Cassazione Penale, Sez. 4, 16 luglio 2021, n. 27434 - Cedimento della copertura del capannone. Condotta del lavoratore tutt'altro che imprevedibile
Fatto
1. La Corte d'appello di Firenze, in data 13 giugno 2019, ha parzialmente riformato - dichiarando estinti per prescrizione i reati contravvenzionali di cui ai capi 2 e 3, e confermando nel resto - la condanna emessa dal Tribunale di Grosseto, il 15 maggio 2017, nei confronti di F.S., quale imputato del delitto di lesioni personali colpose, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di Z.M..
L'addebito viene mosso al F.S. nella sua qualità di titolare dell'omonima ditta individuale e di datore di lavoro dello Z.M..
L'episodio si verificò in Grosseto il 20 luglio 2012: lo Z.M. e altri lavoratori della ditta dell'imputato stavano lavorando sulla copertura di un capannone industriale della ditta Progetto Cervetti, per la realizzazione di verifiche sul tetto; una parte della copertura del capannone - corrispondente ad un lucernaio - era realizzata in onduline di eternit e non era perciò praticabile. Secondo la versione accolta dai giudici di merito, gli operai, che si erano previamente muniti degli strumenti di lavoro necessari, avevano dapprima montato un ponteggio; lo Z.M. si sarebbe quindi recato sul tetto assieme al F.S. per le verifiche; ma, essendosi spostato inavvertitamente sulla porzione di copertura in ondulina, provocava il cedimento di tale copertura e cadeva da un'altezza di 6 metri, producendosi le lesioni di cui in rubrica.
Si contesta al F.S. di non avere redatto il Piano operativo di sicurezza (c.d. P.O.S.) per prevenire i rischi di caduta dall'alto e di non aver individuato attrezzature confacenti per assicurare una circolazione priva di rischi sulla copertura della ditta Progetto Cervetti.
La Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza di primo grado (salvoché per la declaratoria di prescrizione degli illeciti contravvenzionali), ha disatteso la prospettazione dell'appellante, volta ad escludere che fosse in corso la pulitura del tetto e a qualificare perciò come abnorme il comportamento della persona offesa, censurato l'assenza di un'adeguata analisi del rischio di cadute, escludendo poi che la condotta del lavoratore potesse qualificarsi come abnorme e imprevedibile.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il F.S., con atto affidato a un singolo motivo di lagnanza, nel quale il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, atteso che la Corte di merito non ha, in primo luogo, considerato che i lavoratori erano stati provvisti di dispositivi di protezione individuale (caschi, guanti, cinture di sicurezza) astrattamente idonei a prevenire gli infortuni prevedibili per il montaggio del ponteggio metallico; e che oltre a quest'ultimo lavoro non era ancora previsto l'inizio del lavoro manutentivo sulla copertura, che infatti aveva chiesto unicamente un preventivo. Dopo avere censurato come inattendibili e dovute alla dinamica dell'esame condotto dal giudice alcune delle dichiarazioni rese dal teste S., il ricorrente ribadisce che dopo l'allestimento del ponteggio non fu eseguita alcuna attività, atteso che il F.S. aveva dato disposizioni di attenderlo. Perciò l'incarico che lo Z.M. aveva ricevuto dal datore di lavoro non era quello di eseguire la pulitura della copertura, ma solo di allestire il ponteggio; quindi la sua decisione di salire sulla tettoia senza attendere il datore di lavoro (transitando poi sulla parte non calpestabile) é frutto di una sua scelta abnorme ed eccentrica rispetto alle mansioni affidategli, dunque eccezionale e imprevedibile, atteso che lo svolgimento dell'attività lavorativa non richiedeva in alcun modo che lo Z.M. salisse sull'ondulina. Del resto lo stesso Z.M. aveva dichiarato che sul tetto non vi erano ganci di sicurezza per attaccare le cinture. Nel prosieguo del ricorso vengono richiamati alcuni principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, allo scopo di evidenziare che il rischio concretizzatosi era estraneo a quello governato dal F.S. quale datore di lavoro e titolare della correlata posizione di garanzia.
Diritto
1. Il ricorso é manifestamente infondato, atteso che esso si risolve in una prospettazione alternativa dello svolgimento dei fatti e non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata relativa, in particolare, allo svolgimento - da parte dello Z.M. - di mansioni lavorative a lui affidate dall'odierno ricorrente: motivazione che la Corte distrettuale enuncia sinteticamente, ma in modo corretto ed esaustivo.
E' innanzitutto da chiarire che la prospettazione difensiva, tesa ad accreditare l'assunto secondo cui i lavoratori non dovevano espletare lavori di manutenzione e pulitura della tettoia ma solo montare un ponteggio, é disattesa dalla Corte di merito alla luce delle prove raccolte ed in base alla narrativa dei fatti basata sulla documentazione e sulle dichiarazioni rese in dibattimento: lo Z.M., assieme ai colleghi S. e O., era stato inviato presso lo stabilimento della ditta committente (la Progetto Cervetti) per eseguire verifiche sul tetto e, segnatamente, un controllo delle grondaie interne, onde stabilire se esse necessitassero di essere ripulite ovvero sostituite. A tal fine, i tre operai avevano portato con sé gli strumenti di lavoro necessari ed avevano montato il ponteggio; lo Z.M. era poi salito sulla tettoia assieme al F.S. per le verifiche e in tale frangente, essendosi inavvertitamente spostato sulla parte non calpestabile, era precipitato al suolo.
Ciò rende ex se del tutto evidente che non risponde a verità quanto asserito dal ricorrente circa l'estraneità del compito di ripulitura della tettoia alle mansioni a lui affidate; quanto alla dedotta inattendibilità del teste S. - sulla base di una prospettazione certamente non consentita in questa sede di legittimità, nella quale le dichiarazioni del teste vengono spiegate con l'insistenza del giudice nel porre le domande - la Corte di merito chiarisce che lo stesso, a seguito di contestazioni e richieste di precisazioni, aveva ammesso in aula che il compito assegnato ai tre operai, dopo l'allestimento del ponteggio, era quello di eseguire le verifiche necessarie, ragion per cui essi erano anche muniti di scopa.
E' poi emerso che il F.S. non si era sincerato delle condizioni della tettoia prima dell'esecuzione dei lavori (ne aveva riferito il teste Q., dipendente della ditta committente), di tal che assume rilievo quanto dichiarato dalla persona offesa circa l'assenza, sulla tettoia, di agganci per le cinture di sicurezza (come riferito dallo stesso ricorrente): al riguardo, a tacer d'altro, é sufficiente un richiamo alle disposizioni di cui al Titolo IV, capo II del D.Lgs. n. 81/2008, recante Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota, ed in particolare a quanto stabilito dall'art. 148, in base al quale «Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego»; e, «nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta».
Non ha pertanto pregio alcuno l'asserto volto ad accreditare l'abnormità del comportamento del lavoratore: ed invero, occorre muovere dal principio affermato dalla sentenza n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, e.ci. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247).
Sulla scorta di questo principio si é altresì affermato che, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386).
Nel caso di specie, l'infortunio é avvenuto mentre i lavoratori erano impegnati in un'attività propria delle mansioni loro affidate - dunque nell'ambito del rischio governato dal datore di lavoro quale garante della loro sicurezza - e ponevano in essere una condotta tutt'altro che imprevedibile, circostanza che di fatto emerge dalla tipologia di lavoro affidata agli operai, come opportunamente rilevato dalla Corte di merito.
2. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2021.