Cassazione Penale, Sez. 4, 05 ottobre 2021, n. 36153 - Infortunio con un macchinario sprovvisto di sistema di blocco automatico
Fatto
1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza resa in data 1 aprile 2019, ha parzialmente riformato la condanna emessa nei confronti di G.D. dal Tribunale ambrosiano il 22 maggio 2018, riconoscendo la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, rideterminando conseguentemente la pena, condannando l'imputato alla rifusione delle spese di difesa alla parte civile costituita N.M. e, nel resto, confermando la decisione di primo grado.
Tanto in relazione al delitto di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen., con violazione dell'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 in relazione all'art. 70 comma 2 e all'allegato V pt. 6.1 dello stesso decreto legislativo: delitto contestato al G.D. in riferimento a un infortunio sul lavoro occorso in Nerviano il 22 aprile 2014.
L'incidente si verificava ai danni della N.M., dipendente della B. 5.p.A., della quale il G.D. era direttore generale con delega in materia di sicurezza. La N.M. era addetta a un macchinario utilizzato per il confezionamento di merendine, acquistato molti anni addietro e dotato di un carter in plexiglas di protezione per evitare il contatto dei lavoratori con parti in movimento, nonché di un pulsante per il blocco del macchinario nel caso fosse necessario eseguire operazioni all'interno del macchinario stesso; durante le lavorazioni, la N.M. aveva rimosso il carter per effettuare un intervento sul macchinario - secondo la Corte di merito, per rimuovere una merendina rimasta incastrata-, allorquando la macchina trascinava la sua mano destra verso il basso, provocando le gravi lesioni descritte in atti (detroncazione della falange del 2° dito della mano, da cui derivava una malattia della durata di 109 giorni, nonché l'indebolimento permanente delle funzionalità di presa della mano).
Al G.D. é contestato di avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di sistema di blocco automatico atto a impedire ai lavoratori di entrare in contatto con parti in movimento del macchinario nella specie utilizzato dalla N.M., in violazione del combinato disposto degli artt. 71, comma 1 e 70, comma 2, del D.Lgs. 81/2008, nonché dell'Allegato V allo stesso decreto, prima parte, punto 6.1.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il G.D.. Il ricorso é articolato in quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione in riferimento alla carenza argomentativa della sentenza impugnata, relegata in poche righe in cui la Corte distrettuale si limita a condividere le ragioni esposte nella sentenza di primo grado, a fronte di un ampio e argomentato atto d'appello: ciò che non consente al ricorrente di comprendere le ragioni del convincimento di conferma della condanna da parte della Corte ambrosiana. Il deducente evidenzia come siffatta radicale carenza motivazionale collida con l'insegnamento della Corte di Strasburgo nell'applicare l'art. 6 § 1 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, nonché con il dettato dell'art. 111 Cost., in tema di obbligo di motivazione.
2.2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, l'esponente si sofferma sulla nozione di abnormità del comportamento del lavoratore idoneo a scriminare il datore di lavoro, evidenziando che tale nozione é configurabile allorquando vi sia l'obbligo del rispetto di regole di cautela impartite dal datore di lavoro e tali regole, consapevolmente, non vengano rispettate dal lavoratore; in tal senso il deducente, dopo avere evidenziato che il G.D. aveva dotato l'apparecchio di un carter chiuso con delle viti, e che aveva fissato la regola che la macchina doveva obbligatoriamente essere fermata con l'apposito pulsante in caso di interventi necessari al suo interno, richiama plurimi arresti giurisprudenziali alla luce dei quali egli denuncia l'abnormità del comportamento della N.M., persona esperta e debitamente formata, nonché certamente consapevole della predetta regola di cautela (che in precedenza aveva sempre rispettato, anche quello stesso giorno): il comportamento della persona offesa, diversamente da quanto affermato dalla Corte di merito, non era certamente finalizzato all'interesse della produzione (che non si sarebbe comunque fermata, anche in caso di fermo del macchinario, come descritto nel ricorso) e non era consistito nel tentativo di rimozione di una merendina, ma nell'esecuzione di un'operazione di pulitura del carter, che però non era affatto necessaria, tant'é che era previsto fosse eseguita solo a fine turno o fra un cambio di produzione e l'alt ro .
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio di colpa e alla causalità della colpa. Premettendo che la manutenzione della macchina era in linea con quanto previsto dalla normativa di sicurezza vigente al momento della messa in esercizio (D.P.R. 547/1955), il deducente evidenzia che sul macchinario in questione era stato apposto un carter in plexiglas fissato con viti, quale barriera di protezione, a seguito di un'analisi del rischio non contestata; aveva dotato l'impianto di un sistema di pulsanti per il bloccaggio del macchinario; aveva imposto ai lavoratori di operare all'interno del macchinario solo a linea ferma. Dunque, nessun profilo di colpa é contestabile anche in astratto al G.D., oltretutto per un evento mai verificatosi in precedenza; sul piano della causalità della colpa, l'evento, pertanto, era da considerarsi non prevedibile e non evitabile e tale da sollevare il G.D. da responsabilità, avendo egli predisposto misure di sicurezza idonee a evitare il concretizzarsi del rischio introdotto con il comportamento della dipendente, peraltro espressamente vietato: l'elusione, da parte della N.M., delle cautele predisposte dal G.D. e la violazione delle regole a lei impartite a fini di prevenzione del rischio non costituiva fattore rientrante nella prevedibilità da parte del datore di lavoro.
2.4. Con il quarto motivo, volto a denunciare violazione di legge e conseguente nullità della sentenza impugnata, il deducente evidenzia che alcun rimprovero poteva muoversi al G.D. in ordine al macchinario, atteso che vi é un errore di diritto nel ritenere operante, nel caso di specie, l'obbligo giuridico - peraltro non assoluto - di mettere a disposizione dei lavoratori apparecchiature dotate di un sistema di blocco automatico: tale disposizione, introdotta dall'allegato V al D.Lgs. 81/2008, non vale per le apparecchiature entrate in servizio prima del 1996 (anno in cui venne introdotta la c.d. "direttiva macchine", recepita in via transitoria dall'art. 11, commi 1 e 3, del D.P.R. 459/1996, tuttora in vigore.
3. All'odierna udienza é comparso altresì il difensore della parte civile, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato e ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
Diritto
1. Il ricorso é infondato.
1.1. Quanto alla censura di cui al primo motivo, riferita alle dedotte carenze motivazionali della sentenza impugnata, risulta in realtà che quest'ultima si é, sia pure sinteticamente, confrontata con i motivi d'appello, chiarendo i termini della questione e per il resto richiamando e condividendo i motivi posti a base della sentenza di primo grado, ben più diffusamente argomentata. In proposito é sufficiente ricordare che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (giurisprudenza pacifica: vds. da ultimo Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). Applicando tale principio al caso di specie, stante il fatto che la parziale riforma della sentenza di primo grado inerisce al solo trattamento sanzionatorio, é di tutta evidenza che le ragioni del convincimento di responsabilità del G.D., ampiamente descritte nella decisione del Tribunale, sono state accreditate - e peraltro, sia pur succintamente, riproposte - nella sentenza d'appello.
1.2. Quanto alla nozione di "abnormità" del comportamento della persona offesa illustrata nel secondo motivo di doglianza, che il ricorrente ritiene configurabile nella specie e tale da escludere la responsabilità datoriale, si ritiene che la Corte ambrosiana abbia correttamente escluso che il comportamento della N.M. potesse considerarsi abnorme e idoneo a interrompere il nesso causale fra la condotta contestata al G.D. e l'evento lesivo.
Invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza od imperizia, sicché la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.
In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che é interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento é "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; in tempi recenti vds. tra le altre Sez. 4, Sentenza n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603).
Nella specie, quale che fosse il tipo di operazione in corso di svolgimento (si trattasse della rimozione di una merendina dal macchinario o - come sostenuto dal ricorrente - della pulitura del carter da residui di cioccolato) é di tutta evidenza che la condotta della N.M. si inseriva comunque pienamente, e in modo tutt'altro che imprevedibile o eccentrico, nell'area di rischio affidata alla gestione del G.D., nella sua qualità datoriale: da un lato perché questi, sul piano generale, era affidatario in base all'art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 della posizione di garanzia connessa alla messa a disposizione dei dipendenti di strumenti e macchinari corredati dei necessari dispositivi di sicurezza; dall'altro perché, come si é accennato poc'anzi, proprio il rischio di un utilizzo inidoneo del macchinario aveva formato oggetto di espressa previsione e di apposita informazione ai dipendenti, ancorché mediante l'individuazione di una procedura di sicurezza inidonea (l'applicazione del carter, la presenza di pulsanti di fermo, le prescrizioni sulle modalità operative ecc.), per le ragioni già viste.
1.3. Quanto alle censure sui profili di colpa e sulla causalità della colpa, di cui al terzo motivo di lagnanza, si osserva che, alla luce delle previsioni normative di cui si dirà amplius in ordine al quarto motivo di ricorso, l'inidoneità delle prescrizioni e dei dispositivi applicati a cura del G.D. all'utilizzo in sicurezza della macchina era a sua volta prevedibile ed evitabile, non concretizzandosi nell'adozione di dispositivi interni al macchinario che ne condizionassero in modo automatico il funzionamento rendendolo più sicuro e meno rischioso, ma implicando un facere da parte dell'operatore, che omettendolo avrebbe poi potuto trovarsi ugualmente esposto al rischio, come in effetti avvenne. Va in proposito osservato che la lettura della sentenza di primo grado, richiamata e condivisa da quella impugnata, rende ben chiare le circostanze in cui si era verificato l'infortunio e che rendevano obiettivamente prevedibile quanto poi accadde: la persona offesa, nella sua deposizione (giudicata credibile dal Tribunale), aveva riferito che «era prassi cercare di fare ripartire velocemente le macchine, per evitare che si creassero troppi prodotti di scarto, che inevitabilmente si accumulavano una volta che veniva bloccata la produzione» e che «la pulitura a macchina funzionante era una pratica che si faceva d'abitudine. Il carter (quantomeno quello sul macchinario dove stava lavorando) era apribile senza meccanismi di sicurezza e quando era sporco di cioccolato non consentiva la visione della macchina e dove avveniva l'inceppamento» (pag. 2 sentenza Trib. Milano n. 6429/2018 in data 22 maggio 2018); le caratteristiche del macchinario descritte dalla N.M. erano state poi confermate dal tecnico della prevenzione ASL Lionzo (la quale aveva anche confermato, per esserne stata diretta testimone, la prassi di effettuare la pulizia delle macchine senza interromperne il funzionamento: pag. 6 sentenza Tribunale) e dai testi V., S. e G..
1.4. Quanto all'errore di diritto denunciato nel quarto motivo di ricorso, a proposito della disposizione cautelare violata in relazione a macchinario acquistato prima dell'entrata in vigore della "Direttiva macchine" del 1996, si premette che l'art. 71 D.Lgs. 81/2008 fa obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Sez. 4, sent. N. 4549 del 29/01/2013). In dettaglio, poi, l'allegato V, parte prima, punto 6.1 (richiamato nell'imputazione) così recita: "Se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione (...)"; mentre il successivo punto 6.3 dispone che "Gli apparecchi di protezione amovibili degli organi lavoratori, delle zone di operazione e degli altri organi pericolosi delle attrezzature di lavoro, quando sia tecnicamente possibile e si tratti di eliminare un rischio grave e specifico, devono essere provvisti di un dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e di movimento della attrezzatura di lavoro tale che: a) impedisca di rimuovere o di aprire il riparo quando l'attrezzatura di lavoro é in moto o provochi l'arresto dell'attrezzatura di lavoro all'atto della rimozione o dell'apertura del riparo; b) non consenta l'avviamento dell'attrezzatura di lavoro se il riparo non é nella posizione di chiusura".
Ciò premesso, va sottolineato che il fatto che il macchinario fosse stato acquistato in epoca antecedente l'entrata in vigore della "Direttiva macchine" non assume rilevanza.
E' noto, in primo luogo, che la disposizione di cui all'allegato V, prima parte, n. 6.3, al D.Lgs. 81/2008 richiama testualmente quella enunciata dall'art. 72 del D.P.R. 547/1955; tale disposizione costituisce applicazione del principio generale di cui all'art. 68 dello stesso decreto, il quale stabilisce che gli organi lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, quando possono costituire un pericolo per i lavoratori, devono, per quanto possibile, essere protetti o segregati oppure provvisti di dispositivo di sicurezza; ed é noto che la disposizione di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 68, che fissa le misure protettive per le macchine con riguardo alle zone di operazione in cui si compiono le normali attività durante le quali gli operai possono venire accidentalmente a contatto con gli organi lavoratori delle macchine, non é stata superata dalla previsione di cui al D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (regolamento per l'attuazione delle direttive comunitarie concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativamente alle macchine operatrici), atteso che il citato art. 68 detta un principio di carattere generale che trova applicazione in tutti i casi nei quali vengono usate macchine pericolose (Sez. 3, n. 5167 del 18/12/2002 - dep. 2003, Sassi L, Rv. 223377; in termini analoghi vds. Sez. 4, n. 26963 del 20/06/2013, Pedron, n.m.; e n. 16247 del 14/04/2014, Ongaro e altro, n.m.).
Nella specie, é stato correttamente affermato dai giudici di merito che il rischio non era stato adeguatamente fronteggiato, atteso che non veniva scongiurato il pericolo che il lavoratore, nell'operare all'interno del macchinario per eseguirne la pulitura, potesse avvicinarsi agli ingranaggi in movimento, essendone eventualmente trascinato in caso di incaglio. L'unico modo per evitare detto rischio era quello di approntare un dispositivo di protezione da applicarsi allo stesso macchinario, in modo da impedire sul nascere l'avvicinamento alle parti in movimento, e non affidare solo a uno specifico obbligo di attivarsi del lavoratore e alla protezione di uno schermo agevolmente rimovibile o sollevabile il funzionamento in sicurezza. Emerge oltretutto in atti che il G.D., in seguito all'accaduto, provvide a dotare l'apparecchiatura di un dispositivo conforme alla normativa, accorgimento che però fu introdotto però solo dopo l'incidente, a riprova del fatto che era possibile attivarsi per consentire una volta per tutte l'impiego in sicurezza del macchinario. Alla luce di quanto precede, deve ragionevolmente escludersi che, se esso fosse stato già applicato sul macchinario in uso alla N.M., l'incidente si sarebbe ugualmente verificato.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile N.M. in questo giudizio di legittimità che liquida in euro tremila, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 22 settembre 2021.