Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2022, n. 836 - Frattura del dito con un tornio. Annullamento con rinvio della sentenza: il datore di lavoro non risponde di lesioni se ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della posizione di garanzia
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato R.S., S.A.e A.M.B. responsabili del reato loro ascritto di lesioni colpose, per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.
1.1. La vicenda attiene all'infortunio subito dal lavoratore D.P., dipendente della s.r.l. By Michelangelo Nuovi Bottoni, verificatosi presso lo stabilimento di Empoli il 30.6.2014. Nella circostanza, mentre il D.P. era intento al tornio (prodotto da Itama s.r.l.) per la riduzione di un tondino di alluminio di 20 centimetri, al fine di prelevare il pezzo dopo la tornitura aveva infilato la mano destra, indossante un guanto, nella zona di lavoro della macchina quando ancora gli organi erano in movimento, per cui il dito mignolo, rimanendo a contrasto con la torretta, aveva riportato la frattura scomposta della falange prossimale del 5° dito della mano destra (guarita in 98 giorni con inabilità temporanea di 40 giorni). In particolare, il D.P., al fine di arrestare la macchina, aveva azionato la leva di frizione anziché il freno a pedale, con la conseguenza che la rotazione non si era immediatamente interrotta ma aveva continuato per inerzia ancora per qualche secondo, sicché egli aveva toccato il mandrino con la mano ed il guanto rimasto impigliato aveva trascinato la mano a contrasto con la torretta.
1.2. I giudici di merito hanno ravvisato la colpa degli imputati nella causazione dell'evento. In estrema sintesi, allo R.S., quale datore di lavoro, si rimprovera di non aver individuato il rischio connesso al pericolo derivante dal possibile contatto accidentale delle parti del corpo esposte del lavoratore con le parti in movimento del tornio, ed in particolare di non aver munito il macchinario di uno schermo frontale di protezione; all'S.A., quale responsabile della sicurezza, si rimprovera di aver sottovalutato il rischio derivante dall'utilizzo del tornio in assenza di protezione frontale; al A.M.B., quale legale rappresentante della ditta produttrice del tornio, si addebita di aver venduto un macchinario sprovvisto di apposita protezione dagli organi in movimento.
2. Avverso tale sentenza i tre imputati propongono distinti ricorsi per cassazione.
3. R.S. e S.A., a mezzo del difensore, lamentano quanto segue.
I) Violazione di legge, per avere il giudice di merito affermato la penale responsabilità sul presupposto della omessa valutazione dei rischi inerenti all'utilizzo della macchina e per aver messo a disposizione del lavoratore un macchinario non conforme ai requisiti di sicurezza, nonostante la presenza della certificazione CE apposta sul tornio Itama.
Si deduce che ai sensi del d.lgs. n. 17/2010 le macchine provviste della marcatura CE sono ritenute rispondenti alle disposizioni di sicurezza, introducendo una chiara esimente sia per il datore di lavoro che per il responsabile della sicurezza. La macchina era regolarmente immessa sul mercato per la vendita ed era dotata della certificazione CE, sicché i ricorrenti non potevano che presumere la conformità della stessa alla normativa di settore. Il punto non è in alcun modo affrontato nella sentenza impugnata.
II) Erronea interpretazione del d.lgs. n. 17/2010 in relazione agli artt. 22 e 23 del d.lgs. n. 81/2008.
Si deduce che, contrariamente a quanto ritenuto nell'impugnato provvedimento, il macchinario è conforme alla norma di riferimento UNI EN 12840/2003, che lo identifica come utensile tornio di tipo 1, munito di uno schermo paraspruzzi che non è preposto a proteggere la zona di lavoro da possibili interferenze fra le parti in movimento e gli arti dell'operatore, date le sue ridotte dimensioni. D'altra parte, uno schermo in grado di coprire tutto il campo di lavoro della macchina ne impedirebbe l'utilizzo. Il "riparo" del tornio è costituito dal "carter'' posto sopra il mandrino, avente la funzione di impedire all'operatore l'accesso alle zone in movimento. L'infortunio si è verificato perché il lavoratore, invece di usare il freno a pedale, ha azionato la leva a frizione e, contemporaneamente, ha fermato manualmente il mandrino con l'uso di guanti. La protezione frontale della zona di lavoro, identificata come paraspruzzi dalla norma UNI di riferimento, non può essere assimilata ad un riparo atto a garantire l'impossibilità di interferire con gli atti dell'operatore.
Si ritiene che nel caso si sia di fronte ad un interruzione del contributo causale a carico dei ricorrenti, tenuto conto delle manovre errate messe in atto, nell'occorso, dal lavoratore, il quale, invece di operare in modo più rapido, efficace e corretto per arrestare l'azione del tornio (azionando il freno), ha optato per una serie di manovre illogiche, vietate e macchinose, che non possono essere addebitate a mera disattenzione, tenuto conto anche dell'esperienza trentennale del D.P. nella specifica mansione.
III) Vizio di motivazione, per non aver trattato l'aspetto riguardante l'assenza di cooperazione colposa a carico dei ricorrenti, i quali hanno agito senza avere la consapevolezza di cooperare nell'altrui condotta colposa, trattandosi di macchinario in regola con la normativa di sicurezza, utilizzato da dipendente specializzato ed esperto, debitamente formato ed informato dei rischi.
IV) Carenza di motivazione in ordine alla valutazione dei fatti inerenti al comportamento del lavoratore ed errata valutazione delle prove acquisite.
Si deduce che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto irrilevante la condotta gravemente colposa del lavoratore, ritenendo che la stessa, anche se dovuta a disattenzione, rientrasse nell'ordinario rischio; ciò senza considerare i numerosi elementi da cui emerge che il D.P. era soggetto ben informato sul funzionamento della macchina. Il mancato azionamento del freno, per espressa dichiarazione del lavoratore, costituiva, in quel frangente, l'azione più immediata e semplice, per cui non si può parlare di semplice disattenzione. Inoltre, l'utilizzo del guanto è espressamente vietato in fase di lavorazione e soprattutto quando il tornio è attivo; esso serve solo ad estrarre il pezzo lavorato, ma solo quando il tornio è in posizione di fermo. Si tratta di violazione di un espresso divieto che integra gli estremi dell'abnormità e del comportamento "eccentrico" tale da escludere il nesso di causalità.
V) Vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dei benefici di legge, avendo la Corte territoriale trascurato i numerosi elementi emersi a favore della concessione, quali: incensuratezza degli imputati, utilizzo di macchinario marcato CE, comportamento colposo del danneggiato.
4. A.M.B., a mezzo dei difensori, lamenta quanto segue.
I) Vizio di motivazione e travisamento di prove decisive con riflessi in tema di nesso causale.
Si deduce che, sulla base delle dichiarazioni dello stesso infortunato, è stata erroneamente ritenuta dai giudici di merito la necessità della presenza dello schermo sulla macchina, le cui dimensioni non potevano che essere in concreto del tutto ridotte per consentire il funzionamento del tornio, e come tali inidonee ad impedire l'accesso agli organi in movimento da parte del lavoratore. La sicurezza del macchinario era garantita dalla presenza del freno pedale che, se azionato, avrebbe certamente impedito l'evento, sicché è provato come il comportamento alternativo dell'operaio fosse doveroso e la sua condotta concreta debba essere qualificata come "esorbitante" ed interruttiva del nesso causale.
Si osserva che la violazione della norma regolamentare di sicurezza è stata tratta esclusivamente dalla deposizione del teste N.; tuttavia, attesa la marchiatura CE del macchinario, tale testimonianza non può considerarsi sufficiente ad integrare la fonte normativa dell'obbligo a carico del A.M.B., essendo necessario a tal fine un supporto tecnico e scientifico ben più probante, nel caso insussistente, non risultando alcuna risposta del Ministero competente in ordine alla regolarità della conformità CE del macchinario.
II) Violazione di legge e vizio di motivazione, con riflessi in tema di nesso causale, per non avere i giudici di merito considerato che la responsabilità è stata ritenuta integrata per il solo fatto di avere omesso la protezione, pur avendo impostato una macchina che, grazie al freno pedale, avrebbe evitato il danno, essendo stato escluso il profilo colposo riguardante l'assenza del pulsante di emergenza.
III) Violazione di legge processuale, in relazione alla condanna intervenuta per un fatto diverso da quello contestato. Infatti, l'accusa era stata costruita indicando, da un lato come assolutamente necessaria la presenza del pulsante di emergenza e dall'altro come la sua assenza rendesse parimenti necessario lo schermo; si è dimostrato invece che il pulsante di emergenza era sostituito da una misura assai più sicura, costituita dal freno pedale, per cui la presenza dello schermo diventava non più necessaria e comunque si delineava un fatto omissivo completamente diverso nella sua struttura.
IV) Vizio di motivazione, per travisamento della prova sul freno pedale, sul pulsante di emergenza e sullo schermo in ordine alle rispettive funzioni di garanzia e relative omissioni.
V) Violazione di legge processuale, per non avere la Corte territoriale adeguatamente considerato le risposte del teste N. a domande dell'avv. Monteverde, da, cui emerge un quadro normativo articolato ma non chiaro in relazione alla disposizione di cui all'art. 23 d.lgs. n. 81/2008.
VI) Violazione di legge con riferimento alla prescrizione.
Si deduce che sarebbe decorso il termine di prescrizione del reato, individuandosi il dies a quo dalla data di vendita del macchinario, risalente al 2005, e non dall'accadimento dell'infortunio.
VII) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione di gravità del fatto lesivo.
Si deduce che dalla stessa contestazione è esclusa la gravità del fatto, non risultando contestata alcuna delle aggravanti di cui all'art. 583 cod. pen.
VIII) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla gravità del fatto lesivo e conseguente eccessività della pena.
5. La difesa del A.M.B. ha depositato motivi aggiunti, con i quali si deduce che la mancanza della colpa in capo ai prevenuti è asseverata sia dalla presenza del marchio CE, sia dal fatto che la regola cautelare asseritamente omessa sarebbe non concretamente specificata ma solo frutto di una creatività ex post del tutto astratta e svincolata dal caso concreto. Si insiste, inoltre, sui rilievi concernenti l'esorbitanza o abnormità dell'azione del lavoratore.
6. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Diritto
1. I proposti ricorsi sono fondati, con particolare riguardo alle assorbenti censure che attengono ai dedotti vizi motivazionali della sentenza impugnata in tema di colpa degli imputati.
2. Il ragionamento sul punto dei giudici di merito, in estrema sintesi, è stato il seguente: se il tornio fosse stato dotato di uno schermo protettivo nella zona di lavoro, questo avrebbe preservato il lavoratore dal contatto con le parti in movimento della macchina.
Tale ratio decidendi si presta a plurime considerazioni critiche.
La prima considerazione è che l'illogicità di un simile ragionamento deriva dalle stesse modalità del fatto accertato: il lavoratore, nel caso concreto, non aveva bisogno di essere "preservato", in quanto il contatto della mano destra con le parti in movimento del tornio non è avvenuta accidentalmente, ma su iniziativa dello stesso lavoratore, al fine di prelevare il pezzo lavorato.
La seconda considerazione è che il macchinario in questione era pacificamente conforme alla norma di riferimento UNI EN 12840/2003, che lo identifica come utensile tornio di tipo 1, munito di uno schermo paraspruzzi che non è preposto a proteggere la zona di lavoro da possibili interferenze fra le parti in movimento e gli arti dell'operatore, date le sue ridotte dimensioni. Come sottolineato dai ricorrenti, il riparo del tornio è costituito dal "carter" posto sopra il mandrino, avente la funzione di impedire all'operatore l'accesso alle zone in movimento.
La terza considerazione è che, per la fase di lavoro che qui rileva (prelievo del pezzo lavorato dal mandrino), il dispositivo di protezione deputato era (è) il pedale del freno, che avrebbe dovuto essere azionato prima di avvicinare la mano all'organo in movimento, al fine di fermarlo, così da evitare "trascinamenti" pericolosi e dannosi per l'arto utilizzato.
3. Sulla scorta delle suddette considerazioni, si devono ritenere erronee ed illogiche le argomentazioni adottate dai giudici di merito per affermare la responsabilità colposa dei ricorrenti.
La ritenuta necessità di uno schermo "protettivo" sul macchinario in questione appare frutto di un ragionamento creativo, secondo la logica del "senno del poi", che, come noto, non può fondare il giudizio di colpevolezza colposa. In tale ambito, infatti, il riscontro della colpa deve essere il risultato di un processo ricognitivo che individui a monte, secondo una valutazione ex ante, la regola cautelare che si assume violata (cfr. Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997 - 17; Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016 - dep. 2017, Rv. 269254 - 01). La sentenza impugnata, di contro, ha individuato la regola cautelare sulla base di una valutazione ricavata "ex post" ad evento avvenuto, in maniera del tutto astratta e svincolata dal caso concreto: non ha, infatti, considerato la fase di lavorazione in cui si è verificato l'incidente e non si è posta il problema di quali fossero le misure di protezione previste per quella specifica fase.
La motivazione si limita a prendere atto della condotta colposa del P., definendola non abnorme; e liquida come mera "illazione" la (invece) corretta considerazione difensiva secondo cui la presenza dello schermo richiesto (ma apparentemente non previsto neanche dalla normativa UNI dianzi indicata) non avrebbe comunque scongiurato il verificarsi dell'evento, visto che il lavoratore avrebbe comunque dovuto aggirarlo per accedere al pezzo lavorato, inserendo la mano nell'organo in movimento.
4. In conclusione, Le argomentazioni su cui si fonda la responsabilità dei prevenuti non hanno adeguatamente valutato la circostanza che il tornio era dotato di un apposito dispositivo di protezione, in relazione alla fase lavorativa nel corso del quale è avvenuto l'infortunio, costituito dal pedale del freno: azionandolo, il mandrino si sarebbe fermato, consentendo all'operaio di prelevare il pezzo senza problemi. La regola cautelare dello schermo "protettivo" è stata ricavata ex post ed in maniera congetturale dai giudici di merito, senza una effettiva analisi dell'utilità e percorribilità in concreto di una simile soluzione alla luce delle modalità di funzionamento del macchinario e, soprattutto, della fase di lavorazione in cui si è verificato l'infortunio.
5. I vizi logico-giuridici sopra evidenziati impongono l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Nel nuovo giudizio, i giudici di merito dovranno tenere conto delle superiori considerazioni, nonché dell'orientamento secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, 266073-01; in motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze.
Così deciso il 12 novembre 2021