Cassazione Penale, Sez. 4, 02 dicembre 2019, n. 48771 - Parapetto inadeguato e caduta mortale dall'alto
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Potenza confermava la condanna del Tribunale di Potenza pronunciata il 7.05.2015 nei confronti di A.C., imputato del reato di cui all'art. 589 cod.pen., secondo la seguente contestazione: perché nella sua qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della omonima ditta aveva cagionato la morte, con colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, del dipendente T.S., operaio muratore; con colpa specifica consistita, in particolare, nella violazione di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 16 e 7 e all' art. 26 DPR n.547/55, per non aver realizzato un idoneo parapetto e opere provvisionali costruite con buon materiale e a regola d'arte, proporzionate e idonee allo scopo, conservate in stato di efficienza per tutta la durata dei lavori, atte ad impedire la caduta dall'alto, durante i lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato urbano sito in Sant'Angelo le Fratte; di tal che, in conseguenza di tale omissione, il T.S., che stava lavorando alla messa in opera del materiale di copertura del balcone, accovacciato con le spalle rivolte al parapetto, costituito da una protezione provvisoria composta da assi di legno e tubolari tenuti insieme dal fil di ferro, nel momento in cui si appoggiava, per reggersi o rimettersi in piedi, al corrente intermedio, costituito da una tavola di cm 9 di larghezza e dello spessore di 2,5 cm, ancorata a due piantoni distanti 1.34 cm, con il solo fil di ferro in maniera sfalzata, la tavola cedeva spezzandosi, così determinando la caduta nel vuoto dell'operaio, che, da un'altezza di 4,5 mt, sbatteva violentemente la testa e si procurava le lesioni descritte nel capo di imputazione, a seguito delle quali decedeva. In Sant'Angelo Le fratte il 21.11.07.
2. Il Tribunale aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile nonché al versamento della provvisionale pari ad Euro 60.000,00 provvisoriamente esecutiva. A seguito di rituale impugnazione dell'imputato, la Corte d'Appello di Potenza confermava l'affermazione di colpevolezza pronunciata dal primo giudice, disattendendo la tesi difensiva secondo cui l'imputato sarebbe caduto a seguito di un malore, per una miscela di farmaci e alcool, e ribadendo l'assoluta inidoneità della protezione realizzata sul balcone, costituita da un'asse di legno assicurata con fil di ferro a dei montanti in ferro che, sottoposta alla pressione del corpo umano, ha ceduto, facendo precipitare la vittima dall'altezza di oltre 2 metri. La Corte stessa confermava altresì il trattamento sanzionatone riservato dal primo giudice e le statuizioni civili.
2.1 In punto di responsabilità, la Corte distrettuale osservava che: il garante della sicurezza sul luogo di lavoro, nel caso di specie, era soltanto l'A.C., posto che l'infortunio era avvenuto all'interno dell'area di rischio nella quale si collocava il primario obbligo del datore di lavoro (cioè l'imputato) di assicurare le più appropriate condizioni di sicurezza al lavoratore, anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati o disattenti del lavoratore stesso; le circostanze addotte a supporto dell'argomentare difensivo, o non erano state provate o dovevano considerarsi erronee; non era stato provato l'asserito "malore" del dipendente ( anzi il teste L., indicato dalla difesa, era stato ritenuto falso o reticente dal primo giudice che aveva trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica); risultava che già in data 19.10.2007, poco più di un mese prima, gli ispettori del lavoro avevano constatato, ai sensi dell'art. 77 lett. c DPR 164/56, la mancanza di idonee protezioni contro il pericolo di cadute dall'alto e lo avevano diffidato a non far proseguire i lavori prima di aver eliminato la violazione accertata e contestata; la documentazione fotografica aveva evidenziato l'assoluta inadeguatezza della protezione costituita da un'asse di legno assicurata con un fil di ferro; quanto all'entità della pena, precisava la Corte territoriale che nulla poteva essere mutato rispetto all'equo e congruo trattamento operato dal Primo Giudice, avuto riguardo all'accentuata gravità del fatto, non solo per le sue modalità, ma anche per i precedenti penali dell'imputato.
3. Ricorre per cassazione l'A.C., tramite il difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione relativamente all’affermazione della colpevolezza ed al trattamento sanzionatorio, con censure che possono così riassumersi:
I) Lamenta che l'oggetto della contravvenzione da parte dell'Ispettorato del lavoro riguardava l'assenza di parapetto non la sua inadeguatezza; si trattava di un parapetto artigianale rispondente ai requisiti di cui all'art. 26 DPR n.547/55; l'infortunio era stato causato dalla rottura della tavola centrale non dall'ancoraggio artigianale con filo di ferro, perfettamente a norma UNI EN 13374/2004; la Corte territoriale ha liquidato in modo frettoloso la ricostruzione fornita dal teste L. ritenuto falso o reticente e non ha motivato sulla condotta imprudente del lavoratore.
II) Deduce che, alla luce delle dichiarazioni del teste L., il T.S. precipitò non perché si rialzò dalla posizione in cui si trovava e perse l'appoggio che doveva garantirgli il parapetto ma perché, lavorando nella parte interna al bancone, a causa di un malore determinato dalle sue condizioni psico-fisiche, rovinò all'indietro, andando ad incunearsi tra il corrente superiore costituito da un tubo di acciaio e la tavola fermapiede lungo il pavimento sfondando il corrente intermedio. Il T.S. aveva assunto notevole alcol durante la giornata oltre ad un antidolorifico, così che ebbe un malore e precipitò di spalle, al di sotto del corrente superiore, avendo perso i sensi .
III) La Corte di merito ha errato nel non riconoscere il giudizio di prevalenza tra la contestata aggravante e le riconosciute attenuanti, stante l'incensuratezza e il buon comportamento processuale.
Diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile per le ragioni di seguito indicate. Mette conto innanzi tutto evidenziare che l'A.C. ha sostanzialmente riproposto, nel primo e secondo motivo, le tesi difensive già sostenute in sede di merito e disattese dal Tribunale prima e dalla Corte d'appello poi. Al riguardo giova ricordare che nella giurisprudenza di questa Corte è stato enunciato, e più volte ribadito, il condivisibile principio di diritto secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591, comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (in termini, Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000 Ud. - dep. 03/05/2000 - Rv. 216473; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708). E va altresì evidenziato che il primo giudice aveva già compiutamente affrontato e risolto le questioni sollevate dalla difesa, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti ai fini dell'esame della posizione del ricorrente; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda istanza, a fondamento del convincimento espresso, legittimamente hanno richiamato anche la motivazione addotta dal Tribunale, senza peraltro mancare di ricordare i passaggi più significativi dell'iter argomentativo seguito dal primo giudice e di fornire autonome valutazioni a fronte delle deduzioni dell'appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione ("ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497).
1.1. Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo. La Corte distrettuale, infatti, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio, posizione di garanzia dell'A.C., nesso di causalità tra la condotta contestata e l'evento, comportamento della parte lesa) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell'odierno ricorrente; ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa e volte ad accreditare un' alternativa generica ricostruzione dei fatti, mediante prospettazioni che risultano formulate in difetto di correlazione con i contenuti della decisione impugnata e si risolvono in mere critiche discorsive a quest'ultima.
1.2.Va ribadito che il compito del datore di lavoro è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori - e dalla conseguente necessità di adottare certe misure di sicurezza - alla predisposizione di queste misure (con obbligo, quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, di mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore), e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro.
Sul punto ebbero modo di intervenire anche le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un, n. 6168 dei 21/05/1988 Ud. - dep. 21/04/1989 - Rv. 181121) enunciando il principio secondo cui al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati ex art. 4 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza.
Ed ancora, va altresì sottolineato - e trattasi di considerazione decisiva e tranciante - che è stato ovviamente l'A.C., quale datore di lavoro, a mettere a disposizione del lavoratore quel parapetto del tutto inadeguato: a tale ultimo riguardo, si evidenzia che i giudici di merito, sulla scorta delle acquisizioni probatorie (fotografie ed accertamenti dei verbalizzanti "in loco"), hanno precisato che il balcone era privo di ringhiere e che l'unica protezione era costituita da assi tubolari e parti di legno tenute insieme da fil di ferro, senza l'uso nemmeno di altri presidi di sicurezza, come ad esempio cinture ( fol 3/7/ 8 sentenza di primo grado); la mancanza di una idonea protezione contro il pericolo di cadute dall'alto, che era già era stata oggetto di specifica contravvenzione un mese prima dell'infortunio, da parte dell'Ispettorato del Lavoro, ha reso possibile il verificarsi dell'incidente e ciò è sufficiente ad integrare il nesso di causalità. E' assolutamente pacifica la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la eventuale imprudenza del lavoratore non elide il nesso di causalità allorché l'incidente si verifichi a causa del lavoro svolto e per l'inadeguatezza delle misure di prevenzione; la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore, peraltro solo ipotizzata e non provata, ( il verbale delle dichiarazioni del teste L. in relazione alla sua incoerenza, genericità e contrasto con quanto dichiarato nell'immediatezza dei fatti è stato trasmesso alla Procura della Repubblica, cfr. sul punto le argomentate motivazioni del giudice di primo grado da fol 3 a fol 7), non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo. Tanto meno la causa esimente è invocabile, se la si pone, come nel caso di specie, alla base del proprio errore di valutazione, assumendo che il sinistro si è verificato non perché si sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma sol perché vi sarebbe stata, da parte del lavoratore infortunatosi, una condotta anomala ed inopinata: chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui. È da osservare, peraltro, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa. È pur vero che destinatari delle norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai; tuttavia, l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza.
1.3.In conclusione, nella concreta fattispecie, rilievo assoluto e tranciarne, ai fini della sussistenza della penale responsabilità dell'A.C., assume la circostanza che fu proprio quest'ultimo, quale datore di lavoro, a mettere a disposizione del lavoratore quel parapetto assolutamente inadeguato, sotto il profilo delle misure di protezione, per l'attività lavorativa da svolgere, ignorando non solo le prescrizioni degli Ispettori del Lavoro che, già in data 19.10.2007, avevano rilevato nel cantiere una grave carenza di dispositivi di sicurezza, ma anche quelle incluse nel pos ( fol. 3 sentenza impugnata), relative ad andatoie e passerelle, predisponendo sul balcone, ove la vittima stava realizzando la pavimentazione, una protezione, definita dalla Corte territoriale, "risibile", costituita da un'asse di legno assicurata con del fil di ferro a dei montanti in ferro che, sottoposta alla mera pressione del corpo umano, ha ceduto, come risulta documentato dai rilievi fotografici, con esito letale per il lavoratore che precipitava da un'altezza superiore a 2 metri.
2. Parimenti prive di fondamento sono le ulteriori doglianze concernenti il trattamento sanzionatorio. Le ragioni addotte dalla Corte territoriale a sostegno del diniego delle attenuanti generiche, sopra ricordate, appaiono adeguate e congrue, e si pongono del tutto in sintonia con i principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "ai fini
dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi
prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e
delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (in tal senso, tra le tante, Sez. 1, N. 3772/94, RV. 196880). La Corte territoriale sul punto ha infatti congruamente motivato il diniego del giudizio di prevalenza in relazione alle modalità esecutive dell'addebito, ai precedenti penali specifici ( che riguardano anche violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e reiterate evasioni di contributi sociali commessi tra il 2006 e il 2008), non ravvisando alcun profilo di meritorietà processuale, peraltro solo genericamente addotto dall'imputato ( fol. 4 sentenza impugnata). Pertanto, la pretesa illogicità ricondotta alla mancata decisione di prevalenza delle attenuanti generiche appare priva di qualsiasi consistenza.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio alle costituite parti civili,liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio alle costituite parti civili liquidate in euro quattromila oltre accessori di legge.
Così deciso il 12.11.2019