Cassazione Penale, Sez. 4, 09 dicembre 2019, n. 49756 - Crollo del solaio in allestimento per la realizzazione di una palestra polifunzionale. Puntuale identificazione delle mansioni in concrete assunte
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Lecce ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Lecce nei confronti di DP.P., M.I.A. e V.F., giudicati responsabili del reato di cui agli artt. 113, 590, co. 3 cod. pen., in relazione all'art. 583, co. 1 cod. pen., per aver in cooperazione colposa tra loro cagionato lesioni personali gravi a P.C.G. e a G.I., e quindi condannati alla pena per ciascuno ritenuta equa, condizionalmente sospesa, nonché al risarcimento dei danni in favore di quest'ultimo.
2. La vicenda oggetto delle decisioni appena indicate concerne l'infortunio sul lavoro occorso ai lavoratori P.C.G. e G.I., dipendenti della impresa della quale era titolare il DP.P.; infortunio verificatosi a seguito del crollo del solaio in allestimento per la realizzazione di una palestra polifunzionale. In particolare, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, mentre i due lavoratori attendevano, con altri, alla gettata del calcestruzzo sul solaio e le lastre (travi prefabbricate) appoggiate su armature provvisorie, queste ultime cedevano provocando la caduta al suolo del P.C.G. e dell'G.I., che nell'occorso riportavano le menzionate lesioni.
Al DP.P. veniva addebitato di non aver dotato i lavoratori di dispositivi di protezione individuale ed altresì di aver realizzato le armature provvisorie in modo inadeguato e senza che avessero la necessaria solidità. Al M.I.A. e al V.F. veniva rimproverato di aver omesso, essendo coordinatori della sicurezza nella fase dell'esecuzione dei lavori, la verifica dell'applicazione delle prescrizioni contenute nel Piano di coordinamento e di sicurezza.
3. La Corte di Appello è pervenuta alla conferma della decisione di condanna dopo aver disposto la rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale nominando un perito nella persona dell'ing. B., al quale ha affidato l'incarico di accertare le cause del crollo. All'esito della stessa ha ritenuto che la ricostruzione operata dal primo giudice fosse stata confermata.
Ha pertanto attribuito il crollo alla inadeguatezza delle opere provvisorie, costituite da puntelli che, in luogo di essere posti a diretto contatto con il suolo, come previsto dal PCS, erano stati posti su due mattoni; all'erronea esecuzione della gettata, non essendosi proceduto ad una uniforme distribuzione del calcestruzzo e quindi dei pesi; ed è quindi pervenuta alla conclusione che il crollo fu dovuto al cedimento delle opere provvisionali, causato o dall'erronea esecuzione della gettata o dalla loro intrinseca inidoneità, nonché alla omessa
dotazione dei lavoratori dei prescritti dispositivi individuali di protezione (cinture di sicurezza e caschi protettivi).
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza DP.P., a mezzo del difensore avv. Alfredo C..
4.1. Con un primo motivo ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione per aver la Corte di Appello recepito acriticamente le conclusioni del perito senza valutare adeguatamente elementi fattuali che avrebbero condotto a conclusioni diverse; pur avendo richiamato le conclusioni dei consulenti tecnici degli imputati la corte territoriale non ha esplicato le ragioni per le quali esse non sono state prese in considerazione, salvo che per il tema dello sbriciolamento della trave, in ordine al quale è comunque pervenuta a conclusioni erronee ed incomplete.
L'esponente ha quindi esposto gli elementi che, sottoposti alla Corte di Appello con apposita memoria illustrativa, questa non ha valutato:
- in ordine alla erronea esecuzione della gettata, il perito non ha tenuto conto che il solaio era già costituito da una intelaiatura in cemento armato, sicché le modalità da questi indicate come corrette non dovevano essere seguite nel caso di specie;
- se il crollo fosse stato causato dal sovraccarico le travi di legno costituenti le armature provvisorie si sarebbero spezzate, mentre rimasero integre;
- il perito non ha sciolto il dubbio in merito alla incidenza delle condizioni delle opere provvisorie sul verificarsi del crollo;
- il perito sembra aver ritenuto che anche l'inadeguatezza di alcune controventature fu concausa del crollo, senza considerare che in considerazione dello stato dei lavori le controventature svolgevano un ruolo marginale;
- le irregolarità nel puntellamelo segnalate dal perito non sono idonee a giustificare il crollo; lo stesso perito ha espresso il dubbio in merito al fatto che la rottura dei mattoni fosse state la causa o la conseguenza del crollo;
- la puntellatura non in asse costituiva un'eccedenza rispetto a quella prevista nella relazione di calcolo realizzata dall'impresa, perché i puntelli erano in numero superiore a quello previsto; in ogni caso la circostanza non ha avuto efficienza causale;
- il puntello rinvenuto capovolto non era nell'area soggetta al crollo; il perito ha affermato in dibattimento che erano capovolti tutti i puntelli, contraddicendo quanto aveva scritto nella relazione peritale;
- la presenza di puntelli obliqui è irrilevante perché il crollo è avvenuto nella parte centrale del solaio e quelli erano periferici;
- l'assenza di indagini sulla consistenza della trave precompressa avrebbe dovuto condurre il perito ad attribuire il crollo allo sbriciolamento della stessa.
Infine l'esponente rimarca che il giudizio solo probabilistico espresso dal perito deve condurre ad annullare anche le statuizioni civili.
5. Ha proposto ricorso M.I.A. Ippazio Antonio, a mezzo del difensore avv. Giuseppe E..
5.1. Con un primo motivo ha dedotto l'erronea applicazione della legge penale In relazione agli artt. 92, 97, 100 e 142 del d.lgs. n. 81/2008 nonché l'omessa motivazione.
La Corte di Appello ha omesso di pronunciarsi in merito all'eccepita assenza nel caso di specie di un presupposto essenziale dell'attribuzione di responsabilità al coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione, ovvero la previsione del coinvolgimento di più imprese nel cantiere e del conseguente rischio interferenziale.
Il giudice di merito ha fatto erronea applicazione della disciplina concernente il coordinatore per l'esecuzione perché ne ha ampliato le responsabilità ed i compiti, giungendo anche a imputargli il mancato utilizzo dei dispositivi di protezione individuali e collettivi ed il controllo sull'effettiva applicazione delle disposizioni del POS. L'esponente richiama a sostegno un ampio campione di principi formulati dal giudice di legittimità in merito ai compiti del coordinatore per l'esecuzione.
Ha aggiunto che neppure ha considerato, la Corte di Appello, la presenza di un direttore dei lavori, essendo stato nominato in tale ruolo il V.F., e che il crollo è stato conseguenza di attività proprie dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore.
Così la Corte di Appello ha contraddetto le stesse premesse in diritto alle quali ha inteso riferirsi.
5.2. Con un secondo motivo si lamenta l'erronea valutazione della prova e il vizio della motivazione.
La censura viene specificata rilevando che la Corte di Appello non ha tenuto conto delle risultanze processuali rappresentate dalle conclusioni dubbiose del perito in merito alle cause del crollo, affermando che questi aveva fornito risposte convincenti ai quesiti. Per contro, la Corte di Appello aveva l'obbligo di sottoporre ad analisi le palesi contraddizioni del perito.
5.3. Infine, l'esponente segnala che successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata è decorso il termine di prescrizione del reato.
6. Ha proposto ricorso V.F., per atto sottoscritto dal difensore avv. -Massimo V. G..
6.1. Ha articolato un primo motivo deducendo la violazione di legge ed il vizio della motivazione in relazione all'art. 533 cod. proc. pen., perché la Corte di Appello non ha osservato "il principio del ragionevole dubbio" e non ha reso motivazione in ordine alla riconducibilità del crollo alla condotta del V.F..
In particolare, la corte territoriale non ha reso motivazione in merito alle osservazioni tecniche formulate dai consulenti tecnici di parte con riferimento alle cause del crollo e segnatamente alla funzione delle controventature, all'irrilevanza causale dell'essere stati i puntelli appoggiati su mattoni, al ruolo svolto nella vicenda dalle travi prefabbricate fornite dalla ditta ITO, aderendo alle conclusioni del perito, peraltro dubbiose, senza spiegarne le ragioni, essendosi espressamente richiamata al principio secondo il quale il giudice può attenersi alle conclusioni del perito, rinviando all'elaborato di questi per il supporto razionale.
6.2. Con un secondo motivo si lamenta la "erronea applicazione dell'art. 533 c.p.p. in relazione all'erronea applicazione dell'art. 92 d.l.vo 81/2008", per aver attribuito al coordinatore per l'esecuzione compiti che non gli sono imposti dalla disciplina d legge.
7. E' pervenuta memoria difensiva nell'interesse della parte civile G.I., con la quale si svolgono osservazione adesive alla sentenza impugnata e si chiede il rigetto dei ricorsi.
Diritto
8. In via preliminare deve essere esplicitato che il reato ascritto agli imputati è prescritto. Il termine massimo di prescrizione è pari a sette anni e sei mesi ed essendo stato commesso il reato il 26.10.2009, esso è decorso con lo spirare del 26.4.2017.
8.1. Per le ragioni che saranno esposte nel prosieguo va ritenuto che siano stati correttamente instaurati i rapporti processuali, non ravvisandosi l'inammissibilità dei ricorsi (cfr. Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818), sicché non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità dei condannati, per una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell’art. 129 co. 2 cod. proc. pen., va dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, con conseguente annullamento della sentenza impugnata agli effetti penali.
Le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, escludono non solo qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma anche valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal DP.P., che, con quelle del M.I.A. e del V.F., sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna degli stessi al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l'art. 578 cod. proc. pen. prevede che il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall'art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 3284 del 25/11/2009 - dep. 26/01/2010, Mosca, Rv. 245876; Sez. 6, n. 18889 del 28/02/2017 - dep. 19/04/2017, Tornasi, Rv. 269890).
Anche sotto lo specifico profilo ora menzionato le doglianze proposte dal DP.P. non sono fondate; mentre lo sono quelle avanzate dagli ulteriori ricorrenti.
9. Per ciò che concerne il DP.P., la censura alla Corte di appello attinge in più parti il merito: il ricorrente vorrebbe che questa Corte ritenesse errata la ricostruzione delle cause del crollo operata dai giudici di merito, adottando la prospettiva difensiva di una esclusiva rilevanza eziologica della cattiva stagionatura delle travi ITO. Solo retoricamente si espone che la Corte di appello ha aderito al giudizio del perito B. senza tener conto dei diversi giudizi dei consulenti delle difese.
In primo luogo, poiché le motivazioni delle conformi sentenze di primo e di secondo grado si integrano tra loro, per quelle questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, e per quelle ulteriori per le quali l'appellante prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate (cfr. Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 - dep. 01/07/2013, Santapaola e altri, Rv. 25643501), va ritenuto che delle consulenze presentate dagli imputati la Corte di appello abbia confermato la valutazione già operata dal primo giudice. L'ipotesi che le travi ITO fossero stagionate in modo inadeguato e si fossero quindi sgretolate è stata presa in considerazione dal Tribunale in quanto prospettata in termini diversi da tutti i consulenti tecnici degli imputati (C., M.I.A. e P.); e il primo giudice ha escluso che essa fosse stata dimostrata nel processo.
La Corte di appello, accogliendo proprio la richiesta della difesa del DP.P., ha disposto la perizia, che non ha condotto a risultati diversi. Come afferma lo stesso esponente nel ricorso, l'ipotesi ha trovato considerazione e replica nella sentenza qui impugnata (infatti, si vedano pg. 10 e 11); d'altronde, sul punto la relazione del nuovo consulente tecnico del DP.P., C., si è limitata a prospettare che se una trave si era sbriciolata allora doveva ritenersi che anche le altre presentassero il medesimo vizio.
Escluso quindi che la tesi del vizio di fabbricazione delle travi non sia stata esaminata dai giudici di merito e immotivatamente emarginata, risulta superata la prospettazione difensiva incentrata sul difetto delle travi come causa esclusiva del crollo.
L'esponente censura la Corte di appello anche per aver ritenuto errata la esecuzione dell'operazione di getto del calcestruzzo (in funzione della dimostrazione della assorbente incidenza del già descritto vizio di fabbricazione delle travi ITO). Ma il principale argomento a sostegno di tale tesi, ovvero che le travi fossero autoportanti (sicché lo spargimento del getto di cemento non doveva avvenire come normalmente accade, ovvero distribuendolo in modo graduale, ma ben poteva essere fatto secondo le modalità seguire nel caso che occupa) è in aperta contraddizione con quanto chiaramente asserisce il Tribunale e viene fatto proprio dalla Corte di appello, ovvero che le travi ITO rappresentavano una struttura non autoportante (cfr. sentenza del Tribunale, pg. 4, pg. 9 ove si cita la testimonianza Rondinella, tecnico ITO; pg. 10).
Insuperato quindi il giudizio in ordine alla erronea modalità di spargimento del calcestruzzo, risulta palese che rappresentando l'omessa considerazione da parte della Corte di appello dei rilievi operati con apposita memoria illustrativa, si ripropone l'orizzonte fattuale, onde conseguire una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità.
Ed infatti: del presupposto evocato per escludere la erronea esecuzione della gettata si è già scritto; della erronea esecuzione delle opere provvisionali la Corte di appello ha dato ampia dimostrazione, richiamando constatazioni e valutazioni del perito che, proprio perché confermative del giudizio già espresso dal Tribunale (pg. 10 e 11), trovano anche nella motivazione di questo l'indicazione del fondamento.
Non è necessario approfondire ulteriormente l'indagine perché in realtà, quel che rileva, a riguardo della posizione del DP.P., non è tanto la riconducibilità all'imputato di eventuali errori nell'apprestamento delle opere provvisionali (considerata nella contestazione, per il profilo del datore di lavoro, solo attraverso la menzione dell'art. 142 d.lgs. n. 81/2008), quanto la circostanza di aver fatto operare i lavoratori non provvedendo a dotarli delle cinture di sicurezza e dei caschi di protezione e comunque non provvedendo a vigilare sull'uso di questi. E' su tali inosservanze agli obblighi prevenzionistici - causalmente efficienti perché avrebbero evitato o ridotto le conseguenze della caduta - che fonda principalmente il giudizio di responsabilità del DP.P.. Ed è un profilo in nessun modo trattato dal ricorso.
10. I ricorsi del M.I.A. e del V.F. sono fondati, nei termini appresso specificati.
Fermo restando quanto si è sin qui esposto, che vale a giustificare il giudizio di infondatezza del secondo motivo del M.I.A. e del primo motivo del V., va rilevato, quanto ai restanti motivi, che i menzionati imputati sono stati ritenuti responsabili del fatto in quanto coordinatori della sicurezza in fase di esecuzione. In effetti, la menzione nel corpo dell'imputazione dell'art. 92 d.lgs. n. 81/2008 presuppone per l'appunto tale qualità. Tuttavia in nessuna delle sentenze di merito è chiarito se nella fattispecie ricorressero i presupposti fattuali dalla legge previsti perché abbia vita la figura del coordinatore per l'esecuzione; fattualità necessaria, stante il principio di effettività che informa la ricostruzione delle posizioni di garanzia.
Come chiaramente emerge dal dettato normativo (art. 90 d.lgs. n. 81/2008), il committente o il responsabile dei lavori, prima dell'affidamento dei lavori e qualora sia prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, o quando dopo l'affidamento dei lavori a un'unica impresa, l'esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese, designa il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 98 (co. 4 e 5).
Compito del coordinatore per l'esecuzione (come già del coordinatore per la progettazione) è essenzialmente quello di governare il cd. rischio interferenziale, ovvero il rischio che deriva dalla presenza diacronica o sincrona in cantiere di più plessi organizzativi; si tratta di un rischio distinto ed autonomo rispetto a quelli che il singolo datore di lavoro deve valutare e gestire a partire dalla elaborazione del documento di valutazione dei rischi (DVR). Ed infatti il coordinatore per l'esecuzione, ove non già formato dal coordinatore per la progettazione, elabora un autonomo documento di valutazione, che prende il nome di piano di sicurezza e di coordinamento (PSC: art. 92, co. 2), la cui funzione precipua è quella di adottare le misure funzionali all'azzeramento o, se non possibile, alla diminuzione del rischio interferenziale.
Ed è in questa prospettiva che va intesa la puntualizzazione, ormai ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte e rammentata anche dalla Corte di appello, secondo la quale il coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori svolti in un cantiere edile è titolare di una posizione di garanzia - che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica - in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017 - dep. 05/10/2017, Prina, Rv. 27102601). Con la decisiva avvertenza che l'autonoma funzione di vigilanza riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto) (Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017 - dep. 05/10/2017, P.C. in proc. Revello, Rv. 27099101). Funzione di alta vigilanza che peraltro attiene esclusivamente al rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attività dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo. Affermazione, questa, formulata proprio in un caso di decesso causato dalla precipitazione dal tetto di un dipendente dell'impresa appaltatrice dei lavori di rimozione delle lastre di copertura, e implicante la necessità che il giudice di merito accerti se si fosse concretizzato un rischio generico, relativo alla conformazione generale del cantiere, o un rischio specifico attinente alle attività oggetto del contratto di appalto (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016 - dep. 23/01/2017, Bellotti e altro, Rv. 26904601).
Orbene, il solo fatto che gli imputati in parola siano stati qualificati come coordinatori per l'esecuzione non può avere maggiore rilevanza della concreta situazione determinatasi nell'organizzazione del cantiere. Lo stesso PSC, in assenza di più imprese, non si vede di quale rischio interferenziale abbia potuto essere strumento di gestione. In realtà dalla lettura delle sentenze non risulta chiaro in che veste concreta i due imputati in parola abbiano agito; non è esposto chi li abbia nominati (solo per il V. il ricorrente M.I.A. afferma che questi fu nominato direttore dei lavori dall'impresa). Il V. viene poi indicato come il soggetto che redasse la relazione di calcolo. Non è tuttavia chiarito se si tratta della relazione prevista dall'art. 142 (già art. 64 d.p.r. 164/56); precisazione rilevante perché in questo caso sarebbe esclusa la responsabilità per non aver verificato l'esecuzione corretta del progetto. Infatti, la responsabilità del progettista e direttore delle opere in cemento armato (nella specie, ex art. 3 della legge 5 novembre 1971 n.1086) non si estende alla predisposizione delle opere provvisorie necessarie per la realizzazione dell’opera principale, predisposizione che rientra nella competenza dell'imprenditore, senza che il predetto progettista sia tenuto a sorvegliare in tale fase il modo in cui vengono realizzate le opere provvisionali, la sicurezza del materiale impiegato, la rispondenza ai requisiti richiesti dalla progettazione (Sez. 4, n. 112 del 10/12/1998 - dep. 05/01/1999, Losengo D ed altro, Rv. 21240501). D'altro canto, l'aver assunto le funzioni di direttore di cantiere importerebbe l'obbligo di predisporre i presidi necessari ad impedire il crollo (cfr. Sez. 3, n. 42684 del 07/05/2015 - dep. 23/10/2015, Pizzo e altro, Rv. 26519901).
La puntuale identificazione delle mansioni in concrete assunte - che, come frequentemente accade in pratica, possono anche essere cumulative e quindi implicare la sommatoria di doveri di diligenza ordinariamente riferiti a specifici ruoli - è quindi dirimente, al fine di definire il pertinente carico di doveri e la rilevanza eziologica della loro violazione.
11. La sentenza impugnata va quindi annullata anche agli effetti civili nei confronti di M.I.A. e V.F., con rinvio al giudice civile competente per valore di grado di appello per l'ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta agli effetti civili il ricorso di DP.P.. Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata nei confronti di M.I.A. e V.F. e rinvia al giudice civile competente per valore di grado di appello.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3/10/2019
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