Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2021, n. 1104 - Vendita e messa a disposizione di un macchinario non sicuro. Rischio interferenziale
1. Con sentenza del 4.6.2019 la Corte di appello di Torino, per quanto qui interessa, ha confermato la condanna irrogata in primo grado nei confronti di A.G. in ordine al reato di lesioni colpose oggetto di imputazione.
L'addebito nei confronti dell' A., quale amministratore delegato della S.r.l. Bending Tooling (d'ora in poi, Bending), è quello di aver cagionato colposamente gravi lesioni al lavoratore R.M. (dipendente della S.p.a. E.M.A.R.C., d'ora in poi Emarc), per aver messo a disposizione del predetto un'attrezzatura inidonea ai fini della sicurezza sul lavoro, segnatamente una macchina costituita dall'insieme di una curvatrice universale e di un attrezzo di curvatura, priva di sistemi di sicurezza idonei ad individuare la presenza di una persona all'interno dell'area di lavoro al momento dell'avvio da parte di altro operatore. In particolare il lavoratore, mentre operava sulla detta macchina per eseguire la piegatura/curvatura di uno scatolato in alluminio, mantenendo con la mano destra il pezzo contro la morsa laterale di riferimento quando la macchina si metteva in movimento, comandata dal collega M., si procurava lo schiacciamento del pollice della mano.
La Corte territoriale ha affermato che a carico dell' A., quale responsabile della Bending, facesse onere di contribuire alla valutazione del rischio interferenziale, e che a tale obbligo costui era venuto meno: non solo la Bending aveva venduto alla Emarc un macchinario inidoneo, ma aveva consentito ai dipendenti di quest'ultima di utilizzare il detto macchinario all'interno dei propri spazi. A detta dei giudici di merito, la curvatrice universale ceduta in assenza di barriere fisse e/o mobili di delimitazione dello spazio circostante ne faceva un'attrezzatura inidonea ed incompleta, e tale violazione delle misure di sicurezza era addebitabile anche alla Bending in considerazione della commistione tra le due imprese.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di A.G., lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 40 c.p. e D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 26 e 71, nonchè rispetto a quanto risultante dalla testimonianza B. e dalla consulenza tecnica del prof. C..
Si osserva che il giudicante ha assolto il coimputato P. rilevando come gli obblighi delegabili in materia di sicurezza, tra cui rientra quello ex D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1, fossero stati validamente trasferiti ad altro soggetto, giudicato separatamente, mediante l'istituto della delega di funzioni di cui all'art. 16 D.Lgs. cit.. Ciò sul corretto presupposto che tale disposizione istituisce a carico del "datore di lavoro delegato" un obbligo di fornitura ai lavoratori di attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza. Sulla base di tali premesse, logica conseguenza sarebbe stata, a fortiori, l'assoluzione dell' A., quale rappresentante della società produttrice della "quasi-macchina" poi divenuta parte integrante del macchinario considerato inidoneo e messo da Emarc a disposizione del lavoratore infortunato. Infatti, come ricostruito nella sentenza di primo grado, la Bending aveva venduto a Emarc un "attrezzo di curvatura" da considerarsi una "quasi-macchina" che necessita, per il funzionamento, di incorporazione ad un'ulteriore macchina. La vittima dell'infortunio era pacificamente un dipendente della Emarc, sebbene la macchina piegatrice, già di proprietà di Emarc, fosse temporaneamente ubicata, in attesa di trasferimento, presso i locali della Bending Tooling S.r.l..
Si deduce che la mera circostanza di essere datore di lavoro della società presso la quale si è verificato l'incidente, unitamente alla omessa redazione di un efficace documento di valutazione dei rischi interferenziali, non può di per sè rappresentare addebito di colpa specifica in relazione ad un infortunio causalmente connesso in via esclusiva al mancato montaggio di barriere optometriche, non solo previste dal proprietario della macchina nel proprio DVR ma anche acquistate e presenti in stabilimento, semplicemente non montate e poste in funzione. Il disposto dell'art. 71 cit. è univoco nell'individuare il "datore di lavoro" (e non già il produttore) quale destinatario gravato dalla posizione di garanzia. Nè risulta mai contestata alcuna cooperazione colposa ex art. 113 c.p. tra il ricorrente e i datori di lavoro di Emarc. La vendita di una "quasi-macchina" priva del marchio CE è punita - sul piano amministrativo - solo con una sanzione di carattere interdittivo dal D.Lgs. n. 17 del 2010, art. 6, comma 5.
Si sostiene, infine, che la ritenuta violazione del T.U. n. 81 del 2008, art. 26 quale addebito di colpa specifica causalmente connesso con l'evento lesivo, peraltro in contraddizione con le proprie premesse, è liquidata dalla Corte territoriale con formule apodittiche, nonostante dall'escussione testimoniale e dall'esame del c.t. del PM sia emersa una derivazione esclusiva dell'evento lesivo dall'inottemperanza all'art. 71 cit. La consulenza tecnica del prof. C. ha evidenziato come "le barriere optoelettroniche per il rilevamento della presenza di persone all'interno dell'area di pericolo attorno alla macchina non vengono di norma vendute insieme alla macchina". In effetti, il consulente ha accertato in loco la presenza di tali barriere, non montate, ed il fatto che le stesse non erano state fornite dalla Bending. In definitiva, si chiede alla Corte Suprema di pronunciarsi in ordine alla configurabilità di responsabilità penale per lesioni colpose del produttore di una "semi-macchina" per "aver messo a disposizione del lavoratore dipendente della società acquirente un macchinario privo di requisiti di sicurezza", pur in dichiarata assenza di vendita delle barriere optometriche da prevedersi a cura dell'acquirente, che le abbia effettivamente previste, acquistate ma colpevolmente non montate a protezione dei propri lavoratori.
3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Diritto
1. I motivi di ricorso sono ai limiti della inammissibilità, perchè in parte in fatto e, soprattutto, perchè non si confrontano con le corrette ed esaurienti motivazioni dei giudici di merito, con specifico riferimento a quelle del giudice di primo grado, richiamate dal giudice di appello, che hanno chiarito come Bending e Emarc costituissero, di fatto, un'unica realtà imprenditoriale operante all'interno del medesimo stabilimento (la Bending è controllata al 100% da Emarc).
2. A carico dell' A. sono stati, quindi, ragionevolmente rinvenuti i seguenti profili di colpa specifica.
In primo luogo, la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1, in relazione all'art. 23 della stessa legge (il capo di imputazione è chiaro in tal senso), per avere venduto e messo a disposizione della Emarc, e conseguentemente del suo dipendente, un macchinario inidoneo, non rispondente alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Nel ricorso si insiste sul fatto che si trattava di una "quasi-macchina", senza considerare - come correttamente osservato dai giudici di merito - che anche la restante parte della "macchina" era stata venduta da Bending a Emarc. Si trattava di un macchinario complesso, composto da due pezzi: un struttura denominata "curvatrice universale", sulla quale era collegato un c.d. "attrezzo di curvatura". Quest'ultimo, come accertato in sede di merito, era stato però venduto da Bending senza marcatura CE e senza sistemi antinfortunistici o di sicurezza autonomi. L'unico sistema di sicurezza della "curvatrice universale" era costituito dalle barre optoelettroniche verticali e dalle protezioni fisse perimetrali posteriori e laterali. I giudici hanno tuttavia accertato, tramite consulenza tecnica del prof. C., che tale sistema non garantiva dal rischio di avviamento del ciclo mentre l'operatore si trovava nell'area pericolosa, poichè la consolle di comando mobile non si trovava al di fuori della pedana metallica, esternamente rispetto all'area coperta dalle barriere optoelettroniche. Sicchè l'avviamento del ciclo poteva comunque avvenire da parte del secondo operatore (come avvenuto nel caso di specie). In sostanza, il macchinario complesso risultante dall'assemblaggio dei due pezzi non aveva marcatura CE, nè collaudo finale, nè libretto di uso e manutenzione; era privo delle protezioni adeguate nella zona di caricamento e la barriera ottica non era in grado di individuare la presenza di una persona sulla pedana metallica all'interno dell'area di lavoro. E' stato, quindi, plausibilmente affermato dai giudici di merito che si era in presenza di un macchinario inidoneo, la cui carenza dei sistemi di sicurezza aveva causato le lesioni alla persona offesa, con conseguente responsabilità colposa anche del titolare della ditta costruttrice Bending, vale a dire l'odierno ricorrente.
In secondo luogo, la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art., per l'evidente rischio interferenziale, non adeguatamente valutato da Bending, che aveva consentito l'installazione di un macchinario inidoneo nei propri locali.
Come ben spiegato dal Tribunale, il contratto intercorrente fra le due società per la collocazione del macchinario nei locali della Bending costituiva una fictio, posto che a fronte dell'asserito addestramento del personale, è stato accertato che il macchinario era pienamente utilizzato dai dipendenti Emarc (e da quelli della Bending, sia pure a titolo di supporto informativo) per il proprio ciclo produttivo. Conseguentemente il DUVRI predisposto presentava forti criticità, in quanto nulla diceva in ordine alla prevenzione dei rischi connessi all'uso del macchinario, derivanti dalla presenza di lavoratori di imprese diverse che dovevano coesistere e cooperare sul medesimo luogo di lavoro. Sul punto è stato correttamente osservato che la Bending avrebbe dovuto, a monte, predisporre e, a valle, vigilare sull'esistenza e l'utilizzo dei sistemi di sicurezza del macchinario utilizzato nel proprio capannone sia dai propri dipendenti, sia dai dipendenti di Emarc. Difatti il concetto di interferenza, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 (ora D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26), è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale, e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - in quanto la "ratio" della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonchè soluzioni comuni di problematiche complesse (Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity, Rv. 27325701).
Dai suddetti elementi i giudici di merito hanno plausibilmente desunto il nesso di causalità fra le omissioni addebitate al prevenuto e l'infortunio, posto che la predisposizione di adeguati sistemi di sicurezza sul macchinario, anche a fini di salvaguardia del rischio interferenziale, avrebbe certamente impedito l'evento lesivo occorso al lavoratore.
3. E' appena il caso di rilevare che l'argomento/quesito finale formulato dal ricorrente - in cui si sostiene, in sintesi, che l'installazione sul macchinario di sistemi di sicurezza adeguati costituiva esclusivo onere dell'impresa acquirente e non di Bending - è male impostato e fuorviante in fatto, posto che la macchina venduta senza dispositivi di sicurezza è quella complessivamente assemblata e formata dai due pezzi venduti entrambi da Bending, per cui non ci si può limitare a considerare la sola "quasi-macchina" ai presenti fini. E' indubbio che la fornitura da parte di Bending di due pezzi costituenti un macchinario complesso imponeva alla ditta costruttrice/venditrice di assicurarne l'idoneità a fini prevenzionistici. In ogni caso, una adeguata valutazione del rischio interferenziale avrebbe imposto alla Bending di predisporre le misure di sicurezza omesse, come in effetti è avvenuto dopo l'infortunio, atteso che i giudici di merito hanno dato conto del fatto che la Bending, aderendo alle indicazioni del consulente tecnico del PM, dopo l'incidente aveva installato una ulteriore barriera optoelettrica orizzontale, in modo tale che l'avviamento del ciclo produttivo era possibile soltanto quando l'area pericolosa era libera da persone; inoltre, l'intero perimetro della macchina era stato delimitato con griglie metalliche per impedire il passaggio di persone.
4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021