Cassazione Penale, Sez. 3, 21 gennaio 2020, n. 2209 - "La presenza di persone presso la sede dell'impresa non basta a qualificarli lavoratori dipendenti". Impugnazione inammissibile del legale rappresentante

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

Fatto Diritto



1. Con sentenza dell'11 aprile 2018, il Tribunale di Nola, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato l'odierno ricorrente, per contravvenzioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro riunite nel vincolo della continuazione, alla pena di 1.200 Euro di ammenda.
2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto appello A.N., deducendo espressamente motivi "in fatto" e "in diritto".
In fatto, l'impugnante lamenta l'assenza di prova, oltre il ragionevole dubbio, che la società di cui egli era legale rappresentante e presso la cui sede legale ed operativa fu effettuato il sopralluogo di polizia giudiziaria che originò la denuncia - la Gruppo A.N. s.r.l., dedita alla vendita all'ingrosso di generi alimentari - avesse dei dipendenti. Ci si duole, in particolare, del fatto che gli operanti si siano limitati a constatare la presenza di sei uomini, non identificati, senza dar conto degli elementi in base ai quali gli stessi erano stati ritenuti dipendenti, impegnati a svolgere attività lavorativa.
In diritto, si lamenta che la sola presenza di persone presso la sede dell'impresa non basta a qualificarli come lavoratori dipendenti e non è dunque sufficiente ad imputare all'impresa un ipotetico rapporto di lavoro, condizione necessaria per l'integrazione dei reati contestati.
3. L'impugnazione è inammissibile perché, trattandosi di sentenza che ha applicato la sola pena dell'ammenda, la stessa non è appellabile giusta la previsione di cui all'art. 593, comma 3, cod. proc. pen.
E' ben vero che, a norma dell'alt. 568, comma 5, cod. proc. pen., verificata l'oggettiva impugnabilità del provvedimento in sede di legittimità e l'esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, la Corte territoriale impropriamente adita ha correttamente trasmesso gli atti a questa Corte (cfr. Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221; Sez. 6, n. 38253 del 05/06/2018, Borile e a., Rv. 273738; Sez. 5, n. 7403/2014 del 26/09/2013, Bergantini, Rv. 259532).
A ben vedere, tuttavia, l'esame dell'impugnazione e dei motivi dedotti quali più sopra riportati non consente di ritenere che l'appello possa essere convertito in ricorso per cassazione e, in ogni caso, che la stessa sia come tale ammissibile.
3.1. Ed invero, in tema di conversione dell'impugnazione, l'appello erroneamente proposto avverso sentenza non impugnabile in sede di merito non si converte automaticamente in ricorso per cassazione, stante la necessità di avere riguardo - al di là dell'apparente "nomen juris" - alle reali intenzioni dell'impugnante ed all'effettivo contenuto dell'atto di gravame, con la conseguenza che, ove dall'esame di tale atto si tragga la conclusione che l'impugnante abbia effettivamente voluto il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge, l'appello deve essere dichiarato inammissibile (Sez. 5, n. 55830 del 08/10/2018, Eliseo, Rv. 274624; Sez. 2, n. 41510 del 26/06/2018, Colorisi, Rv. 274246; Sez. 3, n. 21640 del 18/12/2017, dep. 2018, Lomagistro e aa., Rv. 273149). In particolare - reputa il Collegio - in casi come quello in esame deve ritenersi che l'impugnante abbia effettivamente voluto proporre l'appello quando le censure si limitino a contestazioni sul merito della decisione e non siano in alcun modo riconducibili ai motivi, previsti dall'art. 606, comma 1, cod. proc. pen., deducibili invece con il ricorso per cassazione.
3.2. Nel caso di specie ricorre la descritta situazione e - in ogni caso - le doglianze non sono proponibili e sono dunque inammissibili anche volendo esaminare l'impugnazione come ricorso per cassazione.
Ed invero, per un verso, le contestazioni mosse in fatto - che neppure accennano ad un vizio di motivazione riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen. - non sono deducibili avanti a questa Corte; per altro verso, la apparente censura "in diritto" non lamenta la violazione di alcuna disposizione di carattere sostanziale o processuale e si limita ad allegare la "non condivisibilità della motivazione" senza tuttavia specificamente dedurne la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità. La stessa doglianza in fatto rappresentata nel gravame - vale a dire che non si comprenderebbe per quale ragione siano stati indicati nel verbale di polizia giudiziaria come presenti sul luogo di lavoro "numero sei dipendenti, di cui cinque di nazionalità italiana e uno di nazionalità marocchina" - è all'evidenza aspecifica e inconsistente, tanto più che l'imputato ha chiesto ed ottenuto di essere giudicato allo stato degli atti con rito abbreviato.
4. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.




P.Q.M. 




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21 novembre 2019.


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