Lo Sport (agonistico e non) e il D.Lgs.81/08: le sentenze e i princìpi
Calcio, pallacanestro, nuoto, go-kart, golf, centri sportivi: le tutele, il DVR, l’accettazione del rischio, le responsabilità per gli infortuni dei giocatori professionisti, degli sportivi amatoriali e degli altri terzi. Di Anna Guardavilla.
Le tutele previste dalle norme di salute e sicurezza sul lavoro riguardano anche il mondo dello sport, sia con riferimento ai giocatori e agli sportivi professionisti sia con riguardo a coloro che frequentano un centro sportivo a livello amatoriale come sportivi o frequentatori o a coloro che praticano sport in qualunque altra situazione (ludica, ricreativa, scolastica, ginnica non agonistica etc.).
E’ chiaro che, implicando lo sport dei rischi particolari già insiti nel gioco stesso, la giurisprudenza ha elaborato princìpi particolari per attribuire le responsabilità in caso di infortunio occorso ai giocatori professionisti, i quali - come vedremo - devono ricevere comunque tutte le tutele previste dalla legge per la salvaguardia della loro salute.
Analogamente colui che gestisce un centro sportivo, una piscina, un campo da calcio o da golf e così via, è tenuto a tutelare non solo i lavoratori ma anche i terzi utenti e frequentatori.
Gli infortuni nel mondo dello sport e delle attività ludiche, infatti, possono riguardare non solo i lavoratori ma anche i terzi, cioé persone che praticano uno sport o un’attività ricreativa (e che sono comunque destinatari di tutele per legge) o persone che non praticano ma che sono comunque presenti nel medesimo contesto in cui si svolge il gioco o lo sport e quindi esposti al rischio di essere danneggiati da coloro che la praticano. A volte - come vedremo dalle sentenze proposte di seguito - i terzi danneggiati sono ragazzi minorenni che praticano un’attività ludica in un centro organizzato dal cui gestore dovrebbero essere tutelati con tutte le misure organizzative, tecniche e procedurali necessarie.
Procediamo a questo punto con un’analisi di casi giurisprudenziali, partendo da quelli che riguardano gli infortuni occorsi agli sportivi professionisti per poi passare ad esaminare le sentenze riguardanti la tutela degli sportivi amatoriali, degli utenti dei centri sportivi e ricreativi e in generale di tutti i terzi al di fuori del mondo agonistico professionale.
I GIOCATORI PROFESSIONISTI E LE TUTELE DI SICUREZZA SUL LAVORO
Infortunio ad un giocatore di pallacanestro mentre “correva durante un’azione di gioco” e principio dell’accettazione del rischio (Cass. Civile Lavoro)
In Cass. Civ., Sez. Lav., 23 aprile 2015 n.8297, “J.D.M., giocatore di pallacanestro professionista, ingaggiato dalla soc. F. Basket, nel corso di una partita di pallacanestro subì un grave infortunio al tendine di Achille sinistro, a seguito del quale, dopo interventi chirurgici e tentativi di riabilitazione, si dovette ritirare dall’attività agonistica, per inabilità permanente.”
Il giocatore non riesce a dimostrare neanche in Cassazione che vi era stata una violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza sanitaria e in generale una mancanza delle tutele di salute e sicurezza sul lavoro.
La Corte infatti rigetta il suo ricorso affermando che “determinati e specifici lavori comportano per loro natura dei rischi per la salute del lavoratore, e tra questi va annoverato lo svolgimento di una attività sportiva agonistica, tenuto conto della pericolosità insita nel suo svolgimento e dei rischi ineliminabili, in tutto o in parte, da parte del datore di lavoro rispetto alla possibilità dell’atleta di subire un infortunio nel corso della prestazione lavorativa.
Rispetto a detti lavori - importanti [comportanti, n.d.r.] una necessaria accettazione del rischio alla salute del lavoratore, legittimata sulla base del principio del bilanciamento degli interessi -non risulta, pertanto, configurabile una responsabilità ex art. 2087 cod. civ. del datore di lavoro, se non nel caso che detto imprenditore con comportamenti specifici, da provarsi di volta in volta da colui che assume di essere danneggiato, determini un aggravamento di quel tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell’attività che il lavoratore è chiamato a svolgere (cfr. pure Cass. n. 11427 del 2000).”
Nella fattispecie, “i Giudici di appello hanno evidenziato che “...le modalità del sinistro erano state descritte con la sola indicazione che la lesione del tendine di Achille si sarebbe verificata ‘correndo durante un’azione di gioco’ e quindi nelle normali ed imprescindibili modalità di esecuzione della prestazione lavorativa tipica...”. Non era stata prospettata la mancata adozione di specifici obblighi di sicurezza del lavoro o generici di diligenza e prudenza.”
Come vedremo tra poco, in altri casi la questione è più complessa e le variabili da analizzare sono maggiori. Per poter gestire tale complessità, la Cassazione - soprattutto in ambito penale - ha elaborato dei criteri che prevedono che la sussistenza o meno di alcunecondizioni - legate al contesto, al tipo di sport e alle modalità del fatto - funga da vero e proprio discrimine e quindi da spartiacque tra la responsabilità e la non responsabilità. Il caso che segue ne è un esempio.
Responsabilità (o non responsabilità) di un calciatore che in un’azione di gioco decisiva colpisce la gamba dell’avversario. Il criterio del “collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo” (Cass. Penale)
Il caso su cui si è pronunciata Cass. Pen., Sez. IV, 8 marzo 2016 n. 9559 è il seguente: “nel corso di una partita di calcio del campionato, serie “eccellenza”, girone Sardegna, DB.V., calciatore della squadra dell’Alghero, in un’azione di gioco, al fine d’interrompere l’azione avviata da G.A., calciatore della squadra del Tempio, il quale, attorno al 48° minuto del secondo tempo, impossessatosi del pallone aveva dato vita ad un veloce contropiede della squadra ospitata, spingendo davanti a sé la sfera, con l’intento di guadagnare prestamente l’area di rigore, attingeva, con eccessiva violenza, con un calcio la gamba dell’avversario, causandogli lesioni gravi, consistite nella frattura della tibia sinistra.”
L’imputato viene assolto dalla Cassazione, la quale fa riferimento al criterio della “accettazione del rischio consentito”, secondo il quale il fatto è antigiuridico e quindi “fonte di responsabilità: a) quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l’evento lesivo e la competizione sportiva; b) quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso (a tal ultimo riguardo, un conto è esercitare un agonismo, anche esacerbato, allorquando sia in palio l’esito di una competizione di primario rilievo, altro conto quando l’esito non abbia una tale importanza o, ancor meno, se si tratti di partite amichevoli o, addirittura, di allenamento); c) quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all’azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell’attività.”
Al contrario, invece, “deve escludersi antigiuridicità e, quindi, obbligo di risarcimento: a) ove si tratti di atto posto in essere senza volontà lesiva e nel rispetto del regolamento e l’evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell’attività sportiva, che importa contatto fisico; b)ove, pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, debba constatarsi assenza della volontà di ledere l’avversario e il finalismo dell’azione correlato all’attività sportiva (cfr. Cass. Civ., Sez. 3, n. 12012 dell’8/8/2002, Rv. n. 556833).”
E la Cassazione a questo proposito aggiunge: “che si tratti di attività rischiose consentite a determinate condizioni lo si ricava piuttosto pacificamente dal coinvolgimento delle società sportive, garanti della tutela e della successiva cura delle lesioni riportate dagli atleti, ove necessaria (Sez. 3 Civ., n. 15394 del 13/7/2011, Rv. n. 618886).”
La Corte sottolinea che occorre inoltre che “l’esercizio, specie con i caratteri agonistici delle gare di maggior rilievo, di una disciplina sportiva, che implichi l’uso necessario (es. pugilato, lotta, ecc.) o anche solo eventuale (calcio, rugby, pallacanestro, pallanuoto, ecc.) forza fisica,costituisce un’attività rischiosa consentita dall’ordinamento, per plurime ragioni, a condizione che il rischio, appunto, sia controbilanciato da adeguate misure prevenzionali, sia sotto forma di regole precauzionali, che dall’imposizione di obblighi di cure e trattamento a carico delle società sportive operanti”.
Nella fattispecie, riguardo alla (non) responsabilità dell’imputato, “l’infortunio maturò in un frangente di gioco particolarmente intenso (gli ultimi minuti dell’incontro), a riguardo d’una azione di gioco decisiva, in un incontro rilevante per quel girone del campionato di eccellenza. L’atto, di poi, era manifestamente indirizzato a interrompere l’azione di contropiede della squadra avversaria, mediante il tentativo d’impossessarsi regolarmente del pallone.
La condotta del DB.V., diretta a colpire il pallone, appare meritevole di censura intranea all’ordinamento sportivo, non già perché smodatamente violenta (la pienezza agonistica qui era giustificata dal contesto dell’azione, dal momento di essa e dagli interessi in campo), bensì perché, mal calcolando la tempistica, invece che cogliere il pallone, aveva finito per colpire la gamba dell’avversario, che già aveva allungato la sfera in avanti; ma, certamente, non sconfina dal perimetro coperto dalla scriminante di cui s’è discorso.”
I CENTRI SPORTIVI E RICREATIVI: LE RESPONSABILITA’ DEI GESTORI, IL DVR, LA TUTELA DEI FREQUENTATORI E DEGLI ALTRI TERZI
Infortunio in un kartodromo e valutazione dei rischi: responsabilità del datore di lavoro e del responsabile della pista per aver causato la morte di una ragazza minorenne per impigliamento della sciarpa
Cassazione Penale, Sez. IV, 20 gennaio 2014 n. 2343 è una nota sentenza.
Imputati di omicidio colposo sono il legale rappresentante della società gerente un Kartodromo e il responsabile della pista per aver causato la morte di una ragazza minorenne, consentendole di accedere al kart nonostante indossasse una sciarpa che le cingeva il collo, indumento ad alto rischio per quel tipo di attività, nonché un casco non omologato, visibilmente privo del gancio di chiusura.
La colpa ricondotta al primo consisteva nell’aver noleggiato il kart alla vittima e ad un altro soggetto, “ancorché privi della licenza di guida e di qualsivoglia esperienza, per aver omesso di predisporre l’obbligatoria valutazione dei rischi connessi all’attività dell’azienda […], per non aver informato gli utilizzatori della pista dei rischi e delle cautele da osservare prendendo posto sul kart, per aver omesso di dotare il circuito di caschi omologati e dotati di gancio di chiusura.”
Per il responsabile della pista, la colpa consisteva “nell’avere omesso di vigilare sulle cautele indicate.”
Sicché la ragazza, “prendendo posto sul kart biposto e circolando sul predetto circuito, in assenza d’informazione sui rischi e sull’abbigliamento idoneo, impigliandosi la sciarpa che portava al collo nei meccanismi del circuito, soffocava e decedeva.”
La Corte conferma la responsabilità dei due soggetti, sottolineando il seguente principio: “il responsabile di attrezzature sportive o ricreative è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità di coloro che le utilizzano, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del “neminem laedere”, sia nella sua qualità di “custode” delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile, per il disposto dell’art. 2051 cod.civ., fuori dall’ipotesi del caso fortuito, dei danni provocati dalla cosa), sia, infine, quando l’uso delle attrezzature dia luogo a un’attività da qualificarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., rispetto alle quali egli è obbligato ad adottare tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso (Cass. pen. Sez. IV, n. 11361 del 10.11.2005 Rv. 233663).
Ma nel caso in esame” - prosegue la Corte – “è stato anche sostanzialmente individuato il kartodromo come luogo di lavoro, tale dovendosi intendere quello in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività che implichi prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità (sportive, artistiche, ludiche, di addestramento o altro) della struttura in cui essa si svolga e della sua frequentazione occasionale o sistematica da parte di soggetti estranei all’attività lavorativa.
Ne consegue che in sede di predisposizione del documento di valutazione dei rischi aziendali, con l’individuazione dei relativi pericoli e misure di salvaguardia, non avrebbe potuto essere pretermesso il divieto di indossare indumenti quali sciarpe ed altri, suscettibili di impigliarsi negl’ingranaggi dei motori (notoriamente a vista e posteriori).”
Responsabilità del Presidente di un golf Club per un infortunio ad una frequentatrice dovuto all’omessa manutenzione delle reti di protezione e obbligo di valutazione dei rischi
Analogamente alla sentenza precedente, anche in questa pronuncia il tema è quello della valutazione dei rischi vista anche in relazione alla tutela dei terzi.
In Cass. Pen., Sez. IV, 31 gennaio 2014 n. 4961, il Presidente di un Club del Golf aveva omesso di manutenere adeguatamente le reti presenti a protezione del “campo approcci” e così una donna che era in loco perché impegnata in una lezione di ripasso, era stata colpita all’occhio sinistro dalla pallina da golf che, lanciata da un giocatore da una vicina buca, non era stata trattenuta dalle reti lacerate e forate poste tra il campo approcci e la buca.
La Corte ha confermato la condanna di tale soggetto stabilendo che “l’obbligo datoriale di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 28, co. 1 d.lgs. n. 81/2008) non può che ricomprendere anche il rischio derivante dall’utilizzo e dalla vetustà delle cose” e che quindi, nella fattispecie, “l’omessa manutenzione delle reti poste a protezione dei lavoratori e degli utenti del campo da golf rispetto al rischio determinato dal lancio di palle da gioco nel corso dell’attività sportiva non contravviene ad una regola di generica prudenza e/o di diligenza, ma va ricondotta - come correttamente fatto dall’ufficio del p.m. - alla violazione degli artt. 17 e 28 d.lgs. n. 81/2008.”
Responsabilità del datore di lavoro di un’Associazione sportiva che gestiva una piscina per non aver assicurato la presenza di un bagnino che prestasse la prima assistenza. Infortunio mortale ad un ragazzo minorenne.
In Cassazione Penale, Sez.IV, 14 dicembre 2005 n.4462, il legale rappresentante di una Associazione sportiva che aveva in gestione una piscina è condannato per il decesso di un ragazzo minorenne “sul rilievo che, in violazione degli obblighi gravanti in virtù della sua posizione di garanzia, avesse omesso di assicurare la presenza di personale adeguato (bagnino) nella predetta piscina”. Inoltre “risulta dalla sentenza di secondo grado il rinvio a giudizio anche di tale L., nella qualità di bagnino addetto all’assistenza dei bagnanti, e la sua assoluzione, essendo stato accertato che lo stesso era stato assunto per svolgere compiti diversi.”
Secondo la Cassazione (che annulla con rinvio la sentenza d’appello), laddove il datore di lavoro “tale servizio avesse predisposto, ragionevolmente l’intervento di salvataggio avrebbe potuto essere attivato immediatamente, fin dal momento dell’insorgere dei primi sintomi della patologia, senza dover attendere l’occasionale allarme suscitato dal compagno di nuoto e il parimenti occasionale ausilio fornito da un frequentatore della piscina (dotato o no delle richieste cognizioni tecniche).
Cosicché, proprio nel lasso temporale indicato in sentenza, potevano apprestarsi quei mezzi di assistenza che potevano salvare la vita all’infortunato.”
La Corte precisa così quali obblighi gravino su colui che gestisca un’associazione sportiva e in particolar modo una piscina, richiamando anche un interessante precedente giurisprudenziale.
Chi gestisce una piscina, infatti, “è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2, in forza della quale è tenuto a garantire l’incolumità fisica degli utenti mediante l’idonea organizzazione dell’attività, vigilando sul rispetto delle regole interne e di quelle emanate dalla Federazione italiana nuoto, le quali hanno valore di norme di comune prudenza, al fine di impedire che vengano superati i limiti del rischio connaturato alla normale pratica sportiva.”
La Corte richiama quale precedente “Cass., Sez. 4^, 18 aprile 2005, parte civile Capitani ed altri in proc. Morichetti ed altro; la quale, proprio da queste premesse, ha rigettato il ricorso avverso sentenza di condanna che aveva ravvisato la responsabilità, per la morte di un frequentatore di una piscina, nei confronti del responsabile della società che tale piscina gestiva, cui era stata contestato di avere consentito alla vittima di svolgere, nella piscina, attività subacquea pericolosa - con esercizio di apnea prolungata - pur in assenza di assistenti-bagnanti tenuti allo specifico controllo di detta attività; e ciò tenuto conto che la normativa sportiva suindicata imponeva, per lo svolgimento dell’attività de qua, la presenza di un assistente a bordo piscina e di altro in acqua, proprio in considerazione della difficoltà di controllare un soggetto che si trovi in immersione in apnea prolungata.”
Durante una partita di pallavolo, insegnante colpita da un pallone tirato da un allievo nell’ora di educazione fisica
Cass. Civ., Sez. III, 26 gennaio 2016 n.1322 descrive il seguente caso: “nel corso dell’ora di educazione fisica, mentre la classe maschile, affidata al prof. S.A., era impegnata in una partita di pallavolo nel cortile della scuola, un alunno di quella classe si staccò dalla classe e calcio violentemente il pallone, colpendo al viso la stessa attrice, che stava tenendo la lezione di educazione fisica per la classe femminile nello stesso cortile, provocandole danni gravissimi sia di natura biologica che patrimoniale. Nel caso, rileva il dato che l’azione dannosa si è consumata nel corso di una gara sportiva, sia pure connotata da prevalenti aspetti ginnici, anziché agonistici.”
La Corte precisa che “si può quindi fare riferimento ai principi elaborati in tema di responsabilità per i danni causati da un atleta ad altro atleta impegnato nel corso di una gara sportiva.
Al riguardo, si è affermato che il criterio per distinguere tra comportamento lecito e quello punibile va individuato nel collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo. Tale collegamento va senz’altro escluso se l’atto è compiuto allo scopo di ledere o con violenza incompatibile con le caratteristiche del gioco e, in tal caso, la condotta è sempre punibile anche se in ipotesi non avesse violato regole dell’attività sportiva svolta. Viceversa, la responsabilità non sussiste se, come nel caso in esame, le lesioni sono la conseguenza di un atto posto senza la volontà di ledete e se, pur in presenza di violazione delle regole di gioco, l’atto è a questo funzionalmente connesso (Cass. n. 12012/2002).”
La Cassazione conclude: “ebbene, le sopra ricostruite modalità di verificazione del sinistro - calcio al pallone con cui si disputava la partita di pallavolo, presumibilmente per rimettere la palla in campo - depongono per la mancanza di una finalità di ledere in capo all’alunno e per l’esistenza di collegamento funzionale tra l’azione di questi e il gioco in atto, pur se con violazione delle regole del gioco stesso, che non ammette lanci con i piedi.”
Articolo da Puntosicuro di Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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