organizzazioni di volontariato e di promozione sociale

IL QUADRO NORMATIVO DI SSL NELLE ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E DI PROMOZIONE SOCIALE

Il presente lavoro propone un’analisi degli adempimenti in materia di salute e sicurezza rivolti alle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale di cui al D.Lgs. 81/2008 che si avvalgono dell’opera di soli volontari. Il tema della salute e sicurezza è stato affrontato nei Centri servizi per il volontariato e nelle Reti Associative Nazionali che, a partire dall’emanazione del D.Lgs. 117/17, hanno finanziato progetti formativi e promosso iniziative di sensibilizzazione sulla salute e la sicurezza per i propri affiliati.
Il quadro normativo attuale, le buone prassi adottate e le problematiche applicative riscontrate nelle associazioni consentono di evidenziare alcune opportunità e azioni da intraprendere per la semplificazione in tema di salute e sicurezza relativamente alle associazioni di cui sopra.

1. VOLONTARIO o LAVORATORE AUTONOMO?
Dal quadro normativo attuale, si rileva che per i volontari si applicano le disposizioni previste per i lavoratori autonomi. Il primo passaggio normativo che complica l’attuazione delle forme di tutela previste per le associazioni è proprio l’equiparazione del volontario al lavoratore autonomo, in quanto i volontari sono persone che mettono a disposizione tempo e capacità a favore della comunità, mentre i lavoratori autonomi compiono un’opera o servizio in cambio di un corrispettivo economico. Qui di seguito la correlazione tra il D.Lgs 117/17 Codice del Terzo Settore e la definizione di lavoratore autonomo.
L’art 17 comma 2 del D.Lgs.117/17 del CTS definisce che “Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”.
Nel D.Lgs. 81/2008 all’art.3 comma 12 bis, il volontario è equiparato al lavoratore autonomo, del quale si trova una definizione generica: “Il lavoratore autonomo è colui che si obbliga a compiere un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti di un committente, ricevendo in cambio un corrispettivo”.
Da questa prima correlazione di norme, si delineano per la stessa figura due funzioni di scopo differenti, che sembrerebbero evidenziare pochi elementi per una giusta equiparazione. Lo stesso avviene per il Presidente, equiparato al “Datore di lavoro” in termini di tutela di salute e sicurezza. Nei casi di associazioni che si avvalgono solo dell’opera di volontari, i presidenti, per configurarsi come datori di lavoro, dovrebbero rientrare nei termini stabiliti dall’art. 2 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.1 e tali rapporti andrebbero stabiliti mediante contrattazione collettiva. Inoltre il presidente, come il comitato direttivo, può avere un rapporto di collaborazione o essere a sua volta volontario dell’associazione e non titolare.

2. DISPOSIZIONI DI SALUTE E SICUREZZA PREVISTE PER LE ODV E APS
Le disposizioni di salute e sicurezza che connettono la gestione delle attività di volontariato e quelle di tutela della salute e sicurezza sul lavoro sono definite dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n.81, in particolare l’art.3 comma 12 bis2 e l’art. 21 del D.Lgs. 81/2008.
Secondo il comma 12 bis dell’art. 3, campo di applicazione, gli Enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari possono redigere un accordo per meglio definire le modalità di applicazione della tutela prevista dall’art. 21 del D.Lgs. 81/2008. Qui di seguito è stato inserito un esempio di accordo tra un ente del terzo settore e i suoi volontari, in cui sono individuati gli ambiti di tutela previsti dall’art. 21 del D.Lgs. 81/2008. Ai fini delle informazioni documentate da tenere in associazione è bene che la sottoscrizione avvenga prima dell’inizio dell’attività per conto dell’associazione.
Inoltre, sempre secondo il comma 12 bis dell’art. 3 del D.Lgs. 81/2008, nei casi in cui le associazioni operino in convenzione con un datore di lavoro, è bene che si facciano parte attiva nel richiedere l’informativa sui rischi da fornire ai volontari. Nell’informativa dovranno essere individuate le misure adottate e necessarie a eliminare o ridurre i rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro determinate dalle interferenze con le attività produttive dell’impresa. L’informativa può essere richiesta dall’associazione come allegato alla convenzione o successivamente alla stipula della stessa.


3. OBBLIGO DI DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO
Come noto, il D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. prevede tra gli obblighi principali delle aziende con lavoratori la nomina del servizio di prevenzione e protezione, la valutazione dei rischi, l’informazione e la formazione dei lavoratori, l’attività di sorveglianza sanitaria e il rispetto dei requisiti previsti dal decreto stesso in merito ai rischi specifici cui sono soggetti i lavoratori in virtù delle caratteristiche dei luoghi di lavoro e delle attività che sono chiamati a svolgere.
Nel 2014, la Federazione Italiana Cronometristi chiedeva con l’INTERPELLO N. 8/2014 del 13/03/2014 alla Commissione interpelli4 un parere in merito all’obbligatorietà della redazione del documento di valutazione dei rischi da parte delle associazioni che non hanno personale dipendente ma che si avvalgono dell’ausilio di volontari, nei confronti dei quali può essere disposto un rimborso spese.
La Commissione, richiamando la definizione di lavoratore di cui all’art. 2, comma 1, lettera a)4 del D.Lgs. 81/2008 e l’art. 3, comma bis, ritenne “il regime applicabile, per i soggetti che prestano la propria attività volontariamente e a titolo gratuito (o con mero rimborso spese) per le associazioni sportive dilettantistiche, di cui alla Legge n. 398/1991 e all’art. 90 della Legge n. 289/2002, sia quello previsto per i lavoratori autonomi di cui all’articolo 2222 del Codice civile, per i quali l’art. 3, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 dispone l’applicazione dell’art. 21. Inoltre, è opportuno evidenziare che, l’art. 3 comma 12-bis del decreto in parola, prevede anche che qualora i soggetti di cui sopra svolgano la loro prestazione nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro, questi è tenuto a fornire al soggetto dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali è chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla sua attività. Egli è altresì tenuto ad adottare le misure utili a eliminare o, ove ciò non sia possibile, a ridurre al minimo i rischi da interferenze tra la prestazione del soggetto e altre attività che si svolgano nell’ambito della medesima organizzazione. Restano fermi i principi generali di diritto che impongono al responsabile dell’impianto o dell’associazione sportiva dilettantistica che di esso abbia la disponibilità – da individuare secondo la normativa di settore che regola la materia – di predisporre adeguate misure di tutela nei confronti di chi venga chiamato ad operare nell’ambito delle attività di riferimento dell’associazione sportiva dilettantistica e che, pertanto, ne sanciscono la responsabilità secondo i principi comuni civili e penali nel caso di danni causati a terzi da cose in disponibilità.”
Alla luce dell’analisi dell’interpello, quindi, non possiamo evocare, in presenza di soli volontari, gli obblighi a carico del Datore di lavoro previsti dal D.Lgs. 81/2008. Eppure, la stessa applicazione dell’art.21 richiama una serie di adempimenti, quali l’individuazione dei DPI, strettamente connessa all’individuazione e la valutazione dei rischi da cui tali dispositivi devono proteggere.
Va detto che alcune reti di associazioni di volontariato si sono mosse in questa direzione, definendo proprie indicazioni per una valutazione dei rischi in termini semplificati utili ai fini di cui sopra. Ad esempio, la Rete Associativa Nazionale di Auser, nella campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza dei propri associati, ha realizzato un modello semplificato degli adempimenti5 previsti per gli Enti del Terzo Settore loro associati. Il modello semplificato degli adempimenti è stato presentato sotto forma di opuscolo con indicazioni generali applicabili al contesto associativo. Consapevoli che le attività svolte debbano essere effettuate in tutta sicurezza, è bene ricordare che gli E.T.S. sono vincolati alle attività elencate puntualmente dall’articolo 56del D.lg. 117/17 che, a esclusione di quelle di natura sociosanitaria, non necessitano di particolari strumenti di lavoro.

4. APPLICAZIONE DELL’ART. 21 PER I VOLONTARI
Oltre al comma 12 bis dell’articolo 3, il fulcro legislativo per la tutela dei volontari è riconducibile alle disposizioni dell’art. 21 del D.Lgs. 81/2008, riguardante le “disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi”7 che, di fatto, sembra equiparare la figura del volontario a quella del lavoratore autonomo, cosa evidentemente assai poco appropriata, così come già in parte espresso nei paragrafi precedenti.
Secondo il comma 1, lettera a) dell’art. 21, l’ETS dovrà garantire la conformità delle attrezzature di cui al Titolo III del D.Lgs. 81/2008. Per quanto riguarda le attrezzature messe a disposizione dall’ente con cui l’ETS ha stipulato una convenzione, pubblico o privato che sia, è dovere dell’ente stesso, oltre che dell’ETS, garantirne la conformità. Lo stesso vale nei casi in cui si utilizzino attrezzature provenienti da noleggiatori e concedenti in uso; l’art. 72 del D.Lgs. 81/2008 prevede che chi concede in uso attrezzature di lavoro senza operatore deve, al momento della messa a disposizione, attestarne il buono stato di conservazione, manutenzione ed efficienza ai fini della sicurezza.
Nell’art. 21 comma 1, lettera b) si richiede che l’ETS garantisca la consegna e l’utilizzo da parte dei propri lavoratori e volontari di dispositivi di protezione individuale conformi alle disposizioni di cui al Titolo III. La scelta del DPI, come già argomentato in precedenza, può avvenire solo dopo una valutazione dei rischi connessi all’attività da svolgere. Sarà bene che l’organizzazione di volontariato gestisca la documentazione attestante la consegna e la gestione dei DPI dati in utilizzo ai propri volontari.
Sempre tra gli obblighi dell’ETS, ai sensi del comma 1, lettera c) dell’art. 21, rientra la consegna del tesserino di riconoscimento, che consente l’identificazione dei volontari che svolgono la propria attività nei luoghi di enti pubblici o privati.
Secondo l’art.21 comma 2 del D.Lgs.81/2008 è prevista la facoltà per i lavoratori autonomi di svolgere a proprie spese la sorveglianza sanitaria e la formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.
Tale previsione sembra del tutto inattuabile nei confronti dei volontari, considerata la natura della prestazione, per definizione gratuita e spontanea. Tuttavia, per poterla eseguire efficacemente, occorre avere individuato i “rischi propri delle attività svolte”. Come si possono svolgere tali attività senza una, pur semplificata, valutazione dei rischi?
In alcuni territori, le associazioni, non avendo chiaro l’inquadramento normativo e le relative responsabilità assunte in questo quadro, si sono organizzate in modo autonomo, ad esempio proponendo delle giornate della salute e consentendo ai volontari di aderire alla visita medica. Gli oneri sono stati sostenuti con budget progettuali in modo da contenere i costi. Altre realtà hanno stipulato convenzioni con istituti di medicina presenti sul territorio o protocolli di intesa, lasciando ai volontari la facoltà di aderire alla visita medica.
Per la formazione, le associazioni più proattive cercano di trovare modalità per proporre corsi di salute e sicurezza ai propri volontari, ma si scontrano con difficoltà che talora sembrano frustrare i loro sforzi. Secondo la classificazione Ateco, le organizzazioni di volontariato rientrano in linea di massima nel settore S 94.99.508. Se si volesse ricondurre questo codice Ateco nell’alveo dell’Accordo Stato – Regioni del febbraio 2011, questo porterebbe a classificare gli enti di volontariato, ai fini della formazione per la salute e la sicurezza sul lavoro, tra le attività a rischio basso.
Tuttavia, ciò risulta improprio per varie ragioni:
1. L’ETS non è un soggetto economico e, se non ha dipendenti, come già è stato detto, non ha un datore di lavoro;
2. Gli ETS svolgono attività in molteplici settori, le cui attività non sempre sono classificabili a rischio basso e il volontario non è impiegato in una sola attività;
3. I programmi di formazione stabiliti dal citato Accordo Stato Regioni non sono pertinenti rispetto alle specificità organizzative di un ETS.
Pertanto, le associazioni che, sentendone la responsabilità, intraprendono percorsi formativi dedicati ai volontari in materia di salute e sicurezza, lo fanno senza poter contare su un programma di riferimento come quello messo a disposizione delle aziende. Sarebbe auspicabile caratterizzare la formazione sulla base dell’attività specifica che i volontari andranno a svolgere. In particolar modo, i piani formativi dovrebbero considerare il fattore relazione, determinante nell’ambito educativo e sociosanitario, così come la movimentazione di persone con difficoltà motorie.
In questo senso può essere d’aiuto la classificazione ICNPO9 (International Classification of Non profit Organizations) recentemente inserita nel Registro Unico degli Enti del Terzo Settore per caratterizzare le attività associative. Con l’utilizzo della Classificazione ICNPO si potrebbero determinare i profili di rischio, laddove presenti, e le conoscenze abilitanti da trasmettere in base alle attività svolte dalle associazioni.

5. ETS CHE OPERANO CON L'ORGANIZZAZIONE DI UN DATORE DI LAVORO
Secondo il censimento Istat 2016 delle istituzioni non-profit, la maggioranza degli ETS opera in convenzione con Enti Pubblici. Con l’introduzione dell’amministrazione condivisa10, Comuni, Province, Regioni o Enti Pubblici si sono dotati di un proprio protocollo di regolamentazione dei rapporti con gli Enti del Terzo Settore. Nell’elaborazione dei regolamenti, alla luce dei problemi illustrati in precedenza, come è stata interpretata la normativa sulla sicurezza rivolta alle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale? Dal campionamento di alcuni Regolamenti e analisi delle convenzioni stipulate tra Comuni ed ETS, è emerso un superamento dell’art.21 D.Lgs. 81/2008. Infatti, i requisiti a cui il volontario aveva possibilità di richiedere l’adesione (quali la sorveglianza sanitaria e i corsi di formativi sulla sicurezza) sono diventati requisiti contrattualmente obbligatori e preliminari all’affidamento dei servizi in co-progettazione con gli Enti Pubblici o Enti Privati. Sicuramente ciò può essere dovuto alle necessità della recente emergenza sanitaria, ma nel rientro delle condizioni ordinarie, questa situazione deve essere attentamente ponderata in un’ottica più aderente ai criteri di socialità e solidarietà propri del volontariato. Occorre altresì ricordare che per quanto previsto dall’art.3 comma 12 bis del D.Lgs.81/2008 specifiche responsabilità sono attribuite al datore di lavoro che affida, nell’ambito della propria organizzazione, attività ai volontari.11 Ad esempio, alcune associazioni di volontariato hanno redatto schede informative rischi da consegnare ai volontari che operano nelle attività associative.

6. LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA RIFERITA ALL’ART. 25 SEPTIES D.LGS. 231/01 (ART. 300 DEL D.LGS. 81/2008) PER ENTI DEL TERZO SETTORE
Per concludere la disamina, non resta che considerare che agli ETS, dotati o meno di personalità giuridica, sembra possa applicarsi la responsabilità amministrativa di cui al D.Lgs. 231/200112.
Tralasciando ogni altra considerazione sulle diverse fattispecie di reato configurate dal D.Lgs. 231/01, ci si limita a considerare quanto prevede l’articolo 25 septies, coincidente con l’art. 300 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., che recita: «Art. 25-septies (Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro)
1. In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del Codice penale, commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla Legge 3 agosto 2007, n.123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del Codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
3. In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del Codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.».
Pertanto, nel caso in cui si configurino tali fattispecie di reato, l’ente potrebbe rispondere in via amministrativa delle pesanti sanzioni economiche e interdittive previste dal D.Lgs. 231. D’altro canto lo stesso ente potrebbe, tuttavia, adottare e attuare, con tutte le difficoltà legate all’applicazione a un soggetto sostanzialmente destrutturato, un Modello di Organizzazione e Gestione – MOG, conforme a quanto prescritto dall’art. 30 del D.Lgs. 81/200813 e s.m.i. al fine di esimersi dalla “responsabilità amministrativa”.
IL MOG in questione ha come elemento centrale la “valutazione dei rischi” e tutte le attività conseguenti ai fini dell’effettività ed efficacia dell’azione prevenzionale.
Anche su questo punto occorre riflettere considerando che la normativa di riferimento per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro per il volontariato resta incentrata sull’art. 21 del D. Lgs. 81/2008 e s.m.i. Un’esperienza che possiamo richiamare dai libri del Forum del Terzo Settore ,che pubblica di una più articolata discussione che riguarda un sistema di autocontrollo applicabili alle ETS edita nel 2019 con le “Linee Guida per il codice di qualità e autocontrollo” in cui affronta il tema della responsabilità amministrativa degli Ets14.

7. CONCLUSIONI
L’augurio, in conclusione, è di essere riusciti a evidenziare, seppur sommariamente, un quadro argomentato di come la legislazione vigente affronti la necessità di tutela della salute e sicurezza dei volontari e di come ciò non sia espresso in modo armonico a livello normativo.
Gli enti del terzo settore (Aps e Odv), che ormai spaziano in ambiti di attività molteplici e sempre più estesi, hanno difficoltà a interpretare il dettato legislativo. I tentativi di qualcuno di darsi proprie regolamentazioni, interpretando in termini estesi le norme pur in carenza di riferimenti certi, rischiano di risultare inadeguati al fine di tutelare efficacemente i volontari e garantire un’efficace rispondenza alle relative responsabilità giuridiche. Si ritiene che i contenuti dell’art. 21 del D.Lgs. 81/2008 potrebbero essere espressi più compiutamente e in modo adeguato alle peculiarità del mondo del terzo settore, separandoli da quelli dei “lavoratori autonomi” che non sembrano aderenti e applicabili tout court ai “volontari”. Si potrebbe meglio definire la tipologia di volontario al quale destinare la tutela, prediligendo i volontari sistemici15, e individuare gli ambiti della classificazione ICPNO per i quali effettivamente occorre attivare forme di tutela idonee. Inoltre miglioramenti potrebbero essere dati nell’indicare la definizione delle attività di valutazione dei rischi, dalle quali far discendere, ad esempio, la scelta dei DPI e le modalità e i contenuti della formazione per gli operatori del terzo settore. Infine, declinare meglio l’applicabilità dell’art. 25 septies del D.Lgs. 231/01, in particolare le modalità di adozione ed efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione con efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa sulla base di un modello semplificato degli adempimenti per gli Enti del Terzo Settore.
Pur se lodevoli, gli sforzi di alcune associazioni non sembra siano riusciti a risolvere le difficoltà. Tuttavia, in alcuni casi le soluzioni proposte possono prefigurarsi come buone prassi da condividere con altre realtà associative e dalle quali si può partire per facilitare un giusto approccio di prevenzione e di tutela dai rischi per la salute e la sicurezza dei volontari impegnati in molte utili attività a beneficio delle comunità in cui sono inseriti e di cui sono parte.

Tratto da Il quadro normativo di SSL nelle organizzazioni di volontariato e di promozione sociale” di Fabrizio Benedetti – Inail - Consulenza tecnica salute e sicurezza e Francesca Biasiotti –Auser- Consulenza tecnica salute e sicurezza nel Terzo Settore

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