Cassazione Penale, Sez. 4, 16 luglio 2021, n. 27432 - Caduta mortale dal tetto in vecchio eternit non pedonabile. Rinuncia al ricorso
Fatto
1. P.R. e R.R. venivano rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Ancona per rispondere (capo A) del delitto p. e p. dagli artt. 113 e 589 Co. 2 c.p. in relazione agli artt. 148 e 159 D. Lgs 09/04/2008 n. 81 perché, in cooperazione colposa tra loro, R. P. in qualità di datore di lavoro delegato dalla s.p.a. Gruppo R. e R. R. in qualità di preposto e responsabile dello stabilimento D sito in Zona Industriale Brodolini, omissis, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed inosservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, conferendo incarico al lavoratore dipendente C.G.I., e comunque consentendogli, di salire sul tetto in vecchio eternit non pedonabile del capannone aziendale per eseguire rilievi anche fotografici dei danni causati dall'eccezionale nevicata avvenuta nei giorni precedenti, senza predisporre i necessari mezzi idonei a proteggere dal pericolo di caduta dall'alto nonostante la presenza di un ponteggio che ne consentiva l'accesso, cagionavano la morte del C.G.I., che, salito sul tetto con la macchina fotografica, a causa dell'inidoneità della copertura a reggere il suo peso, ne provocava lo sfondamento e cadeva da un'altezza di nove metri all'interno dei box "scarti d'alluminio" decedendo sul posto. Fatti accertati a Loreto (AN) il 18/19 febbraio 2012.
La S.p.A. Gruppo R. con sede a Loreto (AN) in OMISSIS - leg. rappr. R. C. veniva invece chiamata a rispondere (capo B) dell'illecito amministrativo di cui all'25-septies D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in relazione alla commissione dei delitto di cui al capo A), realizzato nell'interesse o a vantaggio della società. Fatti accertati a Loreto (AN) il 18/19 febbraio 2012.
Con sentenza del 9/4/2014 il Tribunale di Ancona in composizione monocratica aveva assolto R.R. e P.R. dal delitto di cui al capo a) della rubricata imputazione con la formula "perché il fatto non sussiste" ed era stata dichiarata l'insussistenza dell'illecito amministrativo contestato al Gruppo R. spa al capo b) d' imputazione, sul rilievo che dalla svolta istruttoria dibattimentale non sarebbe emersa la prova che gli imputati avessero mai conferito al loro dipendente C.G.I. l'incarico di salire sul tetto, non potendosi escludere che il medesimo C.G.I. avesse agito di sua iniziativa per fare delle foto alla copertura lesionata di uno dei capannoni dello stabilimento D di Loreto della R. spa, trattandosi da un lato di un uomo di fiducia di R.R., con ampia autonomia operativa e decisionale, e, dall'altro, essendo stato tale incombente demandato alla ditta LA.G.F., incaricata di effettuare i necessari lavori di riparazione, che, infatti, il lunedì successivo al fatto (20 Febbraio 2012) , come da accordi presi in precedenza , si era presentata in loco con apposito autocestello (teste S.). Inoltre, ad ulteriore dimostrazione che si sarebbe trattato solo di una sua improvvida iniziativa, il C.G.I. il giorno precedente la sua morte (venerdì_17.2.2012) avrebbe chiesto al collega E. di accompagnarlo sul tetto perché doveva fare delle fotografie, ma l''E., come dal medesimo rammentato in giudizio, gli avrebbe sconsigliato di salire sul tetto, attesa l'ora tarda, aggiungendo che comunque non vi sarebbe stata alcuna necessità poiché le foto necessarie per ottenere il risarcimento dall'assicurazione, potevano essere scattate, appunto, dalla ditta dello S. incaricata dei lavori di riparazione, come confermato anche dal teste Massimiliano R.. Da ultimo R.R., parlando al telefono domenica sera con il teste G. (che, durante la settimana lavorativa, condivideva l'appartamento con il C.G.I.), dopo la 'scomparsa' di quest'ultimo e prima del ritrovamento del suo cadavere, ha mostrato di sapere che l'unico motivo per cui la p.o. si era recata presso lo stabilimento sabato mattina era per fare delle analisi.
Sull'appello delle pp. cc. costituite OMISSIS, con sentenza del 18/9/2017 la Corte di Appello di Ancona dichiarava inammissibile l'appello proposto nei confronti del Gruppo R. spa, mentre, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava R.R. e R. P. responsabili ai soli fini civili, della condotta illecita ai medesimi ascritta e li condannava in via solidale al risarcimento dei danni arrecati alle pp. cc. costituite OMISSIS, danni da liquidarsi in separata sede, ma con concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva di 50.000 euro a favore di OMISSIS, di 20.000 euro a favore di OMISSIS e di 40.000 euro a favore di OMISSIS, oltre al pagamento delle spese.
2. Avverso tale provvedimento avevano proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio comune difensore di fiducia, R. P. e R. R.R., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo avevano dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione istruttoria.
I ricorrenti lamentavano l'avvenuto ribaltamento, sia pure ai soli effetti civili, della sentenza assolutoria di primo grado all'esito di una nuova valutazione delle dichiarazioni testimoniali rese innanzi al tribunale, senza procedere alla necessaria rinnovazione istruttoria.
La corte di appello precisa - si legge in ricorso- che vi sono due possibili ricostruzioni della vicenda, la prima, propugnata dall'accusa, secondo cui la persona offesa sarebbe salita sul tetto per ordine del proprio datore di lavoro e la seconda, sostenuta dalla difesa, secondo cui la persona offesa, saliva per propria iniziativa, nonostante due giorni dopo sarebbe dovuta intervenire la ditta incaricata della riparazione del tetto.
Alla luce di tale premessa, i ricorrenti ritenevano dirimente la valutazione delle dichiarazioni del teste E. che riferiva di aver detto alla persona offesa che le fotografie potevano essere scattate il lunedì seguente dal personale della ditta incaricata della riparazione.
Tale testimonianza, definita falsa nell'impugnazione delle parti civili, sarebbe stata completamente ignorata dalla Corte distrettuale, che invece opera una rivalutazione cartolare delle altre deposizioni testimoniali apprezzate in maniera diversa rispetto al primo giudice che pure le aveva ampiamente valorizzate nel proprio iter motivazionale.
Veniva, quindi, richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo di rinnovazione istruttoria nel caso di reformatio in peius della sentenza assolutoria in primo grado, anche quando si tratti di riforma della pronuncia assolutoria ai fini civili.
I ricorrenti ritenevano che la mancata rinnovazione istruttoria, impedendo la corretta formazione del convincimento nel rispetto delle regole del contraddittorio e del giusto processo, ha violato quindi il canone del ragionevole dubbio.
Con un secondo motivo si deduceva violazione di legge in relazione agli artt. 40 cpv e 589 cod. pen, e vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle prove dichiarative con obbligo di motivazione rafforzata.
Il lamentato vizio motivazionale veniva dedotto in riferimento all'omessa valutazione della testimonianza di E. , alla ritenuta inattendibilità della testimonianza di S., R. e I. L. e in riferimento alle circostanze fondamentali relative alla piena consapevolezza in capo alla persona offesa del programmato intervento di riparazione e al ruolo del C.G.I. nello stabilimento.
Si premetteva che l'impugnata sentenza viene meno all'obbligo di motivazione rafforzata, occupandosi esclusivamente di una rivisitazione della ricostruzione della vicenda, operata in maniera incoerente rispetto agli elementi probatori oltre che completamente illogica.
Ci si doleva dell'omessa valutazione della deposizione dell'E. che viene testualmente riportata al fine di evidenziarne la decisività.
La corte di appello, infatti, ritiene che il primo giudice abbia accolto la tesi difensiva sul comportamento della vittima in base alla deposizione di R. M., legato da rapporti personali con gli imputati, che affermava essere noto fin dal venerdì che il lunedì seguente vi sarebbe stato l'intervento della ditta incaricata della riparazione del tetto, senza alcun cenno alla deposizione dell'E., amico e collega della vittima.
Si sottolineava il passaggio della deposizione in cui l'E., non solo sconsiglia il C.G.I. di salire sul tetto ma gli comunica che il lunedì successivo sarebbe intervenuto il personale della ditta incaricata della riparazione che avrebbe potuto scattare le fotografie in sicurezza.
Un altro punto fondamentale della motivazione della sentenza impugnata che evidenzia il travisamento delle dichiarazioni richiamate nella stessa sentenza, giungendo ad una argomentazione del tutto illogica sarebbe stato rappresentato dal convincimento sulla mancata conoscenza da parte del C.G.I. del programmato intervento di riparazione.
La sentenza valorizza il colloquio telefonico avvenuto il sabato 18 febbraio tra S. e R.R., dove si comunicava l'avvenuto arrivo dei lucernai occorrenti per la riparazione del tetto. Tale circostanza dimostrerebbe, secondo la tesi dei giudici di appello, che solo in quel momento si decideva l'intervento per il lunedì seguente.
Tale ricostruzione, del tutto presuntiva, tralascia le dichiarazioni dei testi E., I. e R. M..
Quest'ultimo viene definito inattendibile mentre gli altri due vengono ignorati.
La lettura della deposizione del R. unitamente a quella dell'E. avrebbe dovuto condurre ad un giudizio di piena attendibilità.
Rilevante sul punto è anche la testimonianza resa dallo S. titolare della ditta che doveva effettuare la riparazione, che viene interpretata nel senso che pur avendo lo S. manifestato subito la sua disponibilità ad intervenire il lunedì, tale circostanza non poteva essere nota ad alcuno prima del sabato in cui vi era la conversazione telefonica quindi non può essere vero che fin dal venerdì si parlasse dell'intervento del lunedì e della possibilità di scattare le foto al tetto in tale occasione.
Tale ricostruzione non solo, lamentano i ricorrenti, si pone in contrasto con le dichiarazioni dei testi, ma assume apoditticamente che la telefonata smentisca il dato che fin dal venerdì in azienda si sapesse del programmato intervento di riparazione.
In relazione all'affermata responsabilità di R.R., si osserva che la corte di appello partendo dall'errata premessa che nessuno nella ditta poteva essere a conoscenza del programmato intervento di riparazione, compie un'errata valutazione della sentenza assolutoria, giungendo a ritenere che la stessa non avrebbe compiuto la necessaria valutazione della componente omissiva dell'imputazione. Circostanza del tutto errata in quanto la sentenza di primo grado escludeva che fosse stato conferito l'incarico alla vittima di fare le fotografie ma rilevava anche che non fosse nemmeno emerso che glielo avessero consentito.
La sentenza impugnata, continuano i ricorrenti, pone a sostegno della sussistenza della condotta omissiva, la telefonata avvenuta la sera di domenica 19 febbraio, in cui R.R. chiede all'I. se il C.G.I. fosse salito sul tetto.
Tale telefonata proverebbe la consapevolezza che la vittima era salita sul tetto che unitamente al fatto che gli imputati sapessero dell'esistenza di un ponteggio e dell'assenza di protezioni sul tetto del capannone, configurerebbe l'omissione e la colpa. Mentre, in realtà, la telefonata dimostrerebbe piuttosto che la consapevolezza, il timore che il C.G.I. scomparso, fosse salito sul tetto, come correttamente ritenuto dalla sentenza del tribunale.
La sentenza impugnata, poi, aggiungevano i ricorrenti, sembra pervenire contraddittoriamente alla condanna per la condotta attiva. Ciò perché, a fronte dell'imputazione alternativa formulata, la corte di appello non opererebbe nessuna scelta tra la condotta omissiva e la condotta attiva, ma si limiterebbe dopo aver enunciato la responsabilità omissiva ad analizzare la condotta attiva.
La Corte distrettuale - prosegue il ricorso- afferma l'esistenza di una serie di indizi gravi precisi e concordanti sul conferimento dell'incarico al C.G.I.. Il primo sarebbe il principio del "cui prodest" non avendo il C.G.I. alcun interesse personale a fare le fotografie ed inoltre pur essendo l'uomo di fiducia di R.R., ne faceva le veci solo in sua assenza, mentre in quei giorni il R. era presente e attivo in azienda.
Tale ragionamento si porrebbe però, secondo la tesi sostenuta in ricorso, in netto contrasto con le deposizioni testimoniali che rappresenterebbero un ruolo di completa autonomia del C.G.I. nella risoluzione dei problemi dello stabilimento.
Vengono quindi riportate le dichiarazioni rese dai testi per evidenziarne il ruolo, così come descritto nella sentenza di primo grado.
Infine, rispetto alla telefonata intercorsa il sabato mattina tra C.G.I. e R. si evidenzia l'impossibilità di ricostruirne il contenuto e il contrasto tra la mera ipotesi delineata dalla corte anconetana e le prove raccolte.
In relazione all'affermata responsabilità di P.R. si rilevava, ancora, la mancata indicazione sulla natura attiva o omissiva della stessa.
Si contestava, poi, l'avvenuta imputazione di condotte indizianti, quali l'aver prelevato la macchina fotografica e il telefono della persona offesa. Tali elementi, enfatizzati dall'accusa privata, sarebbero mere insinuazioni prive di riscontro. Mentre, in realtà, l'imputato consegnava la macchina fotografica ai carabinieri in caserma, la mattina del lunedì. Pure la mancanza della scheda di memoria sarebbe in realtà attribuibile al fatto che sia andata smarrita trattandosi di una caduta avvenuta in una fonderia. Anche il telefono venne consegnato al figlio della vittima.
Certamente, si aggiungeva, se il fine fosse stato quello di occultare il motivo per cui la vittima era salita sul tetto, certamente sarebbe stato più logico non riconsegnare gli oggetti.
Si evidenziava, infine, oltre all'assenza di prova sull'avvenuto conferimento dell'incarico di scattare le fotografie anche una errata applicazione delle regole che governano l'illecito omissivo.
La sentenza impugnata sostiene l'avvenuta violazione della normativa antinfortunistica e il ruolo degli imputati, in posizione di garanzia, per essere uno datore di lavoro e l'altro preposto, ma, si obietta, la condotta colposa non risiede nell'inidoneità al camminamento del tetto, ma nel non avere impedito al C.G.I. di accedervi. Pertanto l'omissione non inerisce ai doveri di neutralizzare le fonti di pericolo, non rientrando nelle mansioni di C.G.I., né degli altri operai, di accedere al tetto.
La situazione di pericolo - secondo la tesi che veniva proposta in ricorso- non discende certamente da carenze organizzative, ma dalla decisione della persona offesa di salire sul tetto. Pertanto solo fornendo la prova che gli imputati fossero a conoscenza della decisione della vittima di salire sul tetto si potrà affermare che gli stessi avessero l'obbligo giuridico di impedire l'evento.
I comportamenti valorizzati nell'impugnata sentenza sarebbero stati posti in essere esclusivamente ex post, come la telefonata della domenica sera, che può provare unicamente il timore, sorto dopo il verificarsi dell'evento, che il C.G.I. si fosse posto in una situazione di pericolo.
Infine, si contestava la ritenuta insussistenza della condotta abnorme del lavoratore, supportata dalla considerazione, del tutto non provata, che la salita sul tetto era già stata consentita in precedenza. Anzi dagli elementi probatori raccolti emergerebbe il contrario e la salita sul tetto al di fuori dell'orario di lavoro, tramite un ponteggio lasciato in sicurezza, era un evento imprevisto e imprevedibile.
I ricorrenti chiedevano, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata con rinvio al giudice competente per valore in grado di appello.
In data 9/6/2021, invece, l'Avv. Luigi Stortoni, difensore di fiducia degli imputati, ha fatto pervenire dichiarazioni di rinuncia al ricorso a firma di P.R. e di R.R..
Diritto
1. A seguito dell'intervenuta formale rinuncia all'impugnazione va dichiarata l'inammissibilità dei proposti ricorsi per cassazione ai sensi dell'art. 591 lett. d) cod. proc. pen.
2. Non essendo specificati i motivi della rinuncia e pertanto non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inamissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquecento ciascuno in favore della cassa delle ammende.