Anche le lampadine al led finisco sul banco dell’accusa: secondo uno studio francese, infatti, sono dannose per la vista. La fototossicità dei diodi emettitori di luce a dosi molto elevate è già stata documentata e provata, ma questa nuova ricerca condotta da Arthur Krigel e pubblicata su Elzevier, mirava a testare la tossicità del led allo stesso livello di luminosità che viene utilizzata quotidianamente in case o luoghi di lavoro.
Nell’Unione Europea, ed in Italia, la radiazione ottica è considerata nella direttiva bassa tensione (LVD), applicata ai prodotti elettrici operanti a tensione alternata 50 – 1000 V o tensione continua 75 – 1500 V. La direttiva LVC richiede il rispetto della norma IEC 62471 rinominata EN 62471:2008 ed il suo rispetto permette l’apposizione del marchio CE e la vendita nel mercato Europeo
Non di rado si legge della pericolosità dei LED per la nostra vista. Il pericolo sarebbe dato dalle piccole dimensioni della sorgente che porta a luce molto concentrata e dallo spettro d’emissione che ha un picco nel blu dannoso per l’occhio. Vorrei analizzare in dettaglio come stanno realmente le cose, grazie anche alle pubblicazioni di Leslie Lyons, membro dei comitati BSI, IEC e TS76 sulla sicurezza dalle radiazioni ottiche e sistemi laser, da cui ho tratto questo mio articolo che ho diviso in tre parti per la vastità degli argomenti.
Lo studio è stato svolto testando per 24 ore quattro livelli di luminosità su due tipi di topi, per misurarne la degenerazione dei fotorecettori. Come riporta Le Monde, che ha dedicato un servizio di analisi alla ricerca, l’esposizione a livelli molto elevati (6000 lux) della luce emessa dai diodi, conferma quanto studi precedenti dicevano: il grande numero di danni, sia nei ratti albini che sui ratti non albini. La novità sta negli effetti con livelli di illuminazione inferiori. A differenza di altri tipi di fonti di luce testate (lampade fluorescenti, tubi fluorescenti a catodo freddo), la squadra ha trovato una perdita dei fotorecettori nei ratti non albini dopo una prolungata esposizione di ventiquattro ore. La squadra quindi ha sottoposto i due tipi di ratti all’esposizione ciclica per periodi di una settimana e un mese, alternando 15 ore di illuminazione con 12 di buio. Dopo trenta giorni, solo i ratti albini, i cui occhi sono più sensibili e fragili, hanno mostrato una perdita dei fotorecettori. I topi “normali”, invece hanno subito lesioni solo da una luminosità di almeno 1500 lux, un livello tre volte superiore all’esposizione media dell’uomo. Inoltre, le lesioni ai ratti albini riguardano principalmente le luci blu e verdi emesse dal diodi. I ratti esposti a 500 lux di una luce bianca emessa dai Led, invece, non hanno registrato alcuna differenza con i topi del gruppo di controllo.
Il dato più interessante dello studio è dunque la degenerazione vista nei ratti “normali”, quando vengono esposti per ventiquattro ore. Un dato che potrebbe essere da non sottovalutare per chi lavora per lunghi turni in ambiente costantemente illuminati a led. Sembra che la luce emessa dai led sia più dannoso che altri tipi di illuminazione quando l’esposizione è prolungata e le pupille si dilatano per l’esperienza. Anche se è troppo presto per delle conclusioni sui rischi reali della tecnologia a led sui nostri occhi, questi risultati indicano un fastidio superiore rispetto ad altre tecnologie di illuminazione, in particolare con l’esposizione prolungata. Come ricordato dagli autori, molti fattori influenzano l’esposizione e la fototossicità di luce (il diametro delle pupille, la geometria del volto, la frequenza e l’intensità, la durata dell’esposizione, età o il colore dell’iride). Essi sottolineano inoltre che l’esposizione alla luce prodotta dai Led non è stata oggetto di numerosi studi. Ulteriori ricerche saranno necessarie per chiarire gli effetti di questo tipo di illuminazione sull’occhio umano.
Sono tre gli scenari da prendere in considerazione: esposizione della pelle, della superficie esterna dell’occhio (cornea, congiuntiva e lenti) e della retina.
Una parte della luce che incide sulla pelle è riflessa, la restante è trasmessa attraverso l’epidermide ed il derma. I rischi principali sono nell’esposizione agli UV, i quali come gia detto danneggiano il DNA dando origine ai familiari eritemi e scottature. Gli UV causano anche la produzione di radicali liberi i quali possono attaccare il DNA e le altre cellule della pelle come il collagene, proteina che da elasticità alla pelle. Se danneggiata causa elastosi e la formazione di macchie ed invecchiamento precoce della pelle. Dopo ripetute esposizioni agli UV la pella attiva un meccanismo di protezione: l’inspessimento degli strati superiori che riduce la trasmissione degli UV e la produzione di melanina che assorbe gli UV oltre a rendere la pelle più scura (abbronzatura).
L’esposizione delle strutture superficiali dell’occhio hanno una risposta analoga alla pelle. Il rischio principale è dati dai raggi UV che possono causare fotocheratite. E’ una risposta infiammatoria, simile alla scottatura, che si verifica nella cornea e nella congiuntiva. Un altro danno possibile è la caratta da UV delle lenti mentre frequenti ed elevati livelli di esposizione agli IR possono causare la cataratta da infrarosso.
I danni alla retina si hanno solo con raggi tra i 300 nm ed i 1400 nm. Il danno dominante per esposizioni superiori ai 10 secondi è quello fotochimico da luce blu (fotoretinite), dovuto alla produzione di radicali liberi che danneggiano sia i fotoricettori che l’epitelio pigmentato retinico (RPE – uno strato di cellule sulla superficie esterna della retina che supporta la funzione dei fotorecettori). Per esposizioni di pochi secondi prevale il rischio da interazione termica la quale può causare la denaturizzazione di proteine e componenti chiave della retina.
L’occhio ha diversi meccanismi di protezione ma solo dalla luce visibile. Questi includono la chiusura della palpebra e la restrinzione della pupilla, assicurando che la retina non sia esposta di continuo.
Nel 2006 la IEC adotta le linee guida della CIE S009/E-2002 e pubblica assieme alla CIE la IEC 62471:2006 “Sicurezza fotobiologica delle lampade”. Nel 2008 esce la versione europea, EN 62471:2008. La norma fornisce le linee guida per la valutazione e il controllo dei rischi fotobiologici derivanti da tutte le lampade e apparecchi di illuminazione alimentati elettricamente, compresi i LED, nella gamma di lunghezze d’onda da 200 nm a 3000 nm.
Sicurezza di prodotto: la determinazione del gruppo di rischio
Argomento di rilevanza primaria, causa dell’aspetto puntiforme e l’elevata intensità luminosa dei LED di ultima generazione, è la sicurezza fotobiologica connessa alla tutela della salute degli utilizzatori, ovvero la tutela nei confronti della nostra retina affinché non subisca una lesione irreversibile a causa di una sorgente luminosa fissata per un tempo considerevole.
Priorità assoluta per le aziende è riuscire a determinare il gruppo di rischio del proprio prodotto con metodi e strumenti che i costruttori possano permettersi senza oneri elevatissimi per acquisto di strumentazione estremamente professionale come era richiesto dalla EN 62471. Generalmente in condizioni di utilizzo ragionevolmente normali il Gruppo di Rischio è sempre al di sotto del Gruppo 2, ovvero livello per cui esiste un “potenziale effetto dannoso” e quindi deve essere appropriatamente segnalato e marcato.
Novità in tal senso sono arrivate alla fine del 2012 con il recepimento del TR 62778 “Application of IEC 62471 for the assessment of blue light hazard to light sources and luminaires” da parte del CEI, con la norma CEI 34-141, che finalmente porta in campo un metodo di determinazione del gruppo di rischio semplificato ed applicabile ad un ampissimo parco di LED utilizzati ad oggi.
Citando testualmente il sommario: “Questo Rapporto Tecnico fornisce una guida per quanto riguarda la valutazione del rischio da luce blu di tutti i prodotti di illuminazione che emettono principalmente nello spettro del visibile (tra 380 nm e 780 nm). Attraverso calcoli di ottica e sullo spettro:
– si mettono in evidenza le informazioni che le misure di sicurezza fotobiologica descritte nella IEC 62471 ci danno in merito alle caratteristiche del prodotto e se questo prodotto è da intendersi come componente di un prodotto di illuminazione ad un livello più alto;
– come queste informazioni possono essere trasferite dal componente (per es. il LED package, il modulo LED, o la lampada) al prodotto di illuminazione di livello più alto (per esempio l’apparecchio di illuminazione). Fermo restando quindi tutte le considerazioni delle norma EN 62471 e relativo TR, sono state applicate una serie di semplificazioni dettate dalla pratica di laboratorio e dalle situazioni reali di installazioni ed utilizzo, per la determinazione della soglia tra gruppo di rischio 1 e 2, prendendo in considerazione le misure, spettrometriche e radiometriche, eseguite a 200 nm (nanometri) e 0,011 rad. t<100sec., con sorgenti diverse per spettro, temperatura colore e potenza di emissione.
Le attività di laboratorio hanno evidenziato che per ogni distribuzione spettrale il rapporto tra le grandezze radiometriche e quelle fotometriche resta costante e quindi si può utilizzare un fattore di conversione KB,v , W/lm, correlabile ad una determinata temperatura di colore della sorgente
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