Cassazione Penale, Sez. 4, 12 marzo 2021, n. 9833 - Infortunio del lavoratore irregolare durante lo spostamento di un impianto di panificazione
1. La Corte di appello di Milano il 2 luglio 2019 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con la quale il Tribunale di Milano il 12 luglio 2018, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto al E.N.N. responsabile del reato di lesioni colpose gravi, con violazione della disciplina infortunistica, fatto contestato come commesso il 24 ottobre 2014, in conseguenza condannandolo, senza circostanze attenuanti, alla pena stimata di giustizia, oltre al risarcimento dei danni a favore delle parti civili.
2.11 fatto, in estrema sintesi, come concordemente ricostruito dai giudici di merito.
2.1.Il 24 ottobre 2014 E.A., dipendente non regolarmente assunto della s.r.1. "Giada" con oggetto sociale la produzione di prodotti alimentari da forno, ha ricevuto l'incarico dal datore di lavoro, E.N.N., di spostare, insieme ad altro personale, un impianto di panificazione di grandi dimensioni e pesante dall'interno all'esterno dei locali dell'azienda, al fine di poter liberare il pavimento, che doveva essere ristrutturato.
Lo spostamento è stato, dunque, effettuato, alla presenza di E.N.N., da quattro operai addetti alla panificazione e che non avevano ricevuto alcuna formazione o informazione al riguardo, mediante impiego da parte degli stessi di due "transpallet" (carrelli su ruote muniti di due forche per sollevare oggetti pesanti, collegate ad un braccio centrale per la conduzione) elettrici manuali ma, dopo pochi metri, la struttura metallica dell'impianto ha ceduto, rovinando al suolo e ferendo E.A..
2.2.L'imputato, in qualità di datore di lavoro - amministratore unico della s.r.l. "Giada" è stato riconosciuto responsabile di avere cagionato al dipendente, non regolarmente assunto (la p.o. ha dichiarato che da circa un mese lavorava; sarebbe stata poi assunta lo stesso giorno dell'infortunio), lesioni e fratture causative di malattia tale da impedire di attendere alle ordinarie occupazioni per 238 giorni, per colpa sia generica (imprudenza, imperizia, negligenza) che specifica (artt . 17, 28, comma 1, e 71, comma 3, del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Sotto tale ultimo profilo, l'imputato avrebbe omesso di adottare misure idonee a salvaguardare l'integrità fisica dei lavoratori , in particolare: a) non adottando misure tecniche ed organizzative per impedire che le attrezzature di lavoro fossero utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non erano adatte; b) trascurando, nel documento di valutazione dei rischi (acronimo: D.V.R.), il rischio relativo alla movimentazione di macchine e di impianti dai locali interni dell'azienda all'esterno.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi con i quali lamenta violazione di legge .(tutti e tre) ed anche vizio di motivazione (il secondo motivo).
3.1. Con il primo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 190 e 495, comma 2, cod. proc. pen., 111, comma 2, Cost. e 6, comma 3, lett. d), Cedu, per avere i giudici di merito violato il diritto di difesa dell'imputato, il Tribunale non ammettendo testi di lista necessari per la "giusta" decisione e la Corte di appello disattendendo il secondo motivo di impugnazione e respingendo la richiesta di rinnovazione istruttoria con oggetto l'esame dei testimoni che erano stati - si ritiene dal ricorrente illegittimamente - esclusi in primo grado.
Si rammenta avere il Tribunale con ordinanza del 18 settembre 2017 ammesso soltanto uno - a scelta - tra i dodici testimoni indicati in lista dalla difesa, oltre a tre testi comuni al Pubblico Ministero, ed avere la difesa impugnato, insieme alla sentenza, anche l'ordinanza istruttoria. Il rigetto da parte della Corte territoriale sarebbe illegittimo ed erroneo, in quanto, pur essendo il capitolo di prova comune, non tutti i lavoratori - si osserva - hanno lo stesso patrimonio di conoscenze circa le condizioni di lavoro: si fa l'esempio di lavoratori addetti a funzioni operative ovvero amministrative e e di lavoratori presenti all'infortunio o soltanto presenti in azienda e si afferma che i «Nove testi indicati dalla difesa [scilicet: e non escussi] avrebbero certamente potuto spiegare compiutamente la dinamica dei fatti, il reale movimento dello spostamento del macchinario, il ruolo di F.A. [secondo la difesa, proprietario dell'impianto di panificazione che si tentava di trasportare] e l'assenza di responsabilità in capo all'imputato. Impedire alla difesa di esaminare nove testimoni su dodici significa depotenziare le possibilità a discarico [...]» (così alla p. 4 del ricorso).
Sarebbe stato violato il principio posto dalle richiamate fonti costituzionale, sovranazionale e codicistica, del contraddittorio e della "parità delle armi" e non sarebbe stato realizzato un "giusto processo", essendo stato escluso il 75% dei testi a discarico in base ad una valutazione di "superfluità" che presuppone una valutazione comparativa svolgersi ad istruttoria espletata, non già preventivamente all'inizio del dibattimento, quando il giudice ha soltanto il potere di escludere le prove "manifestamente superflue o irrilevanti", richiamandosi giurisprudenza di legittimità stimata pertinente (Sez. n. 13095 del 2017; Sez. 6, n. 8246 del 1993).
La nullità denunziata nell'impugnazione di merito sarebbe stata erroneamente ed illegittimamente esclusa con la motivazione - che si stima gravemente inadeguata - che si rinviene alla p. 3 della sentenza di appello.
Il vulnus arrecato dalla decisione giudiziale - non emendata in appello - avrebbe impedito alla difesa: di chiarire perché la ditta "Giada" ed il suo titolare si sarebbero dovuti occupare di smontare e trasportare macchinari di proprietà di terzi (cioè di tale F.A.); di far emergere che l'ordine di trasporto non era stato dato dall'imputato; .di supplire le carenze dell'esame della persona offesa e di M.E., derivanti dalla scarsa comprensione della lingua italiana; di chiarire le precise mansioni e la qualifica dell'infortunato; di illustrare il comportamento successivi ai fatti tenuto dall'imputato, e ciò anche a fine della dosimetria della pena e della auspicata concessione delle attenuanti generiche.
In definitiva, ad avviso del ricorrente «La prova raggiunta è senza dubbio insufficiente perché basata esclusivamente sulle dichiarazioni di due soggetti contraddittori e assai poco chiari (la persona offesa ed il tese E. ed è pacificamente contraddittoria in quanto si scontra con le dichiarazioni di AN. e sicuramente della teste B.. Il mancato esame di nove persone presenti in azienda e a conoscenza del fatto e del comportamento reale dell'imputato integra il motivo di cui alla lett. d) dell'art. 606 c.p.p. inficiando l'intera regolarità del processo» (così alle p 8-9 del ricorso).
3.2. Con il secondo motivo censura promiscuamente violazione di legge, mancanza di motivazione e manifesta illogicità della sentenza con riguardo alla normativa in tema di sicurezza sul lavoro ai sensi del d. lgs. n. 81 del 2008.
Avendo alle pp. 5-6 dell'appello con il terzo motivo la difesa contestato l'erronea applicazione della normativa in tema di sicurezza sul lavoro, con riferimento al tema del comportamento della persona offesa e della c.d. "auto responsabilità" del lavoratore, si sottolinea avere la Corte di merito totalmente ignorato tale aspetto, così violando il principio di necessaria correlazione tra devoluto e decisione giurisdizionale e l'obbligo di motivazione, di rilievo costituzionale.
3.3. Con il terzo motivo si duole dell'erronea applicazione dell'art. 530 cod. proc. pen. con riferimento al capo della sentenza relativo al giudizio di responsabilità, per avere i giudici di merito illegittimamente «privato il processo quasi integralmente delle prove richieste dalla difesa e privato la sentenza di una qualsivoglia motivazione in ordine al ruolo del lavoratore nella causazione del danno» (così alla p. 13 del ricorso), nemmeno prendendo in considerazione l'ipotesi alternativa ed adottando la condanna malgrado le prove di responsabilità siano insufficienti e contraddittorie.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Il P.G. della Corte di cassazione il 18 gennaio 2021 nella conclusioni scritte rassegnate ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificaz., nella I. 18 dicembre 2020, n. 176, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
5. L'I.N.A.I.L. con memoria del 26 gennaio 2021 ha chiesto il rigetto del ricorso, la conferma delle statuizioni civili e la condanna alle spese, che ha quantificato in 6.934,50 euro.
6. La difesa dell'imputato con memoria del 29 gennaio 2021 ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Diritto
1. Premesso che il reato non è prescritto ( fatto del 24 ottobre 2014· + sette anni e sei mesi = 24 aprile 2022), il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso (con il quale si contesta la riduzione della lista testimoniale dell'imputato), si prende atto che dall'accesso diretto del Collegio al verbale di udienza del 18 settembre 2017 (accesso consentito, atteso il tipo di vizio denunziato), risulta che il Tribunale, sentite le richieste istruttorie delle parti, ha ammesso tre testimoni della difesa comuni alla lista del P.M. ed un altro a scelta del richiedente - sui dodici complessivamente indicati nella lista depositata in Cancelleria 1'8 settembre 2017 escludendo «per ridondanza/sovrapponibilità delle posizioni le residue prove testimonia/i» (così alla p. 4 del verbale del 18 settembre 2017).
La Corte territoriale ha disatteso la censura svolta con il motivo di appello, osservando che sono stati ammessi complessivamente quattro testi della difesa (p. 3 della sentenza impugnata).
2.1. Ebbene, va senz'altro data continuità al principio di diritto secondo il quale «Il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all'inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti; con la conseguenza che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato» (Sez. 3, n. 13095 del 17/1/2017, S., Rv. 269331; in conformità Sez. 2, n. 9056 del 21/01/2009, Zerabib, Rv. 243306; in precedenza v. già Sez. 6, n. 13792 del 06/10/1999, Malgiorgio, Rv. 215281, secondo cui «In tema di provvedimenti del giudice in ordine alla prova, il diritto dell'imputato a/l'ammissione delle prove a discarico, di cui all'art. 495, comma secondo, cod. proc. pen., va coordinato con il potere attribuito al giudice dal comma quarto del medesimo artìcolo di revocare l'ammissione di prove che risultino "superflue". Tale potere, esercitato dal giudice sulla base delle risultanze della istruttoria dibattimentale, è ben più ampio di quello che al medesimo è riconosciuto all'inizio del dibattimento, fase processuale caratterizzata dalla normale "verginità conoscitiva" de/l'organo giudicante rispetto alla regiudicanda e pertanto regolata dal più restrittivo canone di cui all'art. 190, comma primo, cod. proc. pen. , richiamato dall'art. 495, comma primo, dello stesso codice , in base al quale, stante il diritto delle parti alla prova, il giudice può non ammettere le sole prove vietate dalla legge o quelle che "manifestamente" risultino superflue o irrilevanti. Ne consegue che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della· logicità e congruenza della relativa motivazione raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato» .
2.2.Occorre, tuttavia, tenere conto che nel caso concreto i capitoli di prova indicati in lista sono identici per tutti e dodici i testi («sui fatti oggetto di imputazione, in particolare in quanto lavoratore di Giada srl ed a conoscenza delle condizioni di lavoro in azienda, dei fatti relativi all'infortunio e delle misure antiinfortunistiche realizzate in azienda» ) cioè non sono "personalizzati"e che le specificazioni informative che il ricorrente indica alle pp. 6-8 del ricorso vengono proposte per la prima volta nell'atto di appello (p. 4) non essendo le stesse contenute nella lista testi né risultando essere state illustrate all'udienza sull'ammissione delle prove.
Discende la reiezione del motivo di ricorso: infatti, come condivisibilmente sottolineato dal P.G. (alla p. 1 della requisitoria), « La violazione del diritto di difesa, "sub specie" di mancata ammissione delle prove dedotte, esige che ne sia precisata la portata indicando specificamente le prove che l'imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento, considerato che il diritto de/l'imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi, trova un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex art. 495 cod. proc. pen. » (Sez. 5, n. 10425 del 28/ 10/ 2015 , dep. 2016, Lanzafame, Rv. 267559- 01).
3. Quanto al secondo motivo di impugnazione (avente ad oggetto la mancata considerazione del comportamento della vittima - alla p. 6 dell'appello si affermava che l'infortunato avrebbe svolto attività di trasporto per conto di persone diverse dal suo datore di lavoro, cioè F.A. della ditta "Il pane di Nazareth", così violando - si assume - il principio di collaborazione del dipendente nel rapporto di lavoro), si osserva che si tratta di mera affermazione assertiva di parte ricorrente, sostenendo la difesa una ricostruzione degli accadimenti diversa da quella svolta nella doppia pronuncia conforme di merito.
4. In relazione, infine, al terzo motivo (mancato superamento del "ragionevole dubbio"), osserva il Collegio che il tema della proprietà del macchinario che si tentava di spostare (con riferimento a tale F.A. della ditta "Il pane di Nazareth"), emergente documentalmente (v. pp. 1-2 e 4 dell'atto di appello e penultima pagina della sentenza impugnata), è stato preso in considerazione dai giudici di merito sin dal dibattimento di primo grado (v. penultima pagina della sentenza impugnata) e disatteso con motivazione congrua e logica, osservandosi che è stato l'odierno imputato, e non altri, ad impartire alla vittima, proprio dipendente, l'ordine di spostare "alla buona" e senza alcuna preparazione ed istruzione il pesante macchinario e che il datore di lavoro era presente durante le operazioni (v. pp. 3-4 della sentenza impugnata): donde la irrilevanza, anche ove dimostrata, dell'altrui proprietà del bene.
5. Discende il rigetto del ricorso e condanna del ricorrente, per legge, al pagamento delle spese processuali nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita INAIL, spese che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita INAIL che liquida in euro tremila, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 04/02/2021.