Il Manuale di autodifesa del datore di lavoro
Il Manuale di autodifesa del datore di lavoro in materia di prevenzione e sicurezza luoghi di lavoro.
Il manuale è realizzato dallo Spisal di Treviso ed è in continua elaborazione.
Autodifesa da chi ? (o da che cosa ?)
In primo luogo … (con un po’ di autoironia, … non ce ne vogliano quelli “troppo seri”), dagli autori di questo manuale, che si trovano a fare un lavoro difficile, dove c’è poco spazio per valutazioni individuali, poiché hanno a che fare con norme di carattere quasi sempre penale. Chi opera in vigilanza può soltanto cercare di prevenire le situazioni irregolari promuovendo in tutti i modi, come in questo caso, l’adozione di sistemi di lavoro sicuro ma, quando si trova di fronte ad illeciti non c’è scelta (… se, qualche volta, come si diceva sopra, ci sono colpe anche altrove, la “posizione di garanzia” è del “datore di lavoro”, perciò quasi sempre responsabile delle violazioni).
In secondo luogo, dalla falsa certezza di aver fatto quello che si doveva fare; anche se conosciamo consulenti aziendali e medici competenti preparati e animati, al pari degli imprenditori “virtuosi”, dal desiderio di erogare una prestazione professionale di elevata qualità nell’interesse del loro cliente, non sempre tutti svolgono correttamente questo compito. Poiché, per gli scopi di questo lavoro, la “parte debole” è l’imprenditore “in buona fede”, la difesa è anche da quei consulenti, pur se pochi, che non lo sono o che non hanno una preparazione adeguata al ruolo che svolgono. Poiché il datore di lavoro, suo malgrado, risponde anche della scelta che fa del consulente (culpa in eligendo) e del mancato controllo sul suo operato (culpa in vigilando), cercheremo di dargli gli strumenti per capire se sta investendo correttamente il suo tempo e il suo denaro. Certamente ci sono casi in cui l’imprenditore in malafede e il consulente in malafede trovano un terreno in comune (di solito tramite Internet) su cui intendersi e in cui vendere e comprare (a costi più o meno bassi ma comunque eccessivi per quello che rendono) un po’ di “carta” per salvare le apparenze; non sono questi i soggetti che ci interessano qui (per loro c’è già la vigilanza ! … e, questa volta, senza grandi patemi da parte nostra).
Ma, prima di tutto, dai guai ! Un infortunio o una malattia professionale con conseguenze gravi o mortali, oltre alle incommensurabili sofferenze umane, possono avere pesanti ricadute economiche fino a determinare la fine di un’azienda. Non è questo il luogo per parlare approfonditamente di percezione del rischio ma è proprio questo il problema; spesso si accetta di compiere azioni insicure pensando di saper gestire la situazione e che la possibilità di un infortunio sia molto remota. E’ vero che spesso non succede nulla anche se si violano le regole di sicurezza, tuttavia gli eventi gravi capitano, prima o poi, e quando succedono non c’è più spazio per rimediare. L’unica possibilità è quella di non accettare il rischio! … ma prima è necessario caratterizzarlo, conoscerlo … in sostanza fare la Valutazione del Rischio.
L’indice di questo manuale è “virtuale”, nel senso che è “nella nostra testa” e i capitoli vengono pubblicati man mano che vengono prodotti, non necessariamente nell’ordine numerico previsto nel piano ordinato dell’opera, ma in base a criteri “pratici” di priorità (di solito ciò che più spesso si contesta alle aziende). La numerazione dei capitoli è quella dei titoli e dei capi del D.Lgs 81/08, in modo da avere già un primo riferimento normativo (per questo siamo nel capitolo 0, che di solito non esiste, e potrebbero essere assenti alcuni capitoli con il conseguente salto di numerazione).
Lavorare in sicurezza non è una cosa semplice;
talvolta i tentativi di semplificazione svuotano di contenuto la valutazione dei rischi e la trasformano in un adempimento burocratico.
In realtà, se il processo di valutazione è svolto con concretezza, si semplifica da solo se i pericoli non ci sono o sono minimi. Dal nostro canto non possiamo fare altro che aiutarvi a “gestire la complicazione”.
Perché un manuale ?
Può apparire strano che sia lo SPISAL a produrre un “manuale di autodifesa per il datore di lavoro” ma non è così; l’idea nasce dal disagio che noi stessi proviamo quando dobbiamo, nostro malgrado, adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro nei confronti di imprenditori che, in assoluta buona fede, pensavano di aver fatto tutto ciò che è necessario affidandosi a persone esperte, investendo risorse economiche anche notevoli senza ottenere i risultati attesi. Ovviamente non sempre è così ma, poiché pensiamo che con questi imprenditori volenterosi (come con i lavoratori) non ci sia una contrapposizione ma semplicemente si perseguano gli stessi obiettivi (salute e sicurezza dei lavoratori contestualmente alla necessità di tutelare l’attività produttiva e il lavoro) guardando il problema da punti di vista diversi, riteniamo nostro dovere spenderci in un’attività di assistenza alle aziende che, anche se non può sempre semplificare, almeno renda più facile gestire le cose complicate (e, in tema di sicurezza sul lavoro, le situazioni difficili dal punto di vista tecnico e normativo sono molte).
Uno strumento in crescita
Piuttosto che cercare la perfezione e la completezza, abbiamo preferito uscire non appena abbiamo raggiunto un livello minimo di informazioni che riteniamo utili per avviare in qualche modo la discussione su come migliorare la valutazione e la gestione dei rischi sul lavoro che risulta spesso ancora carente nonostante la sua introduzione nella generalità delle lavorazioni risalga al 1994 con il DLgs 626/94. Del resto, non avendo la pretesa di scrivere una linea guida, siamo aperti a tutti i contributi, da qualunque parte provengano, per migliorare il contenuto e aggiornarlo continuamente purché resti inalterato lo spirito che è quello di cercare un’interpretazione aderente alla normativa cogente laddove sia necessario. Daremo anche qualche indicazione, e queste potrebbero essere opinabili, per andare oltre il “minimo” previsto dalla legge, cosa doverosa ma, anche questa, poco praticata.
A chi è rivolto ?
Il manuale è rivolto agli imprenditori che “amano” la propria azienda e la considerano frutto del loro lavoro, che la sentono come uno strumento destinato a produrre effetti positivi per la qualità del prodotto e per il lavoro che offre ai propri dipendenti, che condividono il principio etico e costituzionale della tutela della salute e della sicurezza dei collaboratori come una priorità.
E’ rivolto anche a chi, da consulente tecnico o medico competente, lavora con le aziende in uno spirito di “sana” collaborazione, perché sappia cosa si attende legittimamente un imprenditore informato e ben orientato.
Perché talvolta sono citate le sanzioni previste in caso di inadempienza ?
Non certo per fare “terrorismo”. La sanzione prevista dalla legge è un “messaggio” che sottolinea l’antigiuridicità di un comportamento. L’importo della sanzione è connesso alla gravità della violazione e questo ci aiuta a riflettere sull’importanza di un adempimento previsto dalla legge. Tuttavia non si deve dimenticare che ci sono alcune norme prive di sanzione che assumono rilievo in caso di infortunio o di malattia
professionale perché sono il presupposto della “colpa” per il reato di lesioni personali colpose o di omicidio colposo. Per questo motivo non ci sono indicazioni della norma che si possono ignorare.
Consigliamo di inziare la lettura con il capitolo 0.0, che spiega lo spirito con cui abbiamo prodotto questo documento, sottoposto ad aggiornamento in progress ed aperto al contributo dei lettori.
Burocrazia e valutazione del rischio
Iniziamo il nostro lavoro commentando una parola un po’ abusata negli ultimi tempi: “burocrazia”. E’ un po’ “di moda” lamentarsene e, visto il significato negativo insito nel termine, non sarebbe nemmeno sbagliato farlo; senonché, di solito, si ingloba in questa denominazione tutto ciò che in qualche modo limita la nostra libertà d’azione e ciò di cui, al limite, siamo noi a non capire (o a non voler capire …) lo scopo e l’utilità. Il disagio che i cittadini provano nei confronti della pubblica amministrazione, accentuato dagli scandali che da un lato coinvolgono i politici e dall’altro i pubblici dipendenti, visti come “caste” di privilegiati, spiegano, anche se non giustificano, l’avversione verso ogni adempimento che viene vissuto come una “vessazione” da chi è impegnato in un’attività imprenditoriale o professionale.
NOTA: questo capitolo è un po’ “filosofico” ma necessario per comprendere lo spirito con cui ci si deve avvicinare ai problemi di sicurezza; se l’approccio è burocratico (sbagliato) il risultato non può non esserlo.
2. La valutazione dei rischi e la conseguente elaborazione del documento NON sono burocrazia.
Riferimenti normativi:
PARTE GENERALE - DLgs 81/08: art. 15 c. 1 lett. a), art. 17 c. 1 lett. a); art. 25 c. 1 lett. a), art. 26, art. 28, art. 29, art. 33 c. 1 lett. a)-b)-c), art. 35 c. 2 lett. a).
PARTI SPECIFICHE nei titoli del DLgs 81/08 successivi al primo: art. 66, art. 71 c. 2, art. 76 c. 2, 77 c. 1 lett. a)-b), art. 80, art. 83, art. 84, art. 85, art. 96 c. 1 lett. g), art.
100, art. 163, art. 168, art. 174, art. 181, art. 190, art. 202, art. 209, art. 216, art.
223, art. 236, art. 249, art. 271, art. 290.
Note: Come è vero che non si può concepire la sicurezza come qualcosa di separato dal lavoro, opzionale e sovrapposto, come se ci fosse una dicotomia tra le due cose, non si dovrebbe neppure pensare che il documento di valutazione dei rischi, per quanto necessario, possa essere sufficiente per il solo fatto di esistere. Quand’anche fosse perfetto sul piano dei contenuti, cosa che non capita quasi mai, la valutazione del rischio è un’attività in continuo divenire; in ogni momento, ogni azione deve essere preceduta dall’analisi di ciò che potrebbe verificarsi (pericolo), dal calcolo della probabilità (rischio) che ciò succeda e dall’individuazione delle modalità di lavoro da attuare per ridurre il rischio. Il documento è “un mezzo” per comunicare e rendere evidente il processo di valutazione dei rischi ma non è “il fine”; il documento viene reso “un adempimento burocratico” più o meno costoso da chi lo considera una cosa inutile, formale, da tenere in forma cartacea, a prescindere dal contenuto e soprattutto da chiudere nel cassetto finché non sarà lo SPISAL (o altro organo di vigilanza) a richiederlo.
3. Il documento diventa burocrazia quando lo si interpreta come “adempimento burocratico”; è semplice riconoscere questa impostazione perché i documenti non fanno altro che ripetere ciò che già dice la legge e contengono analisi generiche dei rischi, di validità più o meno generale, non calate nella realtà aziendale. Ma, soprattutto, indicano misure di prevenzione del tutto generiche.
Note: Quando si interpreta la valutazione dei rischi come burocrazia, si acquista un prodotto inutile per l’azienda. L’inutilità si desume dal fatto che molte pagine sono il prodotto di un “copia incolla” in cui sono pedissequamente riportate molte pagine del testo della norma (al solo scopo di aumentare il costo ?); infatti, dove è necessario citare una norma, è sufficiente il riferimento (articolo, comma) poiché si può dare per scontato che il contenuto sia noto. Altro segno di inutilità è la descrizione generica dei pericoli e la valutazione dei rischi effettuata con metodi approssimativi; spesso, in questi casi, la definizione delle misure di prevenzione e protezione è generica, non specifica dell’attività aziendale (altro copia incolla ?) o, ancora peggio, conclude con la dicitura “il datore di lavoro adotterà misure idonee” … “fornirà DPI idonei” etc. In realtà cosa è idoneo per la sicurezza e per la salute deve essere definito in dettaglio proprio nel documento che firma il datore di lavoro.
4. Il documento di valutazione dei rischi NON serve allo SPISAL. Note: Premesso quanto indicato nei punti precedenti, succede molto spesso che il documento sia firmato dal datore di lavoro che tuttavia ne ignora il contenuto. Anche se è evidente, per la complessità e la molteplicità degli argomenti, che vi sia la necessità di collaborazione di altre figure (RSPP, Medico competente, consulenti), è sbagliato pensare che il documento sia ciò che serve per superare positivamente il controllo dell’organo di vigilanza che, invece, prende visione sia del documento sia dell’ambiente di lavoro; è molto difficile che vi sia un ambiente di lavoro completamente conforme alle normative sulla sicurezza se il documento (e la valutazione a monte) sono soltanto una produzione “di facciata”. Viceversa è possibile che il documento abbia contenuti appropriati senza che ciò incida sulla reale implementazione della sicurezza in azienda. In entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo, lo SPISAL parte dalla verifica dell’efficace (in questo caso … inefficace) attuazione delle misure di sicurezza (il fine) e non dal documento (il mezzo). Anche nel caso di un’indagine per infortunio o malattia professionale, è l’attuazione delle misure di prevenzione e non la semplice esistenza del documento a definire se ci sono o no responsabilità del datore di lavoro a prescindere da ciò che c’è scritto nel documento. E’ chiaro che un documento con contenuti scadenti peggiora la posizione del datore di lavoro ma un documento perfetto non lo esonera da responsabilità. Bisogna allora interpretare correttamente il ruolo “strumentale” del documento di valutazione dei rischi che dovrebbe essere il modo corrente di gestire la sicurezza; quindi deve servire al datore di lavoro (che con esso recepisce anche i suggerimenti degli eventuali consulenti) e non allo SPISAL.
5. Il documento di valutazione dei rischi non è “un esercizio di stile”. Chi lo scrive non è il legislatore.
Note: Spesso chi scrive i documenti, che dovrebbero
essere l’esplicitazione della
valutazione, si esprime con elaborate previsioni omnicomprensive e con prescrizioni generiche applicabili a svariate situazioni (a volte sono le stesse degli articoli del DLgs
81/08). Se il legislatore si esprime in modo generico, è giustificato dal fatto che espone una regola o un concetto che deve poi essere applicato in svariate realtà; chi decide le misure di prevenzione da utilizzare in un ambiente aziendale, ben individuato e caratterizzato per il tipo di lavorazione svolta, non può essere generico nei contenuti. La legge può dire, ad esempio, che si adotteranno DPI idonei perché non elenca in modo esaustivo tutte le situazioni ma il datore di lavoro deve confrontare i rischi (quelli residui, dopo aver adottato le protezioni collettive) presenti nella sua azienda con le caratteristiche delle varie tipologie di DPI e poi deve individuare quelli idonei e adeguati per ciascuna situazione, caratterizzandoli secondo i criteri di marcatura CE in modo che sia poi facile acquistare quelli “giusti”.
6. E’ inutile riportare nel documento di valutazione dei rischi quello che dice la legge
Capita spesso di trovare nei documenti di valutazione dei rischi
intere pagine in cui viene
pedissequamente ricopiata la legge. Ciò è del tutto inutile, basta citare le norme se necessario, comporta uno spreco di carta ed è dannoso perché riduce la fruibilità del documento che deve essere snello, agevole e facile da usare. Purtroppo, la proliferazione di pagine di questo tipo spesso serve soltanto a giustificare il costo di un documento che non vale ciò che viene fatto pagare al datore di lavoro.
7. E’ inutile riportare in dettaglio nel documento di valutazione dei rischi il metodo di valutazione se questo è contenuto in una norma o in una linea guida validata.
In qualche caso è la legge che determina la modalità per effettuare la valutazione dei rischi, in altri casi è lasciata più o meno ampia facoltà di scelta al datore di lavoro; se viene adottato il metodo previsto dal una norma tecnica o da una linea guida pubblicata da un ente pubblico competente, non è necessario riportare in dettaglio la metodica, è sufficiente la citazione, limitandosi al necessario per interpretare i risultati. Il metodo deve essere descritto, anche in dettaglio, se non in qualche modo “validato” poiché il datore di lavoro ha l’onere di dimostrarne l’idoneità allo scopo. Si vedano, in proposito, le definizioni di norma tecnica, buona prassi, linea guida contenute nell‘art 2 comma 1 lett. u), v) e z) del DLgs 81/08.
8. Il documento di valutazione dei rischi deve essere utile per il datore di lavoro e deve “valere” la spesa sostenuta per la sua redazione.
Riferimenti normativi: art. 28 comma 2 lett. a)
Note: Qui si cita in particolare la parte finale del riferimento normativo ove prevede che il documento sia redatto con criteri di “semplicità, brevità e comprensibilità in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione”. Ovviamente è tutt’altro che facile essere contemporaneamente semplici, brevi, comprensibili e anche completi; ciò vuol dire, in primo luogo, evitare giri di parole inutili e puntare a definire in modo chiaro i problemi di sicurezza e le soluzioni. Ciò spiega perché un lavoro ben fatto può richiedere impegno (e quindi spesa) ma la validità del prodotto consiste nell’utilità che ne trae il datore di lavoro; se non ricava indicazioni pratiche e utili per gestire la prevenzione, probabilmente dovrebbe chiedersi se il prodotto che acquista vale spesa; sarebbe opportuno contrattare prima, con i consulenti, quello che si vuole avere e cioè uno strumento operativo con indicazioni precise e tecnicamente corrette che entrino nel merito dei problemi aziendali. Se la produzione del documento e l’effettuazione della valutazione dei rischi vengono gestite in questo modo, il datore di lavoro ben presto “scoprirà” che non può estraniarsi dal processo ma dovrà affrontarlo con continuità assieme ai suoi collaboratori.
9. La valutazione dei rischi è un’attività continuativa, contestuale allo svolgimento del lavoro.
Riferimenti normativi: vedi punto 2 e, in particolare art. 28 comma 3 bis
Note: Riprendendo il concetto espresso nel punto precedente, in molte parti del DLgs
81/08 viene ribadito che qualsiasi modifica dell’attività produttiva deve essere preceduta dalla valutazione dei rischi. Può sembrare banale, perché dovrebbe essere logico chiedersi se quello che si dovrà fare può essere pericoloso, purtroppo non sempre ciò succede e molti infortuni gravi avvengono per attività estemporanee di cui non sono stati valutati i rischi. Recentemente, l’art. 13 della Legge 30/10/2014 n. 161, recante “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013-bis”, ha modificato il testo unico; quasi immediatamente l’attenzione dei commentatori si è rivolta alla parte che prevede che “…. Anche in caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell’adempimento agli obblighi …” in attesa di redigere il documento di valutazione dei rischi (DVR entro 90 giorni). Tutti si sono subito preoccupati della “formalità” della documentazione di questa attività e non della sostanza; in realtà, l’attività di valutazione si dimostra spesso per il solo fatto di averla svolta, nel senso che il datore di lavoro avrà certamente provveduto a procurarsi ciò che è necessario per eseguirla (ad esempio documentazione tecnica delle attrezzature, schede di sicurezza degli agenti chimici, misure strumentali, istruzioni per i lavoratori e altro); la norma lascia ampia facoltà per quanto riguarda il
mezzo di prova, anche senza fare ricorso a “autocertificazioni, timbri, bolli etc.” …. Se si trova traccia della valutazione (soprattutto sul versante applicativo con le necessarie ricadute nell’ambiente di lavoro) non ha senso pretendere un adempimento formale temporaneo in attesa di quello definitivo (DVR) [… questo lo diciamo anche per i nostri “colleghi” …].
10. Devono essere valutati tutti i rischi, anche soltanto per escluderne la presenza.
Riferimenti normativi: vedi punto 2 e, in particolare, art. 28 c. 1 lett. a)
Note: La normativa elenca una serie di fattori di rischio potenzialmente presenti negli ambienti di lavoro; poiché devono essere valutati “tutti i rischi”, nel documento devono essere presi in considerazione sistematicamente tutti i fattori di rischio, anche soltanto per escluderne la presenza. Ciò permette un approccio sistematico (come se fosse una check list) che spesso aiuta a non “dimenticare” qualche aspetto pericoloso ma poco evidente.
11. Il medico competente deve collaborare alla valutazione dei rischi.
Riferimenti normativi: art. 18 comma 1 lett. g); art. 25 comma 1 lett. a); art. 29 comma
1.
Note: La partecipazione alla valutazione dei rischi è un obbligo per il medico e anche per il datore di lavoro che deve controllare la sua attività. Questa attività è parte fondamentale e non eludibile dell’incarico di medico competente che non può essere limitato soltanto alla sorveglianza sanitaria. Ovviamente il medico collaborerà per le parti che riguardano la sua specifica professionalità, soprattutto in tema di prevenzione delle malattie professionali, di scelta dei dispositivi di protezione e per gli aspetti di igiene del lavoro e tossicologia. Il mancato coinvolgimento del medico nella valutazione dei rischi potrebbe essere il presupposto di colpa in caso di lesioni personali o omicidio colposo per malattia professionale a carico sia dello stesso medico che del datore di lavoro.
12. Per effettuare la valutazione dei rischi è necessario il coinvolgimento del rappresentante dei lavoratori (RLS). Riferimenti normativi: art. 50 comma 1 lett. b)
Note: Il rappresentante dei lavoratori deve essere consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi e alla predisposizione delle misure di sicurezza; naturalmente il RLS non è autore della valutazione e non ne ha la responsabilità ma non è nemmeno un soggetto passivo, coinvolto soltanto alla fine della stesura del documento per firmarlo attestando “la data certa”. Soprattutto nei casi in cui ci sono tempi di lavoro da stimare per poter calcolare il livello i esposizione (es. rumore) è opportuno che ci sia una condivisione di questo paramento con i lavoratori e il loro rappresentanti. Inoltre, il rappresentante dei lavoratori può fornire, ancora in fase
preliminare di valutazione, il punto di vista dei soggetti esposti ai rischi, che conoscono bene i problemi che possono derivarne, e quindi migliorare il processo stesso di valutazione.
13. La sicurezza non è un costo (se è fatta bene).
Note: Ci sono tre modi di intendere la questione:
Tutto quello che si fa per sicurezza è un costo in più
Le spese per la sicurezza sono un investimento ed evitano il rischio di gravi ripercussioni economiche in caso di infortunio o malattia professionale
Qualche volta, lavorando in sicurezza, si risparmia.
Il primo modo di pensare si commenta da se; se siete arrivati a leggere fin qui, non è il vostro (e di ciò … siamo contenti ….).
Il secondo modo ha sicuramente una sua validità; ci sono numerosi studi su costi diretti e indiretti degli infortuni, di solito questi ultimi sono molto alti, tra cui citiamo “IL COSTO DELL’INFORTUNIO NELL’IMPRESA PADOVANA - Stima economica della non sicurezza sul lavoro” prodotto da Confindustria di Padova in collaborazione con CURA (Consorzio Universitario di Ricerca Applicata). Vale la pena di leggere e pensare cosa succederebbe alla propria azienda se …
Il terzo punto di vista è quello che merita un po’ più di attenzione perché, meno pessimisticamente, non parte dal danno ma dal vantaggio che la sicurezza offre; spesso, operando in condizioni di sicurezza, il lavoro è più agevole e spedito e ciò si traduce in un risparmio di tempo (… che è anche denaro). In altri casi le attrezzature intrinsecamente sicure, l’ausiliazione meccanica della movimentazione dei carichi, l’automazione e altro possono ridurre il numero di lavoratori a rischio, l’esposizione al rischio o aumentare la produzione. In tutti questi casi c’è un vantaggio economico diretto associato ad una maggiore sicurezza. La condizione perché ciò succeda è una ricerca “intelligente” della soluzione migliore (cioè di quella adatta all’azienda); perché la sicurezza non sia una spesa inutile, bisogna investire in soluzioni efficaci, che forse richiedono un po’ di impegno iniziale per essere concepite, ma che poi rendono anche in termini economici. Lo ripetiamo perché non è inutile: ciò succede se non si concepisce la sicurezza come “burocrazia”. In alcuni casi viene chiesto all’imprenditore di indicare i costi della sicurezza; se da un lato ciò ha una giustificazione (a questi costi non si può rinunciare) dall’altro sostiene l’idea che il lavoro è una cosa e poi, a parte, c’è la sicurezza, come si trattasse di due aspetti completamente separati; in realtà succede che in cantiere l’opera provvisionale che viene addebitata alla sicurezza serve anche a fare “bene” il proprio lavoro. Dovrebbe quindi passare l’idea che la buona tecnica per fare il lavoro è quella sicura. Invece siamo tradizionalmente abituati a concepire il lavoratore bravo ed esperto come colui che “sa fare senza farsi male” in condizioni di rischio (muratore sul tetto privo di protezioni, falegname che usa macchine prive di ripari etc); ma, prima o poi …..
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Attualmente sono disponibili:
Capitolo 0.0 - Il manuale
Capitolo 1.3 - Buracrazia e valutazione dei rischi
Capitolo 9.1 - La valutazione del rischio chimico aggiornamento 04/02/2016
Prossima uscita: CANCEROGENI
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