Cassazione Penale, Sez. 4, 16 dicembre 2020, n. 35942 - Caduta mortale nell'ambito del trasporto di soggetti invalidi. Responsabile il legale rappresentante della cooperativa appaltatrice per mancata formazione sull'uso dei dispositivi di sicurezza
1. La Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova, ha rideterminato favorevolmente la pena nei confronti di P.N., condannata, unitamente ad altri imputati, per il reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen.
- nella qualità di presidente e legale rappresentante della Cooperativa CARPE DIEM SERVICE, che agiva in forza di un contratto di appalto di servizio stipulato con il centro IRA di Padova - per avere colposamente cagionato la morte del trasportato T.V., disabile al 100%, avvenuta il 7/7/2011 per la caduta a terra, il giorno 6/9/2010, in uno dei pullmini utilizzati dalla cooperativa stessa per il trasporto dei disabili, dovuta al mancato allacciamento della cintura di sicurezza. In particolare, il giudice d'appello ha riconosciuto la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., equivalente per la sola P.N. e prevalente per gli altri imputati.
Nel capo d'imputazione si era contestato all'imputata, nella qualità, di avere omesso la vigilanza sulla fornitura, durante il trasporto dei soggetti disabili, dei presidi di sicurezza idonei a evitare cadute durante la marcia e di avere omesso di verificare che i trasporti avvenissero in modo da garantire la sicurezza dei trasportati, mediante la fornitura e l'utilizzo di idonei dispositivi. Secondo quanto affermato dal giudice d'appello, però, il Tribunale aveva ritenuto che l'istruttoria svolta avesse dimostrato che i dispositivi di sicurezza per il trasporto degli utenti in carrozzina erano stati formalmente messi a disposizione degli addetti da parte della stazione appaltante, ma che gli stessi non venivano utilizzati, per mancanza di apposita attività di formazione del personale della cooperativa.
2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputata con proprio difensore, formulando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, la difesa ha dedotto la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, in punto omissione della formazione del personale, da cui deriverebbe una disarticolazione di tutto il ragionamento svolto dai giudici territoriali in ordine alla omissione addebitata all'imputata, avendo la difesa, già in appello, opposto la indeterminatezza dell'omissione contestata alla P.N. e non risultando, dal capo di imputazione, alcun addebito inerente tali obblighi di formazione e controllo.
Sotto altro profilo, si allega il travisamento per omissione di alcuni elementi di asserita, pregnante rilevanza, non essendo emersa alcuna segnalazione di situazioni di pericolo da parte dei lavoratori, la manovra di allacciamento delle cinture di sicurezza risultando del tutto facile e certa, tale da non richiedere, dunque, una formazione specifica.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto mancanza di motivazione in ordine alla omissione di un controllo da parte dell' imputata, opponendo - quale argomento a confutazione dell'assunto - l'esistenza di verbali attestanti lo svoglimento di periodiche riunioni intese ad attuare la vigilanza sull'operato dei lavoratori.
Si allega anche il difetto della verifica controfattuale, intesa a dimostrare l'essenza giuridica della condotta che si assume omessa, attraverso la individuazione di quel comportamento doveroso che avrebbe potuto impedire l'evento.
2.3. Infine, con il terzo motivo si è dedotta violazione del divieto di reformatio in peius, in ordine al bilanciamento delle circostanze in termini di sola equivalenza, avendo la Corte d'appello confermato il giudizio del Tribunale, pur dopo aver riconosciuto anche all'imputata l'ulteriore circostanza attenuante dell'avvenuto risarcimento del danno.
Diritto
1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte veneziana, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, suffragata dalle risultanze processuali indicate in sentenza, mediante il richiamo a quella appellata, ha precisato, con specifico riferimento alla posizione di garanzia ricoperta dall'imputata, che l'infortunio mortale era avvenuto nell'ambito della esecuzione di un contratto di appalto di servizi stipulato tra IRA di Padova e la Cooperativa CARPE DIEM; che la P.N. era datore di lavoro, siccome legale rappresentante della cooperativa stessa; che l'attività di trasporto dei soggetti disabili doveva essere eseguita utilizzando i pullmini forniti direttamente dall'IRA; che, soprattutto, in base all'art. 4 della convenzione stipulata tra i due contraenti, la cooperativa aveva assunto, tra i propri obblighi, quello di formare il personale.
Ha, dunque, svalutato la prospettazione difensiva secondo cui l'obbligo di formazione sarebbe stato assolto dall'IRA, rilevando come la verifica della corretta formazione del personale e del corretto adempimento delle proprie mansioni costituisse onere del legale rappresentante della ditta appaltatrice. Tale obbligo, nella specie, aveva assunto maggior cogenza, sia in ragione della delicatezza del servizio appaltato (trasporto di soggetti invalidi, anche al 100%), che avuto riguardo alla natura della compagine lavorativa della cooperativa, composta da personale variabile, rispetto al quale era necessaria una continua attività di formazione dei nuovi addetti e di verifica delle loro competenze e del loro operato. Lo stesso autista, alla guida del mezzo il giorno dell'infortunio, era stato inserito nella cooperativa in un periodo successivo a quello in cui l'IRA avrebbe provveduto alla formazione iniziale; inoltre, il soggetto incaricato quel giorno dell'assistenza degli ospiti a bordo era stato precedentemente impiegato con la diversa mansione di autista. Pertanto, anche a voler considerare come effettuata una formazione iniziale al momento della consegna del mezzo (2008), ciò non esonerava il datore di lavoro dall'obbligo di garantire, in caso di nuove assunzioni o di mutamento delle mansioni, un efficace controllo delle modalità e circostanze dello svolgimento del servizio.
La Corte territoriale ha, quindi, richiamato le plurime e convergenti dichiarazioni del personale dipendente della cooperativa, inferendone la conferma della mancanza di una formazione e informazione del personale in ordine all'utilizzo delle cinture di sicurezza, per nulla intuitivo e semplice, come ritenuto dalla difesa, tenuto conto delle caratteristiche dei soggetti ospitati (non collaborativi a causa della loro invalidità) e dei presidi da utilizzare, relegando al rango di ipotesi astratta e non corroborata la dedotta inattendibilità dei dichiaranti.
Ulteriore conferma della correttezza dell'addebito è stata tratta dalla circostanza che, pochi giorni dopo l'accaduto, la cooperativa aveva assicurato una formazione specifica al personale.
In conclusione, accertata tale scorretta prassi operativa, la Corte d'appello ha ritenuto, sotto il profilo causale, non abnorme il comportamento - pur incauto - dell'autista e dell'assistente che non avevano effettuato il trasporto in condizioni di sicurezza, comportamento, peraltro, del tutto prevedibile, sotto il profilo soggettivo .
Ha, poi, evidenziato che l'allegata nomina di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, in difetto di una delega di funzioni, non poteva esonerare l'imputata dalle responsabilità direttamente collegate alla sua posizione di garanzia, conclusivamente rilevando la corretta qualificazione del fatto quale omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme a tutela della sicurezza sul lavoro, essendo incontestato che l'infortunio era avvenuto nel corso della esecuzione di un appalto ed era stato cagionato dall'omessa formazione e vigilanza sul corretto adempimento di mansioni lavorative, all'interno del luogo di lavoro (il pullmino utilizzato per l'esecuzione del servizio appaltato), poiché beneficiario della relativa tutela doveva considerarsi anche il terzo e non solo il lavoratore, rientrando lo stesso nell'area di rischio garantita.
Quanto, infine, al trattamento sanzionatorio, la Corte d'appello ha riconosciuto l'attenuante del risarcimento del danno, ma ha diversamente calibrato l'incidenza di tale elemento sul giudizio di bilanciamento, in senso più favorevole per i coimputati, in termini di mera equivalenza, per la P.N., giustificando la diversificazione alla luce della gravità dell'inadempimento attribuito a costei, connotato da una maggiore intensità della colpa.
3. Il primo motivo è infondato.
Ai fini della sussistenza di una violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., non è sufficiente qualsiasi modificazione dell'accusa originaria, ma è necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato. Ne consegue che la violazione non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. sez. 5 n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, RV. 254648). Peraltro, tale violazione non è neppure configurabile qualora la diversa qualificazione giuridica appaia - conformemente all'art. 111 Cost. e all'art. 6 CEDU, come interpretato dalla corte di Strasburgo - come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione (cfr. sez. 2 n. 46786 del 24/10/2014, Rv 261052; sez. 5 n. 1697 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258941)
e allorché nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano rinvenibili gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, poiché l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapport o di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d'effettiva difesa (cfr. sez. 6 n. 17799 del 06/ 02/ 2014 , Rv. 260156).
Trattasi di orientamento applicabile anche al caso specifico, oltre che del tutto conforme ai principi costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. 111 Costituzione e, per come sopra già precisato, anche nell'art. 6 della Convenzione E.D.U ., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla nota pronuncia della Corte di Strasburgo, nel caso Drassich v. Italia [cfr. CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007; ma anche, più di recente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich v. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'art. 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti].
Una corretta applicazione di tali principi rende del tutto evidente come, nel caso in esame, difetti una lesione del diritto di difesa, alla cui salvaguardia il principio di correlazione è direttamente funzionale, neppure apprezzandosi un rapporto di eterogeneità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato (sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015, Bossi e altro, Rv. 262802), avendo peraltro la difesa approntato la sua difesa con specifico riferimento all'obbligo di formazione e informazione di cui si controverte.
Infine, va rilevato come lo specifico addebito sia stato valorizzato dai giudici del merito in stretta correlazione alla accertata esistenza di una scorretta prassi aziendale, le cui caratteristiche si traggono direttamente dal capo d'imputazione.
4. Quanto, invece, alle ulteriori censure (travisamento probatorio e natura dell'azione doverosa pretermessa) formulate con il primo motivo e a quelle articolate con il secondo motivo di ricorso, le stesse devono ritenersi manifestamente infondate.
Va, intanto, richiamato il consolidato orientamento per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099.
Data tale premessa in diritto, non si rinviene - nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito - alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto nella sentenza censurata, le cui argomentazioni, al contrario, sembrano tenere in debito conto il contenuto di quelle doglianze, approntandovi una risposta che si sottrae al presente scrutinio, sollecitato da una divergente lettura del dato probatorio valutato dai giudice del doppio grado di merito in maniera conforme.
5. È manifestamente infondato, infine, anche il terzo motivo di ricorso.
Il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da adeguata motivazione (cfr. Sez. U. n.33752 del 18/4/2013, Papaia, Rv. 255660).
Nella specie, la Corte di merito ha giustificato il giudizio di bilanciamento in termini di mera equivalenza nei confronti della sola imputata P.N. alla stregua della diversità della condotta e della maggiore gravità del suo inadempimento, rispetto a quello dei suoi dipendenti, valutandone la maggiore intensità dell'atteggiamento colposo e ha addirittura rideterminato favorevolmente la pena. Il più rigoroso giudizio di bilanciamento degli accresciuti elementi circostanziali, rispetto a quello degli altri imputati, non può dunque ritenersi arbitrario, risultando del tutto coerente con il principio di diritto sopra riportato e qui ribadito.
6. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso il 15 ottobre 2020