Cassazione Penale, Sez. 3, 15 ottobre 2020, n. 28665 - Numerose violazioni e nessuna tenuità dei fatti

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

Con sentenza del 23 dicembre 2019, il Tribunale di Avellino ha condannato l'imputato alla pena dell'ammenda, per i seguenti reati: a) artt.229, comma 1, e 262, comma 2, lett.b del d.lgs. 81/08 perchè, in qualità di amministratore di una società, non sottoponeva a visita medica preventiva alcuni lavoratori prima di adibirli a mansione che comportava l'esposizione ad agenti chimici pericolosi; b) artt. 77, comma 1 e 55, comma 5 lett. d) del d.lgs. 81/08 perchè, nella stessa qualità, non metteva a disposizione dei lavoratori predetti i dispositivi di protezione individuali; c) artt. 29, comma 1, e 55, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella stessa qualità, non elaborava ed effettuava il documento di valutazione dei rischi; d) artt. 71, comma 1, e 47, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella stessa qualità, non provvedeva ad ottenere la certificazione dell'impianto elettrico atta a garantire i lavoratori dai relativi rischi; e) artt. 43, comma 1, lettera b), e 55, comma 5, lettera a), del d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella stessa qualità, non provvedeva a designare i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio, evacuazione, primo soccorso e gestione dell'emergenza; f) artt. 36, commi 1 e 2, e 55, comma 5, lettera e), del d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella stessa qualità, non forniva ai predetti lavoratori un'adeguata informazione sui rischi, sulle procedure e sui nominativi dei lavoratori incaricati e responsabili; g) artt. 37, comma 1, lettere a) e b), 55, comma 5, lettera e), del d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella stessa qualità, non forniva ai predetti lavoratori sufficiente ed adeguata informazione in materia di salute e sicurezza, nonché nelle altre materie indicate dalla disposizione; h) artt. 63, comma 1, e 68, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella stessa qualità, conduceva attività lavorativa in locali che presentavano il pavimento privo di sistema antisdrucciolo, non fisso o non esente da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi (fatti accertati in data 25 giugno 2014).

2. Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell'art. 420-ter cod. proc. pen., per omessa motivazione circa la celebrazione dell'udienza del 23 dicembre 2019, nonostante l'impedimento del difensore di fiducia e la presentazione della relativa istanza, motivata su ragioni di salute. Si lamenta che in tale udienza il Tribunale abbia comunque celebrato il processo, addirittura revocando i testi della difesa già ammessi.
2.2. In secondo luogo, si lamenta la violazione degli artt. 102 cod. proc. pen., nonché 14 e 65 della legge n. 247 del 2012, sul rilievo che, anche se vi fosse stato un sostituto del difensore oralmente delegato alla trattazione del processo, tale delega orale avrebbe dovuto essere ritenuta nulla. Secondo quanto scritto nel ricorso, il richiamato art. 14, comma 2, della legge n. 247 del 2012 va interpretato nel senso che la sostituzione processuale può avvenire «oralmente solo in ambito extra processuale, laddove rilevano esclusivamente i rapporti fra parti private, dovendosi invece, nell'ambito del processo, farsi applicazione degli artt. 34 disposizioni di attuazione c.p.p. e 96 comma 2 c.p.p.». In altri termini la designazione del sostituto processuale dovrebbe avvenire nelle stesse forme della designazione del difensore, che non può essere effettuata oralmente.
2.3. In terzo luogo, si lamentano la violazione degli artt. 187 e 495 cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione in relazione alla revoca dei testimoni dell'accusa e della difesa all'udienza del 23 dicembre 2019. La difesa afferma di non avere mai rinunciato all'audizione di tali testimoni e sostiene che la revoca in questione sarebbe del tutto immotivata. Sul piano sostanziale, afferma che l'escussione in dibattimento dei lavoratori indicati come testi sarebbe da considerarsi prova decisiva, nella misura in cui «era solo dalla loro dichiarazione che in fase investigativa si era giunti a qualificare i fatti».
2.4. Con un quarto motivo di doglianza, si eccepisce la violazione dell'art. 649 cod. proc. pen., sul rilievo che l'imputato avrebbe già subito un giudizio per i medesimi fatti di fronte al medesimo Tribunale. Pur in presenza di rituale eccezione sul punto, la relativa questione sarebbe stata trattata con ordinanza del 25 marzo 2019, nella quale si sarebbe fatto riferimento alla mera diversa qualificazione giuridica degli stessi fatti storici, che non sarebbe però impeditiva dell'applicazione del ne bis in idem; principio che riguarda, invece, l'identità sostanziale tra i fatti oggetto di due processi.
2.5. Si eccepiscono, inoltre, la violazione degli artt. 187, 191 e 495 cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione, sul rilievo che la condanna sarebbe basata sulle dichiarazioni riportate nel verbale di sequestro del 25 giugno 2014; verbale che il giudice ritiene acquisito agli atti sulla base di un asserito consenso prestato dalla difesa all'udienza del 12 marzo 2018. Si sostiene che nella successiva udienza del 12 novembre 2018 la difesa avrebbe affermato «che non prestava il consenso ed espressamente lo negava». La condanna, essendo basata su dichiarazioni di soggetti escussi a sommarie informazioni testimoniali e sull'immotivata revoca della lista testimoniale della difesa, sarebbe perciò illegittima.
2.6. Una sesta censura è riferita alla carenza di motivazione in relazione all'individuazione dell'imputato quale legale rappresentante della società, unica posizione giuridica che ne consentirebbe la condanna penale. Vi sarebbe una radicale assenza di acquisizioni documentali a sostegno della carica rivestita dall'imputato, soggetto la cui responsabilità sarebbe stata ritenuta sussistente solo sulla scorta della sua occasionale presenza sui luoghi.
2.7. Si sostiene, poi, che i reati, commessi il 25 giugno 2014, si sarebbero estinti per prescrizione già in data 25 ottobre 2019, ovvero cinque anni e quattro mesi dopo i fatti, considerando quattro mesi di sospensione per impedimenti difensivi.
2.8. Con un ultimo motivo di doglianza, si lamenta la mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., trattandosi di fatti poco allarmanti e commessi in modo estemporaneo da un soggetto giovane e incensurato. Si lamenta, altresì, l'eccessività del trattamento sanzionatorio, in mancanza di motivazione sulle ragioni per le quali il giudice si sarebbe discostato dei minimi edittali.
2.9. La difesa ha successivamente depositato memoria, con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso.



Diritto




1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La prima doglianza, riferita ad un preteso impedimento del difensore a presenziare all'udienza del 23 dicembre 2019 che non sarebbe stato preso in considerazione dal Tribunale, è manifestamente infondata. Infatti, la stessa difesa sostanzialmente ammette ciò che risulta dalla semplice lettura degli atti; e cioè che per tale udienza il difensore aveva rinunciato a far valere l'impedimento asseritamente esistente, attraverso la designazione orale di un sostituto, il quale aveva regolarmente partecipato.
1.2. Manifestamente infondata è anche la seconda doglianza del ricorrente, con la quale, sostanzialmente sconfessando la prospettazione in fatto su cui si basa la prima doglianza, si sostiene che vi sarebbe una delega orale effettivamente conferita dal difensore a un suo sostituto per l'udienza del 23 dicembre 2019 e che tale delega sarebbe nulla.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti affermato con chiarezza che la designazione del sostituto da parte del difensore può essere effettuata con delega "orale" ai sensi dell'art. 96, comma 2, cod. proc. pen., come interpretato alla luce della tacita abrogazione dell'art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito
dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, per effetto della legge 31 dicembre 2012, n. 247 di riforma dell'ordinamento della professione forense (Sez. 2, n. 57832 del 15/11/2018, Rv. 275067; Sez. 1, n. 48862 del 02/10/2018, Rv. 274086). Né può prendersi in considerazione in senso contrario la sentenza Sez. 5, n. 26606 del 26/04/2018, Rv. 273304, richiamata della difesa, perché tale pronuncia - oltre ad essere superata dalla successiva giurisprudenza sopra citata - aveva escluso l'ammissibilità della delega orale in relazione al difensore della persona offesa, il quale intendeva farla valere, ma non si era riferita all'ipotesi, come quella di specie, in cui lo stesso difensore che ha conferito la delega in forma orale, evidentemente ritenendo di porre in essere un atto valido, eccepisca poi la nullità della delega da lui stesso conferita, allo scopo di inficiare la validità del processo.
1.3. Il terzo motivo, con cui si censura l'immotivata revoca dell'ammissione dei testimoni della difesa all'udienza del 23 dicembre 2019, è anch'esso inammissibile.

1.3.1. In punto di diritto, deve ricordarsi che la revoca dell'ordinanza ammissiva dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità produce una nullità di ordine generale a regime intermedio, integrando una violazione del diritto della parte di difendersi provando, stabilito dall'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art. 6, comma 3, lettera d), della CEDU, al quale si richiama l'art. 111, comma 2, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti (ex multis, Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, Rv. 279166). Va altresì rimarcato che la revoca dell'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (ex multis, Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, Rv. 271732). Va infine evidenziato che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione del diritto di difesa, sub specie di mancata ammissione delle prove dedotte, esige che siano indicate specificamente le prove che l'imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento (ex multis, Sez. 5, n. 39764 del 29/5/2017, Rv. 271849; Sez. 5, n. 10425 del 28/10/2015, dep. 2016, Rv. 267559).
1.3.2. Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui la revoca dei testimoni, pronunciata all'udienza del 23 dicembre 2019 alla presenza del sostituto del difensore dell'imputato, non è stata oggetto di specifiche eccezioni da parte di questo; così che il rilievo di eventuali vizi della motivazione a fondamento della revoca stessa deve ritenersi ormai precluso. A ciò deve aggiungersi che il ricorrente non ha indicato nel ricorso i nominativi dei testi, essendosi limitato ad affermare genericamente che si trattava di lavoratori sulla base delle cui dichiarazioni si erano svolte le indagini. E la genericità di tale affermazione trova ulteriore conferma nel tenore dell'imputazione, la quale fa riferimento, per lo più, all'omissione di adempimenti dei quali il datore di lavoro avrebbe dovuto fornire prova scritta (come la sottoposizione dei lavoratori a visita medica, la fornitura dei dispositivi di protezione individuale, l'elaborazione del documento di valutazione dei rischi, l'ottenimento della certificazione dell'impianto elettrico, la designazione dei lavoratori incaricati della sicurezza e gestione dell'emergenza, la formazione su rischi, procedure e sicurezza); adempimenti in relazione ai quali la prova testimoniale - qualora non ne sia dedotta in modo chiaro e univoco la specifica valenza, ad esempio in relazione ad uno smarrimento della documentazione obbligatoria - risulta irrilevante.
1.4. Del tutto generico è il quarto motivo di doglianza, con cui si eccepisce la violazione dell'art. 649 cod. proc. pen., sul rilievo che l'imputato avrebbe già subito un giudizio per i medesimi fatti di fronte al medesimo Tribunale. La difesa si limita infatti a criticare l'ordinanza del 25 marzo 2019, nella quale ci si sarebbe riferiti alla diversa qualificazione giuridica degli stessi fatti storici, ma non spiega in cosa consisterebbe la pretesa identità, non specificando gli estremi e l'oggetto del precedente procedimento che si sarebbe tenuto di fronte al Tribunale di Avellino.
1.5. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La difesa sostiene che la condanna sarebbe basata sulle dichiarazioni riportate nel verbale di sequestro del 25 giugno 2014, ma non nega di avere prestato il consenso all'acquisizione agli atti di tale verbale all'udienza del 12 marzo 2018. Si limita ad evidenziare che nella successiva udienza del 12 novembre 2018 aveva affermato «che non prestava il consenso ed espressamente lo negava». Non considera, però, che dall'esame degli atti emerge che il diniego del consenso prestato all'udienza del 12 novembre 2018 non riguardava - né avrebbe potuto riguardare - l'acquisizione di un verbale di sequestro per la quale la difesa aveva già prestato il consenso ma l'acquisizione degli atti dell'istruttoria dibattimentale, per il mutamento della persona fisica del giudice; atti tra i quali non rientra in ogni caso il verbale di sequestro. Peraltro, l'affermazione difensiva secondo cui tale verbale sarebbe decisivo ai fini della condanna risulta formulata in modo non specifico, sia perché dalla lettura della sentenza emerge, invece, la decisività della testimonianza a carico della dottoressa Latorella, della Asi di Avellino, la quale aveva proceduto all'accertamento dei reati, sia perché il mancato adempimento degli obblighi imposti dalla normativa di sicurezza sul lavoro oggetto delle disposizioni incriminatrici risulta sostanzialmente pacifico, in mancanza della relativa documentazione e di eventuali spiegazioni alternative di tale mancanza.
1.6. Del tutto generica è la sesta censura, riferita a una pretesa carenza di motivazione in relazione all'individuazione dell'imputato quale legale rappresentante della società, tenuto all'osservanza degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro. Infatti, la difesa non nega che l'imputato avesse effettivamente tale qualità, peraltro confermata da quanto accertato dalla polizia giudiziaria, nonché dalle sue parziali ammissioni e dalla sua effettiva presenza sul posto, ma si limita ad affermare che la qualità di legale rappresentante avrebbe potuto essere provata solo documentalmente, senza considerare che l'ordinamento non prevede alcuna limitazione alla prova.
1.7. Manifestamente infondato è il settimo motivo di doglianza, con cui si sostiene che i reati si sarebbero estinti per prescrizione in data 25 ottobre 2019, potendosi considerare solo quattro mesi di sospensione per impedimenti difensivi. Dal semplice esame degli atti emerge, infatti, che il decorso del termine di prescrizione è stato sospeso: dal 19 giugno 2017 all'll dicembre 2017 (175 giorni), per richiesta difensiva; dall'll dicembre 2017 al 12 marzo 2018 (91 giorni), per adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata da un organismo di categoria; dal 25 giugno 2018 al 12 novembre 2018 (140 giorni) per adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata da un organismo di categoria, per un totale di 406 giorni. I periodi di sospensione devono essere sommati al termine di prescrizione, di complessivi cinque anni, decorrenti dalla data di commissione dei reati (25 giugno 2014), giungendosi così alla data del 4 agosto 2020, successiva alla pronuncia della presente sentenza.
2.8. Anche l'ultimo motivo di doglianza, con si lamentano la mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. e la mancanza di motivazione sulla determinazione della pena in misura superiore al minimo, è manifestamente infondato. È sufficiente qui evidenziare che la particolare tenuità dei fatti è esclusa dal loro numero e dalla circostanza che il datore di lavoro avrebbe facilmente potuto rispettare le norme di sicurezza, vista la struttura estremamente semplificata dell'impresa, la quale aveva solo i quattro dipendenti in relazione ai quali le plurime violazioni sono state poste in essere. E proprio facendo leva sulla pluralità delle violazioni, il Tribunale ha motivatamente negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ha determinato la pena-base in euro 2500,00 di ammenda, aumentata ex art. 81, secondo comma, cod. pen., alla pena finale di euro 3500,00 di ammenda.

2. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.



P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 07/07/2020


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