Cassazione Penale, Sez. 4, 07 maggio 2020, n. 13865 - Operai sepolti dal cedimento di un muro perimetrale. Responsabilità del direttore tecnico della ditta appaltatrice e capofila dell'ATI con delega di sicurezza

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

1. La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza del 12 novembre 2018, riformava parzialmente la sentenza pronunciata dal Tribunale di Venezia in data 10 aprile 2014 confermando la penale responsabilità di T.M. ed assolvendo B.V. dal reato ascrittogli.
In particolare il T.M. veniva riconosciuto colpevole dei delitti di cui agli artt. 40 cpv, 589 commi 2 e 4 in relazione all'art. 590 commi 2 e 3 cod.pen. perché, in qualità di Direttore Tecnico del cantiere Sacaim S.p.A. - società "capogruppo" dell'Associazione Temporanea di Imprese Ex Conterie Scarl (di qui in avanti A.T.I.) -, in violazione degli artt. 150 e 151 D.Lgs. 81/2008, cagionava, in concorso con altri, la morte di V.V. e lesioni personali a VA.V., I.E. e D.M..
2. Gli infortuni occorsero in data 22 settembre 2009 nel cantiere edile sito in Venezia - Murano in cui erano in corso lavoro di realizzazione di un complesso alberghiero mediante parziale recupero e completa ristrutturazione di una struttura archeologica industriale denominata "ex Conterie", immobile vincolato da cui l'obbligo di conservazione di alcune strutture murarie. Gli interventi interessavano due corpi di fabbrica, in posizione ortogonale l'uno rispetto all'altro, denominati edificio "Manica corta" e "Manica lunga". Tali lavori erano stati appaltati dalla ditta committente Legare alla impresa Geolisa Fond con riguardo alle opere di infissione di micropali per la messa in sicurezza degli edifici, nonché all'A.T.I. con riguardo alla c.d. "cantierizzazione" e da quest'ultima affidati in subappalto, rispetto alla carpenteria e alla esecuzione dei getti in calcestruzzo, alla società Zeni S.a.s.
3. La vicenda, che non è oggetto di contestazione, è stata puntualmente ricostruita, sulla base del complessivo materiale probatorio in atti, dai giudici di merito: il giorno in cui è occorso l'evento, presso l'edificio "Manica lunga" erano in corso lavori di trivellazione del terreno finalizzati alla infissione di micropali mentre nell'edificio "Manica corta", dopo consistenti demolizioni che avevano riguardato il solaio del primo piano e le murature interne, risultavano insistere solo due delle pareti perimetrali, ed erano in corso lavori di posa in opera delle armature della fondazione interna. Contestualmente all'esecuzione delle opere di demolizione e scavo e di infissione dei micropali nel terreno, che la ditta Geolisa stava eseguendo secondo il proprio programma, D.M. (dipendente della ditta Costruzioni e Restauri Salmistrani S.r.l., facente parte dell'A.T.I.), si trovava in prossimità del muro lato nord mentre le altre vittime V.V., VA.V. e I.E. (che erano dipendenti della ditta Zeni S.a.s.) si trovavano all'interno di uno scavo per il posizionamento di una gabbia in ferro per rinforzare le fondamenta. Il lavoro di rinforzo consisteva nella rimozione della preesistente parte di fondazione e nell'inserimento di micropali lungo il perimetro dell'edificio, secondo una tecnica chiamata "berlinese", sui quali pali, poi, veniva appunto poggiata la gabbia di ferro che permetteva un rafforzamento tra le preesistenti fondamenta e le nuove. L'impiego del martello pneumatico aveva contribuito ad aggravare la situazione di instabilità dell'edificio, provocando il cedimento del muro perimetrale est così travolgendo i lavoratori che rimanevano sepolti dai detriti.
4. Il giudice del merito rilevava che, secondo gli accertamenti svolti, mentre nell'edificio "Manica lunga" le pareti erano state puntellate, nell'edificio "Manica corta" non era stata allestita alcuna opera provvisionale di puntello delle armature rimaste integre, nonostante la puntuale previsione nel progetto redatto dal progettista strutturale e assistente della direzione de lavori ing. R. e la specifica individuazione di possibili fonti di pericolo, con adozione di misure antinfortunistiche idonee nel PSC redatto dall'Ing. L. - tra le quali opere provvisionali, di rinforzamento e puntellatura atte ad evitare il rischio di crolli - mai attuate né trasposte nel POS dell'impresa Sacaim S.p.A.
5. Per quanto attiene alla posizione del ricorrente, alla luce della complessa vicenda, il giudice di prime cure riconosceva il predetto colpevole del reato a lui ascritto in quanto, a fronte della ampia delega a lui conferita dalla legale rappresentante della società Sacaim, S.C., nella quale veniva indicato quale direttore tecnico e responsabile della sicurezza con piena responsabilità in materia antinfortunistica e impegno di spesa illimitato, non aveva provveduto alla corretta redazione del POS, il cui onere su di esso incombeva per effetto della delega stessa, mancando del tutto una valutazione sulla necessità di opere di stabilizzazione delle murature rimaste in piedi in conseguenza delle già avvenute demolizioni delle opere di scavo ed apertura dei varchi, concretandosi così la violazione degli artt. 150 e 151 del D.Lgs. 81 del 2008. Si rilevava inoltre che, rivestendo l'imputato una specifica posizione di garanzia collegata alla sua qualifica di responsabile delegato alla sicurezza dell'impresa appaltatrice Sacaim e della sua veste di datore di lavoro, il T.M. aveva il potere-dovere di valutare attentamente la progettazione di sicurezza e la sua adeguatezza, in special modo con riguardo alle necessità di adeguamento alle circostanze sopravvenute in corso di lavorazione.
Tali conclusioni venivano avallate anche dal giudice distrettuale che, su specifico motivo d'appello, escludeva il difetto di correlazione tra accusa e sentenza in quanto, se è vero che il capo di imputazione contemplava quale specifico profilo di colpa - oltre alla assenza nel POS di un adeguato programma di demolizioni - l'omessa segnalazione al datore dell'inidoneità delle opere provvisionali laddove egli stesso avrebbe dovuto provvedere in materia di sicurezza, ciononostante non ricorreva uno stravolgimento tra quanto contestato e quanto ritenuto in sentenza laddove in primo luogo si trattava pure sempre di obblighi prevenzionali riferibili alla sua posizione di garanzia e comunque l'imputato era stato correttamente posto nelle condizioni di predisporre idonea difesa così da non potersi configurare alcuna violazione di legge.
5. Avverso tale pronuncia ricorre T.M. a mezzo del proprio difensore con due distinte articolazioni.
Con prima doglianza il ricorrente denuncia violazione di legge nonché travisamento della prova. Sotto un primo profilo rileva la apoditticità della motivazione resa dalla Corte veneziana in riferimento al dedotto difetto di correlazione tra accusa e sentenza ritenendo che lo specifico profilo di colpa addebitata al T.M., consistente nella "omessa segnalazione al datore di lavoro", sia del tutto eterogeneo rispetto a quello riconosciuto in sentenza e consistente nel mancato adeguamento del POS. Sotto altro profilo rileva che, se è vero che una delega era stata ad esso conferita questa, di per sé, "non può valere ad addossare ogni onere di responsabilità tanto più in presenza di figure professionali ben più competenti e specifiche". Proprio sotto questo aspetto si evidenzia da un lato che l'inadeguatezza dei lavori doveva essere ricondotta alla sola ditta Geolisa avendo solo quest'ultima scelto, deciso e contrattualizzato con la committenza la specifica lavorazione. Si deduce, in particolare, violazione delle norme di cui al D.Lgs. 81 del 2008 a mente del quale le prescrizioni di sicurezza da attuare nei cantieri non spettano al direttore tecnico, bensì ai progettisti ed al coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e/o esecuzione avendo questi funzioni c.d. di alta vigilanza che riguarda la generale organizzazione e predisposizione delle lavorazioni nonché la verifica della adeguatezza delle attività lavorative.
5.1 Con secondo motivo denuncia vizio di motivazione nonché inosservanza di legge non potendosi ravvisare un nesso di causalità tra la condotta contestata all'imputato e l'evento. Ad avviso della difesa la condotta omissiva del T.M. non potrebbe in alcun modo essere assunta quale causa dell'evento non essendo emersa alcuna precisa ovvero specifica omissione tale da aver agevolato la realizzazione dello stesso, essendo questo riferibile alle sole negligenze progettuali altrui. Se, infatti, così non fosse, il T.M. sarebbe chiamato a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva.



Diritto


1. Infondato è il primo motivo di ricorso. Rileva il ricorrente che a fronte di una specifica contestazione di colpa enucleata nell'imputazione, il giudice territoriale ha individuato profili ulteriori di responsabilità a carico dell'imputato in ragione di una diversificata posizione di garanzia, laddove in imputazione era stato riconosciuto a suo carico un obbligo di segnalazione delle lacune prevenzionali nella programmazione della demolizione delle strutture della costruzione e nelle attività di sottofondazione; nella sentenza impugnata invece i profili di addebito attengono alla veste di garante della sicurezza sul luogo di lavoro assegnata al T.M.. Assume infatti il giudice distrettuale che, in ragione della procura ad esso conferita dal datore di lavoro, al T.M. era stata attribuita ogni competenza e potere di iniziativa nel settore della prevenzione e della sicurezza sul luogo di lavoro, nonché il potere di integrare e adeguare il piano operativo della sicurezza in ragione della specificità delle lavorazioni che si andavano via via svolgendo, anche in ragione della sua veste di direttore tecnico della ditta capofila dell'ATI cui erano stati demandati tutti i lavori di cantierizzazione ad eccezione delle palificazioni, e pertanto quale responsabile del rispetto del POS anche in relazione ai segmenti di lavorazione ripartiti con le altre aziende comprese nell'associazione e di quelle cui erano stati subappaltati specifici interventi, come in relazione alle operazioni di carpenteria affidate alla ditta ZENI.
2.1 Sul punto peraltro va subito riaffermato che il principio di correlazione tra sentenza e accusa oggetto di contestazione, riconducibile all'art.521 cod.proc.pen., è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità e di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia verificata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione del contenuto essenziale dell'addebito nei confronti dell'imputato, il quale si troverebbe sottoposto a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere alcuna possibilità di apprestare adeguata difesa. Il principio non risulta al contrario violato quando nei fatti, cosi come contestati, ovvero ritenuti nella decisione del giudice di merito, si possa parimenti individuare un nucleo comune e, in particolare quando gli stessi si trovano in rapporto di continenza.
2.2 In tale prospettiva per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenirsi ad una incertezza sull'oggetto della contestazione da cui scaturisca un effettivo pregiudizio per la difesa dell'imputato. Ne deriva che la indagine volta ad accertare la violazione del suddetto principio non deve esaurirsi nel mero pedissequo confronto puramente letterale fra imputazione e decisione perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione si appalesa del tutto insussistente quando l'imputato, anche mediante l'iter del processo, si sia trovato nella condizione concreta di difendersi in ordine al fatto ritenuto in sentenza (Sez.Un, 22.10.1996 Di Francesco, Rv.205619; Sez.IV, 16.12.2015, Addio e altri, Rv. 265946; Sez.II, 15.3.2017,Beretti, Rv. 269569).
2.3 Orbene nel caso in specie non risulta essersi realizzata la suddetta alterazione radicale nella decisione impugnata della originaria contestazione laddove il giudice di merito, sempre partendo dalla materialità dei fatti indicati in contestazione e mediante la contestazione dei medesimi profili specifici di colpa di cui in imputazione (art.112 e 151 D.Lgs. 81/2008 in relazione alla inidoneità delle opere provvisionali e di un adeguato programma di demolizioni nel POS), si è limitato a prendere atto che il prevenuto operava in cantiere non solo in virtù della sua specifica qualifica di direttore tecnico all'interno della ditta appaltatrice delle lavorazioni edili e capofila dell'ATI (SACAIM s.p.a.), con ampi poteri di spesa e piena responsabilità nel settore della sicurezza, compreso il potere di predisposizione del POS e di integrarlo sulla base delle indicazioni contenute nel PSC, ma lo stesso era stato istituito procuratore della società SACAIM, con ampi poteri nel settore della sicurezza, di talché ad un obbligo di segnalazione quale preposto alla lavorazione si sommava un diretta responsabilità di intervento in relazione alle lacune prevenzionistiche e di redazione del POS indicate in imputazione.
2.4 Peraltro tale sopravvenienza, evidenziata dalla difesa dell'imputata S.C. non risulta affatto idonea a stravolgere il senso e il contenuto dell'imputazione, stante la medesimezza dei profili specifici di colpa contestati e la veste di garanzia comunque rivestita di direttore tecnico delle lavorazioni con delega alla sicurezza posizione che comunque lo obbligava ad assumere e coordinare con le altre figure tutoriali (coordinatore della sicurezza in sede di esecuzione e responsabili delle altre imprese impegnate nella esecuzione dell'intervento di ristrutturazione) tutte le iniziative necessarie a scongiurare la messa a repentaglio della sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro.
3. Sotto diverso profilo va osservato come la corte di legittimità, recependo un orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, sez, II, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), ha affermato che nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, come nel caso in esame, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa da parte del giudice dell'appello, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati, non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica è tale da abbracciare la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, di tale che questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Sez. 4, Ordinanza n. 38818 del 04/05/2005 Rv. 232427; Sez. 4, Sentenza n. 51516 del 21/06/2013 Rv. 257902). Si è rilevato, in tale contesto, che il principio di correlazione tra accusa e sentenza debba essere interpretato teleologicamente non imponendo una conformità formale tra i termini in comparazione ma implicando la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull'addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti - e in particolare l'imputato - non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio (Sez. 4, Sentenza n. 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 260161, 15.11.2018, Galdino De Lima Rozangela, Rv.274500).
3.1 Sul punto va poi evidenziato come risulti pacifico approdo della giurisprudenza di legittimità che la garanzia del diritto di difesa risulti assicurata in ordine alla eventuale diversa qualificazione giuridica del fatto, che peraltro nel caso in specie non ricorre, quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire sul tema in una delle fasi del procedimento, qualunque sia la modalità con cui il contraddittorio è stato preservato (fattispecie in cui il mutamento del titolo del reato era intervenuto all'esito del giudizio di primo grado, nel corso del quale era stata espletata una perizia dalla quale emergeva in modo evidente quali fossero i fatti contestati e le ragioni per le quali, rispetto alla originaria contestazione del delitto di cui all'art.316 bis cod.pen., essi dovessero essere qualificati in termini di truffa sez.II, 12.7.2013 n. 44615, Paladini rv.257750; sez.VI, 1311.2013, Di Guglielmi e altri, Rv. 257278).
4. Quanto ai profili formali dell'assunzione della qualifica di datore di lavoro in materia di infortuni sul lavoro gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza, gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110801; sez.IV, 16.12.2015, Raccuglia, Rv.265947).
4.1 Nessun dubbio sussiste che nel caso in specie ricorrano le suddette condizioni laddove la delega era intervenuta nei confronti si soggetto esperto, che svolgeva nell'azienda capofila la veste di direttore tecnico del cantiere, già dotato di una delega prepositurale in data 17.3.2008 nella quale gli venivano attribuite competenze nella redazione del POS della ditta SACAIM previa valutazione dei rischi specifici relativi e, rilievo ancora più importante in questa vicenda, di predisporre variazioni del POS da sottoporre al coordinatore della sicurezza in relazione al PSC fornito dal committente e allo stesso veniva attribuito ampio potere di spesa nella individuazione e nella predisposizione delle relative misure di prevenzione e di sicurezza. La ulteriore veste di garanzia conferita al T.M. in ragione della procura institoria conferita dal datore di lavoro, rappresentante legale della ditta SACAIM può assumere semmai rilievo, ai fini dell'esonero di responsabilità di quest'ultimo ma non certamente per limitare l'ambito di responsabilità del delegato, i cui compiti e le cui responsabilità nel settore della prevenzione e della sicurezza derivavano dalla veste prepositurale già costituita e dalla sua funzione di massima garanzia nella direzione e nel coordinamento tecnico dei lavori per conto dell'impresa appaltatrice.
5. Assolutamente infondata pertanto è anche la parte del primo articolato che, pure partendo dall'assunto che il T.M. era comunque direttore del cantiere per conto dell'appaltatore e titolare di delega in materia di sicurezza, ne evidenziava il profilo tecnico recessivo rispetto agli altri professionisti coinvolti nella lavorazione e in particolare del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, rappresentandone il minore grado di conoscenze tecniche. Sul punto la difesa del ricorrente trascura la circostanza che diversi sono gli ambiti di garanzia e di operatività degli altri professionisti coinvolti, laddove la predisposizione di un POS che indicasse gli strumenti di prevenzione e di sicurezza rispetto ai rischi specifici connessi alla demolizione del fabbricato "Manica Corta" e la esecuzione di opere di sottofondazione (subappaltati alla ditta ZENI), rientrava nell'ambito delle attribuzioni della ditta SACAIM, quale capofila dell'ATI appaltatrice delle opere, e che in particolare il pericolo di crollo dei muri perimetrali della Manica Corta avevano già formato oggetto di valutazione dal parte del progettista, in sede di predisposizione del Piano di Sicurezza e di Coordinamento in sede di esecuzione, ing. L. il quale aveva espressamente valutato il rischio grave di crollo durante le demolizioni....l'accertamento delle condizioni statiche delle parti di edificio da conservare, di redigere il piano delle demolizioni...di procedere ai lavori di demolizione in maniera da non pregiudicare la staticità delle strutture portanti...ricorrendo al loro preventivo puntellamento...inoltre prevedeva l'organizzazione del lavoro in varie fasi indicando come primo intervento da eseguire proprio il puntellamento e la messa in sicurezza delle strutture dell'edificio e le opere provvisionali per eliminare il pericolo di cadute e crollo delle strutture".
6. Va inoltre considerato che la predisposizione di opere provvisionali di contenimento delle strutture pericolanti della vecchia struttura, interessata da interventi demolitori interni, aveva formato oggetto di specifica previsione tra la società committente affidatala dei lavori LAGARE e l'impresa appaltatrice delle opere edili di cui la impresa SACAIM era la ditta capofila, mediante la previsione dei costi di realizzazione di talché, a fronte delle conclusioni peritali, appare assolutamente ingiustificata la mancata adozione di tali accorgimenti da parte del soggetto che ne era tenuto primariamente quale massima espressione in cantiere della sicurezza per conto della ditta appaltatrice, soprattutto in quanto la decisione di non puntellare il fabbricato Manica Corta venne assunta in violazione del PSC e degli accordi di appalto a seguito di una riunione (del 21.4.2008) alla quale il T.M. aveva partecipato; nonché in aperta violazione delle sollecitazioni dell'ing.R. il quale aveva previsto interventi di puntellamento lungo l'intero perimetro, di talché la scelta di non operare i puntellamenti in sede di esecuzione delle demolizioni lungo il fabbricato Manica Corta, non può che considerarsi il prodotto di una scelta tecnica, assolutamente errata, pienamente condivisa dall'imputato (presente alla riunione tecnica), a cui tale opzione era riferibile per competenza in sede di esecuzione laddove coinvolgeva la responsabilità e l'impegno di spesa della società appaltatrice all'uopo garantita dal committente, per giunta contraria a tutti i documenti predisposti in sede di progettazione e in palese inosservanza del PSC.
6.1 La carenza di conoscenze tecniche e la fiducia riposta dal T.M. in altri professionisti, oltre a risultare argomenti assolutamente privi di qualsiasi consistenza giuridica, idonea a fondare un giudizio di ammissibilità in sede di legittimità, risultano altresì argomenti infondati perché riferiti a soggetto che per esperienza e conoscenza del cantiere costituiva la punta della direzione tecnica delle lavorazioni, gestore del rischio che scaturiva dalle lavorazioni, tenuto a conformare il POS all'andamento delle lavorazioni e alle indicazioni del PSC, laddove il coordinatore della sicurezza in sede di esecuzione nonché direttore tecnico per conto della ditta committente presidiava un diverso ambito di competenze che atteneva al coordinamento degli interventi e alla vigilanza sul rispetto del PSC con particolare riferimento alla valutazione e alla prevenzione del rischio interferenziale nell'ambito di cantiere in cui erano chiamate a intervenire, anche in momenti diversi, maestranze di differenti imprese, così da presidiare i rischi derivanti dalla sovrapposizione ovvero dalla interferenza delle lavorazioni, come nel caso in specie in cui alle attività di demolizione e di consolidamento del fabbricato si associavano interventi di palificazione e di armatura delle fondamenta, svolte da altro soggetto giuridico che operava anche in subappalto.
7. A prescindere pertanto dalla necessità di un coordinamento tra i vari interventi, rimaneva fondamentale e irrinunciabile la gestione riferibile al responsabile della ditta appaltatrice che, in sede di esecuzione era tenuto ad adottare e a fare adottare nelle lavorazioni di carpenteria delle sottofondazioni, preliminari al consolidamento delle strutture fuori terra e agli interventi di conversione dell'antico manufatto, i pure previsti interventi preventivi di puntellatura delle strutture verticali fuori terra.
8. Altresì infondato è il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce l'insussistenza di uno specifico nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento occorso. Ad avviso della difesa, infatti, da un lato le condotte omissive riferibili ad altri soggetti sono tali da interrompere il collegamento tra il T.M. e l'evento, dall'altro la violazione imputata al ricorrente, non essendo connotata da una contestazione puntale e precisa, si sostanzia in una astratta violazione di un obbligo di vigilanza tout-court tale da poter ritenere la responsabilità addebitata una sorta di responsabilità oggettiva. Prima di esaminare il profilo causale è bene sgomberare il campo da quest'ultimo rilievo: come infatti si è precisato la contestazione mossa all'imputato non può dirsi affatto generica in quanto non è contestata, così come sostiene la difesa, "la violazione di un generico obbligo di vigilare tout-court" ma il mancato adeguamento del POS, e quindi delle norme prevenzionistiche, alle attività di cantiere sopravvenute, così sostanziandosi, tra l'altro, non la violazione di una generica regola di condotta, bensì di quella specifica prescrizione di cui agli artt. 150 e 151 d.l. 81 del 2008, volta proprio ad evitare il rischio di infortuni nei casi in cui vi sia successione di lavori.
8.1 Sotto il profilo eziologico deve ricordarsi che causa penalmente rilevante è la condotta, omissiva o commissiva, che si pone quale conditio sine qua non nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l'evento da cui dipende l'esistenza del reato non si sarebbe verificato. Pertanto, per verificare la sussistenza del rapporto di causalità tra l'omissione e l'evento, è necessario far ricorso al c.d. giudizio controfattuale condotto alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261103; Sez. 4, n. 28571 del 01/06/2016, De Angelis, Rv. 266945).
8.2 A tale giudizio non si è sottratto il giudice distrettuale che, sulla scorta delle plurime e concordi perizie in atti, ha confermato che il cedimento del muro perimetrale ed il conseguente crollo dell'edificio sono stati causati da una serie di fattori, tra cui le diverse demolizioni, l'apertura di varchi, lo scasso delle fondazioni dovuto all'apertura di fori per il passaggio delle puntelle e della paratia "berlinese", che, avendo snellito i muri e la capacità portate delle fondazioni, avevano portato la struttura "ad un grado di labilità tale da poter crollare al minimo movimento o imponderabile accidente". Sulla scorta di tali dati, quindi, i giudici del merito hanno potuto accertare che, a fronte di una situazione di generale di patente instabilità e precarietà strutturale, i responsabili dei lavori nel cantiere avrebbero dovuto mettere in sicurezza i muri dell'edifico Manica Corta attraverso opere di stabilizzazione, opere che, appunto, mai sono state effettuate. A tale obbligo, quindi, il T.M. non ha fatto fronte pretermettendo del tutto l'indicazione delle modalità di svolgimento dell'attività di palificazione, necessaria al rafforzamento dei muri già indeboliti, né prevedendo alcun piano di demolizione nonostante la prescrizione nel PSC.
Tali attività, funzionali alla messa in sicurezza del cantiere, si pongono in diretto collegamento con l'exitus nefasto essendo stato accertato che il crollo fu dovuto proprio alla situazione di precarietà strutturale dell'edificio Manica corta. Né tanto meno può ritenersi, così come prospettato in ricorso, che le condotte omissive altrui possano aver interrotto il nesso di causalità tra la condotta dell'imputato ed il crollo. Sul punto, infatti, è ius receptum il principio per il quale quando l’obbligo di impedire l’evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell’obbligo di impedire l'evento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell’articolo 41, comma primo, cod.pen. (Sez. 4, n. 43078 del 28/04/2005, Poli, Rv. 232416; Sez. 4, n. 37992 del 11/07/2012, De Angelis, Rv. 254368). Ebbene nel caso in esame non può ritenersi che le valutazioni di idoneità e di adeguatezza condotte da altri soggetti possano aver interrotto il nesso causale, così come si sostiene in ricorso, in quanto sul datore di lavoro, in ogni caso, come correttamente rilevato anche dai giudici veneziani, sussiste il potere-dovere di valutare attentamente la progettazione di sicurezza e la sua adeguatezza in relazione all'evoluzione delle lavorazioni e delle modifiche intervenute medio-tempore alla situazione di fatto. Perdi più, nel caso in esame, il collegamento tra l'evento lesivo e la condotta omissiva del T.M. appare ancora più stringente alla luce della accertata contezza della situazione di pericolo e della consapevole inerzia a fronte della stessa.
9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 Marzo 2020


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