutture in cemento armato (p. 4 della sentenza di primo grado), era l'architetto E.B., odierno ricorrente.
I lavori si erano protratti oltre la data originariamente prevista per la sopravvenuta necessità di eliminare un'infiltrazione di umido derivante dalla risalita di acqua sotterranea in una parte dell'edifico.
Durante l'attività di estrazione di alcune pietre dalla parte bassa di un muro esterno dell'immobile, al fine di creare una presa d'aria, il lavoratore che vi era in quel momento addetto, B.R. , il 9 marzo 2011 è stato travolto dal crollo del muro, riportando plurime fratture e serie conseguenze per la salute.
I giudici di merito (v. spec. p. 2 della sentenza di primo grado) danno atto che le indagini svolte hanno permesso di accertare, tra l'altro, quanto segue: che il lavoratore infortunatosi era al primo giorno di lavoro, che stato assunto completamente "in nero", dopo essere stato "selezionato" due giorni prima dal subappaltatore dei lavori A.K. (coimputato, la cui posizione è stata separatamente giudicata con applicazione di pena su richiesta; l'altro coimputato Enrico G.E. ha, invece, chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato) in una piazza cittadina nota per l'arruolamento delle maestranze in nero, e che gli era stato detto solo di "togliere due pietre" dalla base del muro in questione, in conseguenza crollato addosso al malcapitato;
che ai plurimi sopralluoghi per verificare come risolvere il problema dell'umidità parteciparono certamente i proprietari dell'immobile, l'arch. E.B. ed anche, almeno una volta, sia pure senza interagire con gli altri, A.K. (pp. 5-6 della sentenza di primo grado), il quale, almeno secondo la versione difensiva dell'odierno ricorrente, era stato scambiato per un dipendente della ditta di G.E., non avendo colto che era una figura autonoma e non essendo stato E.B. informato - sempre in tesi difensiva - della avvenuta stipula di un contratto di subappalto;
che i P.O.S. delle due imprese (sia di G.E. sia di A.K.) presentano la firma dell'imputato, il quale assume, però, di averla apposta soltanto dopo l'infortunio, per mera "presa visione", e di non sapere, prima di esso, della presenza del subappaltatore, circostanza di fatto quest'ultima che però non è stata stimata non credibile né dal Tribunale (p.6) né dalla Corte di appello (p. 7).
2.2. L'architetto E.B., che, come detto, rivestiva le qualità di responsabile dei lavori, di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecutiva e di direttore dei lavori (come si legge alla p. 2 della sentenza di primo grado) è stato riconosciuto responsabile dalla Corte di appello sia per avere omesso - inadempimento stimato rilevante - di aggiornare il piano di sicurezza e di coordinamento, attività che, secondo i giudici di merito, non ricomprendeva specificamente i lavori sul muro in pietra per tentare di risolvere il problema derivante dall'umidità, sia per avere omesso di verificare la sicurezza dei lavori che si stavano svolgendo:
quanto al primo aspetto, la Corte territoriale ha disatteso la linea difensiva, incentrata sull'assunto secondo cui la dicitura, effettivamente presente nel documento, come accertato dal consulente del P.M., "demolizione di fabbricati di qualsiasi genere", fosse sufficiente a ricomprendere la lavorazione in questione, che presentava la peculiarità di agire su di un rivestimento in pietra naturale, privo di aggancio al sottostante manufatto in calcestruzzo e retto soltanto dalla forza di gravità, trattandosi, in realtà, di una nuova lavorazione non riconducibile alla precedente (p. 7 della sentenza impugnata);
quanto all'ulteriore tema, si è ritenuto da parte della Corte di merito (alla p. 7) irrilevante che l'appaltatore non abbia avvisato l'arch. E.B. della data esatta in cui i concordati lavori sarebbero stati eseguiti, cioè il 9 marzo 2011 (come si legge anche alla p. 6 della sentenza di primo grado), «perché l'odierno imputato, quale direttore dei lavori stessi, sarebbe stato obbligato ad intimare a chi dette opera avrebbe eseguito, di porle in essere con le modalità necessarie (cd. "cuci e scuci") e di controllare (quale coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione) che ciò fosse fatto, in particolare non sottostando certo ai desiderata dell'impresa appaltatrice (e/o subappaltatrice) in ordine alla relativa tempistica, che avrebbe invece dovuto essere, al contrario, proprio da lui imposta».
3. Ciò posto, ricorre per la cassazione dell'ordinanza l'imputato tramite difensore, affidandosi a due motivi, con i quali, richiamata preliminarmente l'attenzione sulle conseguenze della prescrizione del reato contestato, denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
3.1. In particolare, con il primo motivo censura mancanza della motivazione e/o apparenza della stessa e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della giustificazione sul punto relativo alla condotta - che si stima impossibile e priva di supporto probatorio - che la Corte di appello pretende dall'arch. E.B., cioè di essere presente in cantiere onde evitare l'evento - infortunio.
La sentenza sarebbe affetta, secondo il ricorrente, da «un macroscopico difetto di motivazione: questa si pone in maniera meramente apparente laddove non il risultato di un vero e proprio travisamento della prova per invenzione» (così alle pp. 1-2 del ricorso).
Premesso che il capo di accusa addebita all'imputato due profili di colpa, e cioè avere omesso di verificare la sicurezza dei lavori sul cantiere ed avere omesso di adeguare il P.S.C. (paino di sicurezza e di coordinamento) in relazione ai lavori, si rammenta che il Tribunale ha ritenuto E.B. responsabile solo per il secondo tra i due, mentre la Corte territoriale, con ragionamento che si stima incomprensibile e, peraltro, in difetto di impugnazione, ha ritenuto, invece, sussistenti entrambi i profili di colpa. Infatti, la Corte di merito ha motivato sul rapporto di causalità tra mancata presenza dell'arch. E.B. in cantiere ed evento, esigendo la presenza fisica dello stesso nel cantiere, appellandosi a norme e/o a principi e/o a regole che si ignorano e, comunque, che, ad avviso della difesa, non appartengono al processo.
Particolarmente illogico sarebbe, secondo il ricorrente, il passaggio motivazionale che si rinviene alla p. 7 della decisione impugnata, ove si legge che è incontestato che l'appaltatore non abbia avvisato l'arch. E.B. della data in cui i lavori sarebbero stati eseguiti ma, subito dopo, che «l'odierno imputato, quale direttore dei lavori stessi, sarebbe stato obbligato ad intimare a chi dette opera avrebbe eseguito, di porle in essere con le modalità necessarie (cd. "cuci e scuci") e di controllare (quale coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione) che ciò fosse fatto, in particolare non sottostando certo ai desiderata dell'impresa appaltatrice (e/o subappaltatrice) in ordine alla relativa tempistica, che avrebbe invece dovuto essere, al contrario, proprio da lui imposta», ciò che costituirebbe «una macroscopica patologia del ragionamento [...] poiché la Corte di appello, pur dando atto che l'arch. E.B. non fu avvisato dell'inizio dei lavori, ne pretende (non si sa come - e la motivazione non lo spiega) la presenza sul cantiere, e nel fare ciò si avvale di argomentazioni di puro genere e/o di proposizione prive di efficacia dimostrativa (motivazione apparente) e comunque di informazioni che non risultano dagli atti del processo» (così alle pp. 4-5 del ricorso).
Inoltre, l'affermazione dei giudici di merito che l'arch. E.B., in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, avrebbe dovuto essere presente in cantiere, come ritenuto dalla Corte di appello, è smentito dalla giurisprudenza di legittimità invocata dal ricorrente, che richiama Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, P.C. in proc. Revello, Rv. 270991-01, ove si puntualizza che «In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto». .
Sottolinea poi il ricoorrente la impossibilità di invocarsi il limita derivante dalla c.d. doppia-conforme, in quanto nel caso di specie vi è difformità, come si è detto, tra le due pronunzie di merito quanto alla individuazione dei profili di colpa addebitabili all'imputato; infatti, «la pronuncia di assenza di responsabilità per la mancata presenza sul cantiere dell'architetto E.B. emessa dal Giudice di primo grado è in contrasto palese e insormontabile con la motivazione di segno completamente opposto che si legge nella sentenza di appello» (così alla p. 6 del ricorso), venendo la Corte territoriale a "recuperare" un profilo di responsabilità che era stato escluso dal Tribunale ed a valorizzare aspetti non posti alla base della condanna pronunziata in primo grado, tra l'altro ingenerando confusione quanto alla efficacia causale delle condotte.
3.2. Mediante il secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 40 e 43 cod. pen. e, nel contempo, mancanza e/o contraddittorietà della motivazione sul punto relativo al mancato adeguamento del P.S.C., essendosi il giudice di merito limitato - ad avviso del ricorrente - alla verifica circa l'inosservanza da parte dell'imputato dell'obbligo di adeguamento senza tuttavia pronunziarsi né sulla riconducibilità causale dell'evento alla condotta attesa ma non posta in essere né sulla c.d. "eziologia della colpa" o "causalità della colpa".
La Corte di appello - si assume - ha omesso il doveroso giudizio contro-fattuale, non ha ragionato in termini di elevata probabilità logica, come sottolineato anche dalle Sezioni Unite della S.C., non si è domandata che cosa sarebbe accaduto se l'imputato avesse posto in essere il comportamento richiesto, condannandolo sulla base di un mero automatismo, per effetto della semplice presa d'atto della omessa adozione da parte del titolare della posizione di garanzia delle specifiche cautele prescritte dalla normativa di settore. Ed ha trascurato che è emerso dall'istruttoria che la p.o. era un giovane straniero inesperto reclutato all'ultimo momento in maniera del tutto irregolare da altra persona (il datore di lavoro) ed adibito a mansioni per le quali non era idoneo.
La motivazione, dunque, sarebbe sostanzialmente mancante, non risponderebbe alle doglianze svolte con il terzo motivo di appello, e sarebbe incentrata soltanto su di un ragionamento circolare, logicamente fallace.
Infine, la Corte di appello avrebbe trascurato il tema della causalità psichica, del grado di esigibilità della regola cautelare violata e della conseguente rimproverabilità del fatto colposo antigiuridico all'imputato sulla base di parametri personalistici, non domandandosi se il comportamento alternativo lecito fosse o meno esigibile dal soggetto agente "in carne ed ossa", alla luce di tutte le circostanze caratterizzanti il concreto contesto in cui ha operato.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
1. Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il relativo termine di prescrizione massimo.
Deve rilevarsi infatti che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione. Ciò con specifico riferimento all'effettivo "recupero", ritualmente denunziato nel ricorso, da parte della Corte di appello in motivazione di un dovere di sostanziale presenza costante in cantiere dell'imputato, aspetto che presenta, però, tre problemi:
1) era stato escluso dal Tribunale (v. p. 6 della sentenza di primo grado);
2) la Corte territoriale ammette espressamente che il costruttore (A.K., che aveva avuto i lavori in subappalto da G.E., legale rappresentante della ditta appaltatrice "EdilG.E." s.a.s.) non aveva avvisato l'arch. E.B. della data in cui i lavori relativi al muro sarebbero stati fatti (v. p. 7 della sentenza di secondo grado); di tale illogicità la Corte di appello di Genova non si avvede;
3) inoltre, per giurisprudenza costante, richiamata correttamente nel ricorso, «In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva escluso la responsabilità del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione alle lesioni patite da un operaio intento allo smontaggio di una rete metallica con l'ausilio di una scala inidonea per dimensioni e struttura, rilevando la puntuale verifica dell'adeguatezza delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza e della loro messa in opera, rispetto ai lavori previsti dal capitolato d'appalto, tra le quali non rientrava l'attività svolta dal lavoratore)» (Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, P.C. in proc. Revello, Rv. 270991-01; in conformità, nel senso della esistenza di una funzione di "alta vigilanza" e dell'esclusione dell'obbligo di una puntuale vigilanza in capo al coordinatore per l'esecuzione dei lavori, v., tra le altre, Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267753-01; Sez.4, n. 46991 del 12/11/2015, Porterà e altri, Rv. 265661-01; Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e altro, Rv. 247536-01).
Pertanto, sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare la sussistenza di una causa di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. maturata successivamente rispetto all'adozione della sentenza impugnata (fatto del 9 marzo 2011; sentenza di secondo grado dell'8 novembre 2018; prescrizione massima maturatasi, tenuto conto degli eventi sospensivi, il 7 gennaio 2019, come risulta dalle analitiche indicazioni che si rinvengono nella scheda ex art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., indicazioni conformi alle risultanze degli atti; incarto pervenuto alla Cancelleria della S.C. il 14 giugno 2019).
E' poi appena il caso di sottolineare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti del ricorrente, è ben noto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511-01) e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244275-01).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. non emergendo all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione dell'imputato (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244274-01).
2. La sentenza deve essere annullata anche agli effetti civili, perché agli aspetti non chiari, di cui si è detto in precedenza, circa l'obbligo o meno di puntuale presenza in cantiere dell'arch. E.B. e circa l'essere stato l'imputato effettivamente informato della data in cui si sarebbe dovuto operare sul muro, poi crollato, con le connesse implicazioni, si aggiungono altri due punti critici: i giudici di merito non hanno svolto un corretto giudizio contro-fattuale con precipuo riferimento alla posizione del ricorrente; inoltre, la Corte di appello non si è confrontata con la circostanza, che si legge alle prime righe della p. 2 della sentenza di primo grado, che l'architetto E.B. era contemporaneamente responsabile dei lavori, coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecutiva e direttore dei lavori, cumulo di incarichi di cui occorrerà necessariamente tenere conto ai fini dell'eventuale affermazione della responsabilità penale dell'imputato per le lesioni patite da B.R..
3. Si impone, pertanto: l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato contestato estinto per prescrizione; ed anche, meritando approfondimento ulteriore i plurimi aspetti suindicati, l'annullamento anche agli effetti civili con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Annulla la medesima sentenza agli effetti civili con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso il 29/01/2020.