Profili di Rischio di Comparto Lavassecco
Profili di Rischio lavanderie e stirerie
FASE 1: ACCETTAZIONE E CONSEGNA CAPI
CAPITOLO 1: LA FASE DI LAVORAZIONE
E’ la prima fase lavorativa e consiste nel ricevimento manuale dei capi sporchi da lavare. E’ effettuata da un’unica persona che svolge le seguenti operazioni:
- Controlla visivamente il capo da lavare (tipo di indumento, di tessuto, la presenza di macchie particolari);
- appone un’etichetta, di solito tramite cucitrice, all’interno del capo;
- pone l’indumento in cesti, smistando i capi in base al tessuto, al colore, ecc.
Presso il banco di accettazione avviene anche la consegna al cliente dei capi lavati.
Si precisa che l’attività indagata si svolge in locali normalmente di esigue dimensioni, inserite in centri abitati tra altre attività commerciali; in genere è presente la zona accettazione/consegna capi cui accede la clientela, ed un laboratorio retrostante per le operazioni di smacchiatura, stiratura, pulizia macchina, ecc.; la lavatrice si trova a ridosso delle due zone di lavoro ed i due locali sono separati, non fisicamente, ma solo in parte (tendine e simili).
CAPITOLO 2: ATTREZZATURA, MACCHINE, IMPIANTI
Nessuna attrezzatura di lavoro di interesse, per la mansione specifica.
Tuttavia, subito dietro il banco accettazione/consegna, è presente, nella maggior parte delle Aziende esaminate, la lavatrice a tetracloroetilene (“percloroetilene”), il che causa un’esposizione al solvente da parte degli addetti a questa mansione.
Per le caratteristiche delle macchine lavatrici, vedere la fase specifica “LAVAGGIO”.
CAPITOLO 3: FATTORE DI RISCHIO
Per la fase di “accettazione” un rischio potenziale è il rischio biologico (agenti infettivi) dovuto alla manipolazione di indumenti sporchi di varia provenienza ed uso.
Non è stato stimato questo tipo di rischio, che, comunque, si ritiene difficilmente misurabile; l’approccio preventivo al problema è stato l’ uso di guanti leggeri, ma impermeabili, nella manipolazione di indumenti particolari o di dubbia provenienza.
Nella postazione di lavoro indicata come “banco consegna” è stata misurata invece l’esposizione indiretta al solvente, dovuta alla presenza della lavatrice a percloroetilene proprio a ridosso del banco.
Per l’indagine ambientale sono stati effettuati:
- rilievi ambientali fissi, a centro ambiente, con campionatori passivi a simmetria radiale (“Radiello” della “Fondazione Clinica Salvatore Maugeri” di Pavia), lasciati nell’ambiente per il maggior tempo possibile (in genere metà turno lavorativo);
- rilievi personali con fialette a carbone attivo, tramite pompa portatile Zambelli mod. EGO, flusso 0,5 litri/minuto, per il tempo corrispondente ad un ciclo di lavaggio (circa 1 ora); le postazioni di lavoro scelte sono quelle corrispondenti alla mansione svolta, in questo caso “banco consegna capi".
I campionamenti sono stati effettuati dal chimico igienista del Servizio, coadiuvato dal personale tecnico.
L’analisi, sia dei “Radielli” che delle fialette, è stata eseguita con tecnica cromatografica GC-FID da parte del laboratorio chimico dell’ARPAV –Dipartimento Provinciale di Belluno.
I valori presi come riferimento sono quelli previsti dall’Associazione Italiana degli Igienisti Industriali (anno 2000), e precisamente:
TLW - TWA (media delle otto ore lavorative) = 170 mg/mc;
TWA – STEL (intervalli di breve durata) = 685 mg/mc.
Come si vede, la concentrazione del solvente nell’ ambiente è inferiore al TLV, ma non è trascurabile (mediamente 57,1% del TLV), inoltre i valori presentano una grande variabilità (fino a 629 mg/mc, pari al 370% del TLV).
2) Misura dell’esposizione al solvente clorurato, per l’addetto al “banco consegna”:
L’esposizione personale degli addetti è notevole (in media raggiunge il 73% del TLV) con punte ben più elevate (672 mg/mc).
Sui lavoratori addetti è stata anche effettuata un’indagine biologica, cioè la ricerca e il dosaggio nelle urine del PCE immodificato e del metabolita considerato più significativo, l’acido tricloroacetico (TCA).
Non è stato possibile suddividere i lavoratori per mansioni specifiche, in quanto, trattandosi di Aziende con 1-2 addetti, spesso a conduzione familiare, le mansioni non sono fisse.
Per tale motivo i valori biologici di esposizione saranno illustrati nell’ambito della fase “lavaggio”.
Oltre all’ indagine ambientale e biologica, è stata effettuata anche un’ indagine sanitaria comprendente un campione di lavoratori con le seguenti caratteristiche:
Il programma sanitario proposto consisteva in:
- effettuazione della visita medica mirata ai rischi lavorativi presenti nel comparto;
- esecuzione di una spirometria;
- somministrazione di un questionario per la rilevazione sia dei sintomi da esposizione a solvente, che dei disturbi muscolo-scheletrici da posture obbligate e movimenti ripetitivi.
Il campione esaminato risulta essere composto da soggetti in buona salute: solo una piccola percentuale degli addetti alle lavanderie lamenta disturbi correlabili con la mansione lavorativa. I disturbi attribuibili a esposizione prolungata a PCE (mal di testa, stordimento, vertigini, nausea) sono poco rappresentati, mentre prevalgono quelli legati alla postura (senso di pesantezza, gonfiore e varici agli arti inferiori) (vedi anche alla fase “STIRATURA”).
Si sono, inoltre, cercate eventuali correlazioni statistiche fra i disturbi dichiarati e gli indici di esposizione ambientale, ma non si è trovata alcuna differenza statisticamente significativa confrontando la presenza o l’assenza dei sintomi fra il gruppo degli esposti (superamento del TLV e/o del BEI) e quello dei non esposti. Questo comportamento potrebbe trovare spiegazione nel fatto che l’indagine ambientale effettuata rappresenta una fotografia estemporanea dell’inquinamento di una giornata, ma non è rappresentativa di un’esposizione cronica; oppure nella sottovalutazione del problema da parte degli intervistati per carenza di informazioni sul rischio.
CAPITOLO 4: IL DANNO ATTESO
Non sono disponibili dati epidemiologici per la realtà specifica.
In base alle caratteristiche tossicologiche del percloroetilene è possibile prevedere il tipo di alterazioni d’apparato od organo che si possono verificare per lunghe esposizioni a basse concentrazioni, ovvero effetti acuti per esposizioni di breve durata ad elevate concentrazioni (ad esempio, in caso di spandimenti accidentali di solventi).
Il tetracloroetilene (più comunemente conosciuto come percloroetilene o PCE) rappresenta il principale solvente attualmente utilizzato nelle lavanderie a secco.
E’ un solvente clorurato che bolle a 121°C, ma evapora facilmente già a temperatura ambiente, con odore caratteristico (simile all’etere); i vapori sono più pesanti dell’aria. Non è infiammabile, ma non deve essere esposto ad alte temperature in quanto si decompone facilmente producendo gas pericolosi come il cloro, l’acido cloridrico, il fosgene. Viene assorbito principalmente per via respiratoria, ma anche attraverso la pelle integra, in caso di contatto diretto.
Data la sua affinità per i lipidi, si accumula nei tessuti ricchi di grasso, da cui viene eliminato lentamente. La principale via di eliminazione è tramite le urine, sia come tale, che trasformato in altri composti (acido tricloroacetico o TCA).
Gli effetti negativi principali sono:
- di tipo acuto: irritazione degli occhi e delle vie respiratorie, dermatiti irritative ed allergiche per contatto diretto con la pelle;
- di tipo cronico: alterazioni a carico del sistema nervoso centrale (stordimento, vertigini, ecc.), danni al fegato. Sono stati inoltre segnalati anche effetti riproduttivi, genotossici, mutageni e cancerogeni.
CAPITOLO 5: GLI INTERVENTI
Si premette che lo scopo dell’indagine è stato quello di realizzare un intervento informativo:
a) per le imprese, fornendo loro le principali indicazioni per realizzare le bonifiche migliorative;
b) per gli addetti, favorendo la diffusione delle notizie sui rischi e sulle azioni preventive.
A tal fine, alla conclusione dell’ indagine in ciascuna Azienda, è stato inviato un verbale di ispezione contenente i risultati delle indagini svolte e le conseguenti disposizioni migliorative ritenute necessarie per il contenimento dei rischi lavorativi; per quanto riguarda la fase di accettazione, viste le caratteristiche dei locali di lavoro, in molte Aziende si è reso necessario far migliorare le condizioni di ventilazione ed i ricambi d’aria ambientali attraverso l’apertura di nuove finestre e l’installazione di impianti di ventilazione artificiale.
Inoltre, per quanto riguarda la mansione di accettazione in particolare, veniva fatto un richiamo al rispetto scrupoloso delle norme igieniche per quanto riguarda il rischio derivante dalla manipolazione degli indumenti sporchi.
Infine, per il rischio di esposizione a vapori di percloroetilene, valgono le indicazioni di bonifica ambientale elencate alla voce “LAVAGGIO”.
FASE 2: PRELAVAGGIO
CAPITOLO 1: LA FASE DI LAVORAZIONE
Consiste nella smacchiatura preliminare dei capi da lavare.
Viene effettuata con dispersione, in acqua o in solvente, di tensioattivi solidi o liquidi, che vengono strofinati direttamente sulla macchia tramite apposita spazzola. Inoltre, per tipi di macchie particolari, il pretrattamento consiste nell’applicare, con spruzzetta a mano, prodotti specifici per ciascun tipo di sporco; i più utilizzati sono: ammoniaca, acido acetico, acido ossalico, acido fluoridrico, ecc.
Questa fase si svolge nello stesso locale adibito al lavaggio.
CAPITOLO 2: ATTREZZATURA, MACCHINE, IMPIANTI
La pre-smacchiatura viene effettuata a mano, su banchi aspirati nella maggior parte dei casi; trattasi di banchi con aspirazione dal basso, di forma e caratteristiche standard per tutte le Aziende visitate.
CAPITOLO 3: IL FATTORE DI RISCHIO
Il rischio specifico è legato agli smacchiatori utilizzati: solventi (trielina, percloroetilene), tensioattivi, acidi organici (acido acetico ed ossalico) ed inorganici (acido fluoridrico), basi (ammoniaca).
Si hanno pertanto rischi di irritazione e causticazione per contatto diretto, rischio di dermatiti, di irritazione delle vie aeree per inalazione.
Non è stato misurato questo tipo di rischio.
CAPITOLO 4: IL DANNO ATTESO
Non sono disponibili dati epidemiologici per la realtà specifica.
In base alle caratteristiche tossicologiche delle sostanze impiegate è possibile prevedere il tipo di alterazioni d’apparato od organo che si possono verificare per lunghe esposizioni a basse concentrazioni, ovvero effetti acuti per esposizioni di breve durata ad elevate concentrazioni (ad esempio, in caso di spandimenti accidentali di solventi).
CAPITOLO 5: GLI INTERVENTI
Le indicazioni fornite alle Aziende sono state:
- adeguata ventilazione dei locali di lavoro attraverso l’apertura di nuove finestre e/o l’installazione di impianti di ventilazione artificiale;
- utilizzo di banco aspirato;
- utilizzo di guanti ed indumenti protettivi resistenti all’aggressione chimica;
- conoscenza delle materie prime utilizzate tramite la “scheda dei dati di sicurezza” obbligatoriamente fornita dal produttore all’utilizzatore professionale.
FASE 3: LAVAGGIO
CAPITOLO 1: LA FASE DI LAVORAZIONE
Consiste nell’ inserimento dei capi nella lavatrice a percloroetilene, nella programmazione della stessa per le varie fasi di lavaggio, infine nell’estrazione dei capi lavati a fine lavaggio. In dettaglio le fasi del lavaggio eseguite dalla lavatrice (tramite apposito programma elettronico), comprendono:
- pre-lavaggio
- lavaggio
- centrifuga
- asciugatura
- deodorizzazione
- rigenerazione del solvente.
Operazioni ausiliarie al lavaggio sono: la pulizia dei filtri interni (per polveri di lavaggio, “prendispilli”, ecc.) e lo scarico dei fanghi per il successivo smaltimento come rifiuti pericolosi.
Gli impianti di lavaggio sono sempre installati nello stesso locale adibito alle altre operazioni (banco consegna, prelavaggio, stiratura).
CAPITOLO 2: ATTREZZATURA, MACCHINE, IMPIANTI
Le lavatrici utilizzate sono del tipo “a circuito aperto” (con emissione dei vapori aspirati all’esterno) ovvero “a circuito chiuso” (senza alcuna emissione di solvente, ma con aspirazione dei vapori dal cestello e loro recupero tramite circuito refrigerante).
In più della metà (22 Aziende su 40) le lavatrici utilizzate erano “a circuito chiuso”.
L’età delle lavatrici utilizzate nelle aziende esaminate variava da 1 a 28 anni, ma nella maggior parte dei casi era di circa 10 anni.
Le materie prime impiegate per il lavaggio sono, oltre al percloroetilene, prodotti ausiliari di filtrazione: trattasi di polveri a granulometria finissima, a base di composti inorganici naturali (argilla, terra di diatomee), conosciute come “decalite” e “celite”. Da queste polveri originano i “fanghi” di risulta dell’attività di lavaggio, impregnati di solvente e dello sporco grasso asportato dagli abiti.
Le polveri in questione contengono percentuali variabili (fino ad un massimo del 63%) di silice libera cristallina.
Per quanto riguarda la principale materia prima, cioè il solvente PCE, il consumo medio annuo è risultato variabile da un minimo di 30-40 kg (in caso di attività stagionale) ad un massimo di 1100 kg.
CAPITOLO 3: IL FATTORE DI RISCHIO
Il rischio specifico è legato al percloroetilene: inalazione dei vapori che si originano durante le fasi di lavaggio e rischio di contatto diretto con la cute per cause accidentali o anomalie di lavorazione.
Le caratteristiche tossicologiche del PCE sono state descritte nella precedente fase (“ACCETTAZIONE E CONSEGNA CAPI”).
La misura dell’esposizione personale al solvente clorurato, per gli addetti al carico e scarico della lavatrice, può essere così sintetizzata:
Come si vede, la concentrazione del solvente nell’ aria respirata dal lavoratore è pari, mediamente, al 75% del TLV, inoltre i valori presentano una grande variabilità (fino a 672 mg/mc, pari al 395% del TLV per le 8 ore. Da notare che tale valore raggiunge praticamente lo STEL, il valore ammesso per brevi esposizioni, che è pari a 685mg/mc).
Sui lavoratori addetti è stata anche effettuata l’indagine biologica, cioè la ricerca del PCE immodificato e del metabolita considerato più significativo, l’acido tricloroacetico (TCA).
Non è stato possibile suddividere i lavoratori per mansioni specifiche, in quanto, trattandosi di Aziende con 1-2 addetti, spesso a conduzione familiare, le mansioni non sono fisse.
I prelievi sono stati effettuati dalle Assistenti Sanitarie del Servizio, che in precedenza avevano provveduto a dare precise istruzioni agli interessati. Entro 2-4 minuti dalla minzione, un’aliquota (2ml) di urina è stata trasferita in contenitori di vetro, fiale “Vials” da 5 ml, con tappo a tenuta per il dosaggio del PCE; i contenitori sono poi stati mantenuti refrigerati fino al dosaggio analitico. L’analisi per il dosaggio PCE e del TCA è stata condotta con tecnica cromatografica HS-GC/ECD dal laboratorio chimico ambientale dell’ARPAV – Dipartimento Provinciale di Belluno.
I limiti biologici presi a riferimento sono quelli previsti dall’Associazione Americana degli Igienisti Industriali per il TCA e quello proposto da Imbriani per il PCE urinario:
BEI TCA urinario (ACGIH 2000) = 3,5 MG/L
Bei pce URINARIO (Imbriani, 1994) = 55µg/l
Come si vede nella tabella soprariportata, i valori medi dei metaboliti urinari analizzati rientrano nei rispettivi valori limite di riferimento (per il PCE: ACGIH 2000; per il TCA: Imbriani 1994); in taluni casi i valori sono stati superiori al limite (vedi “range”). Si noti inoltre la grande variabilità dei dati.
CAPITOLO 4: IL DANNO ATTESO
Non sono disponibili dati epidemiologici per la realtà specifica.
In base alle caratteristiche tossicologiche delle sostanze impiegate è possibile prevedere il tipo di alterazioni d’apparato od organo che si possono verificare per lunghe esposizioni a basse concentrazioni, ovvero effetti acuti per esposizioni di breve durata ad elevate concentrazioni (ad esempio, in caso di spandimenti accidentali di solventi). Vedi caratteristiche tossicologiche del percloroetilene, sopra riportate.
CAPITOLO 5: GLI INTERVENTI
Le indicazioni fornite alle Aziende ai fini della prevenzione dei rischi da esposizione a solventi sono state:
1) garantire costantemente un' adeguata ventilazione dei locali di lavoro, anche in relazione ai ritmi di lavoro e quindi al numero di lavaggi effettuati (si ricorda che sono necessarie finestre apribili - pari a 1/20 della superficie di calpestio - ovvero impianti di ricambio artificiale in grado di assicurare fino a 30 ricambi/ora: quest' ultimo valore è necessario in caso di sversamenti accidentali);
2) controllare regolarmente la perfetta efficienza della macchina in ogni sua parte (tra cui: guarnizioni, giunti, coperchi, impianto frigorifero del "circuito chiuso", termostato del distillatore), seguendo le istruzioni d'uso del fabbricante sulla regolare manutenzione preventiva (e non solo "a rottura");
3) utilizzare adeguati dispositivi di protezione individuale (D.P.I.): guanti e maschere con filtri per solventi organici (fascia marrone, lettera A) nelle fasi di: estrazione dei fanghi, pulizia manuale dei filtri, rabbocco del solvente, interventi in caso di fuoriuscite accidentali;
4) curare costantemente gli aspetti di organizzazione del lavoro che possono ridurre ulteriormente l'inquinamento ambientale, quali:
- applicare un rigoroso ciclo di asciugatura e deodorizzazione secondo il manuale di istruzione della macchina;
- accumulare gli indumenti lavati in zona ventilata ed aspettare possibilmente 24 ore prima di stirarla (oppure prolungare il periodo di deodorizzazione);
- effettuare una distillazione spinta per ridurre il più possibile il quantitativo di PCE nei fanghi (operazione da effettuare quando non è presente alcun altro personale e con condizioni di buona ventilazione);
- accertarsi che tutti i contenitori (solventi, smacchianti, fanghi) siano muniti di coperchio a tenuta ermetica;
- conoscere in dettaglio le caratteristiche di pericolosità dei prodotti utilizzati, tramite un'attenta lettura delle schede di sicurezza (in lingua italiana e in 16 punti ); attuare una corretta formazione - informazione del personale, comprensiva dell'addestramento al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie ( ad es.: riconoscere quando è necessario sostituire il filtro);
- effettuare le operazioni di scarico fanghi e pulizia delle parti interne della lavatrice a macchina fredda, a locali vuoti, ventilando il più possibile i locali di lavoro;
- per gli eventuali casi di intossicazione acuta, formalizzare una procedura d'emergenza in attesa dell'arrivo dei soccorsi;
- porre in atto tutte le necessarie cautele (modalità operative attente, indumenti protettivi, mascherine antipolvere) nella fase di manipolazione della polvere denominata "celite", in quanto può contenere anche silice libera in forma cristallina (pericolosa per il rischio di silicosi e sospetta cancerogena): controllare la scheda di sicurezza;
5) evidenziare il divieto di fumare e di usare fiamme libere nei locali (comprese caldaiette e stufette elettriche), in quanto il PCE è soggetto a decomposizione termica con produzione di gas tossici (fosgene, acido cloridrico);
6) si ricorda che deve essere presente almeno un estintore, da verificare semestralmente;
7) rispettare una scrupolosa igiene personale, anche in relazione al rischio derivante dalla manipolazione di indumenti sporchi, la cui contaminazione non sempre è prevedibile: indossare sempre indumenti da lavoro e lavarsi frequentemente le mani o usare guanti protettivi;
8) attuare un adeguata sorveglianza sanitaria da parte di un Medico Competente, secondo il protocollo sanitario fornito dai Medici del Lavoro del nostro Servizio.
FASE 4: STIRATURA
CAPITOLO 1: LA FASE DI LAVORAZIONE
Questa fase si svolge di norma nello stesso locale adibito al lavaggio, a poca distanza dalla lavatrice.
CAPITOLO 2: ATTREZZATURA, MACCHINE, IMPIANTI
La stiratura manuale viene svolta in banchi da lavoro ventilati (sia aspiranti che soffianti) e riscaldati; il ferro da stiro è collegato ad una caldaia per la generazione del vapore; in alcuni casi è presente anche un box con manichino riscaldato per la stiratura dei “capi spalla”.
In un caso era presente anche un piccolo mangano e una pressa da stiro.
Come materie prime ausiliarie vengono utilizzati appretti per coadiuvare la stiratura.
CAPITOLO 3: IL FATTORE DI RISCHIO
Uno dei rischi è legato alla inalazione di vapori di PCE che si sviluppano dagli indumenti, ancorchè deodorizzati, non solo perché la stiratura è effettuata nello stesso locale in cui è presente la lavatrice, ma anche per l’azione congiunta dell’elevata temperatura e dell’effetto di trascinamento del vapore di stiratura: infatti, il residuo di solvente trattenuto dai tessuti viene liberato proprio nella zona delle vie respiratorie dell’ addetto.
La misura dell’esposizione a vapori di PCE nella postazione di stiratura ha fornito i seguenti risultati:
L’esposizione personale degli addetti è notevole (in media raggiunge il 71,8 % del TLV) con punte ben più elevate (405 mg/mc, pari al 240 % del TLV).
Inoltre un altro rischio potenzialmente presente nella stiratura è quello di disturbi muscolo-scheletrici da posture obbligate e da movimenti ripetitivi.
Per evidenziare tale rischio sono stati eseguiti degli accertamenti medici mirati, come già descritto nella voce “ACCETTAZIONE E CONSEGNA CAPI”.
I disturbi posturali (senso di pesantezza, gonfiori e varici agli arti inferiori) rilevati tramite questionario sono comunque prevalenti rispetto a quelli attribuibili all’esposizione prolungata al PCE; anche i dolori al rachide e i blocchi articolari prevalenti alle articolazioni della spalla e del gomito sono riconducibili alla postura ed a movimentazioni non ergonomiche tipiche della mansione di stiratura.
Infine il 19% dei soggetti esaminati lamenta irritazione agli occhi, che può essere associata ad una prolungata operazione di stiratura e a fattori illuminotecnici del posto di lavoro.
CAPITOLO 4: IL DANNO ATTESO
Non sono disponibili dati epidemiologici per la realtà specifica, legata all’esposizione a PCE, né ad aspetti posturali.
La possibile incidenza di disturbi correlati con fattori ergonomici (stazione eretta, movimenti ripetitivi) può essere in gran parte ridimensionata dal fatto che, come già detto, non vi sono mansioni fisse per l’intero turno di lavoro, ma gli addetti si alternano tra: banco consegna, lavaggio, stiratura, il che permette di alternare diverse posture e tipologie di lavoro.
CAPITOLO 5: GLI INTERVENTI
Le indicazioni fornite alle Aziende ai fini della prevenzione dei rischi prevalenti nella mansione di stiratura sono state:
- alleggerire il ferro da stiro mediante sospensione dello stesso con dispositivo di bilanciamento;
- adottare tavoli da stiro regolabili in altezza, eventuali sedili di appoggio e pedana poggiapiede;
- alternare il più possibile le mansioni per evitare prolungate postazioni scomode e/o obbligate;
- verificare che l' illuminazione presso la postazione di stiratura sia sufficiente ed adeguata: si ricorda che, nelle postazioni che richiedono un maggior impegno visivo, il livello di illuminamento sul piano di lavoro deve essere di almeno 500 lux; i corpi illuminanti devono essere disposti in modo da non causare nè abbagliamento (diretto o riflesso) nè ombre sul piano di lavoro. La qualità della luce artificiale deve essere il più possibile simile alla luce solare e miscibile con essa (l'indice di resa cromatica deve avere un valore non inferiore all'85% e la temperatura di colore deve essere compresa tra 3000 e 4500° K);
Anche per quanto riguarda l’esposizione a PCE, non trascurabile, vengono fornite indicazioni di bonifica ambientale:
- applicare un rigoroso ciclo di asciugatura e deodorizzazione secondo il manuale di istruzione della macchina;
- accumulare gli indumenti lavati in zona ventilata ed aspettare possibilmente 24 ore prima di stirarla (oppure prolungare il periodo di deodorizzazione).
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PERTANTO IL PRESENTE PROFILO DI RISCHIO E’ DA LEGGERSI PER AVERE INDICAZIONE DESCRITTIVA SUI RISCHI PRESENTI NEL COMPARTO MA VERIFICARE SEMPRE SE VALORI LIMITE E ALTRO SIA STATO SUPERATO DA DISPOSIZIONI NORMATIVE SUCCESSIVE.
RIMANE COMUNQUE UN UTILE STRUMENTO PER AVERE INFORMAZIONI SUI RISCHI DI COMPARTO.
Fonte:Profili di rischio Inail
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