Le figure previste dal Testo unico sicurezza e le relative posizioni

I ruoli individuati e la delega di funzioni con le modifiche del d.l. n. 146/2021 e della l. n. 215/2021


1. Le figure previste dal Testo unico sicurezza e le relative posizioni di garanzia
1.1 Il datore di lavoro
1.2 Il dirigente
1.3 Il preposto
1.4 Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione
2. La delega di funzioni
2.1 I requisiti di validità
2.2 La posizione del delegante.
2.2.1 Modelli di organizzazione e gestione .
2.3 La posizione del delegato
2.4 La subdelega
3. Applicazione della disciplina al settore dei lavori in edilizia: imprese esecutrici e impresa affidataria
3.1 Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice
3.3 L’impresa affidataria
1. Le figure previste dal Testo unico sicurezza e le relative posizioni di garanzia

La disciplina del D.Lgs. n. 81/2008 riguarda la gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro con riferimento a tutti i settori di attività. Per garantire una efficace gestione delle attività di prevenzione, in coerenza con le direttive comunitarie in materia, sono individuate alcune figure che ricoprono ruoli significativi all’interno dell’impresa cui sono riconnessi rilevanti profili di responsabilità, sul presupposto che una azione condivisa sia la modalità migliore per ridurre il rischio di infortuni sul lavoro e malattie professionali.


Tali ruoli significativi comportano la titolarità di “posizioni di garanzia”, rispetto all’incolumità fisica e psichica dei lavoratori, derivanti dal complesso di norme che disciplinano la materia antinfortunistica e la cui identificazione non dipende dall’esistenza di una “regolare investitura” (in questi termini l’articolo 299 del D.Lgs. n. 81/2008, intitolato “Esercizio di fatto di poteri direttivi”) ma dalla circostanza fattuale e concreta che la persona svolga nell’organizzazione aziendale quel ruolo, esercitando di fatto i relativi poteri. Le posizioni di garanzia (datore di lavoro, dirigente, preposto) comportano l’obbligo di predisporre le idonee misure di sicurezza e di impedire il verificarsi di eventi lesivi per i lavoratori, conseguendo all’eventuale omissione delle misure di sicurezza e al mancato rispetto degli obblighi di prevenzione la responsabilità penale personale del titolare. Tutti questi soggetti, ciascuno nell’ambito – che può avere, ovviamente, differente ampiezza in concreto – delle proprie prerogative e responsabilità, avranno il compito di attuare le misure di prevenzione secondo quanto richiesto dall’articolo 2087 c.c. il quale impone all’imprenditore di adottare, nell’esercizio dell’attività di impresa, le migliori misure tecnologiche e organizzative disponibili in un determinato momento storico (si vedano, per tutte, Cass. lav., 5 febbraio
2014, n. 2626, e Cass. pen., sez. IV, 14 ottobre 2008, n. 38819 e, per ultime, Cass. lav., ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3282 e Cass. pen. Sez. III, 6 novembre 2018, n. 50000).
Il Testo unico di sicurezza, in altre parole, ha recepito in legge quanto per anni argomentato dalla Suprema Corte, la quale ha costantemente sottolineato come: “in tema di infortuni sul lavoro, l’individuazione dei soggetti destinatari della relativa normativa [datore di lavoro, dirigente, preposto] deve essere operata sulla base dell’effettività e concretezza delle mansioni e dei ruoli svolti” (Cass. pen., Sez. IV, 20 aprile
1989, n. 6025) e “deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale)” (Cass. pen., Sez. un., 14 ottobre 1992, n. 9874); come a dire che la mansione concretamente esercitata
prevale comunque e sempre sulla qualifica formale e apparente.
Si ritiene, dunque, innanzitutto opportuno individuare e delimitare le figure rilevanti, al fine di specificarne

i relativi ambiti di responsabilità.


1.1 Il datore di lavoro

L’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 81/2008 descrive il datore di lavoro come: “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Sulla base di una prima lettura della norma richiamata, si possono enucleare due definizioni di datore di lavoro: 1) il datore di lavoro in senso civilistico, ossia colui che sul piano formale ha stipulato il contratto di lavoro con il lavoratore ai sensi dell’articolo 2082 c.c., vale a dire l’imprenditore; 2) il datore di lavoro di fatto, ossia colui che in base al principio di effettività effettivamente ricopre detto ruolo, avendone i necessari poteri decisionali e di spesa ed esercitandoli. Tuttavia, nell’utilizzare l’espressione “o, comunque”, la disposizione è chiara nel senso che “comunque” sull’aspetto formale (la firma del contratto) prevale quello sostanziale, vale a dire che datore di lavoro sarà chiunque eserciti in concreto“i poteri decisionali e di spesa”.
Tale conclusione, del resto, tiene conto della già segnalata giurisprudenza relativa al principio dieffettività, varie volte affermato dal Giudice di legittimità (cfr. Cass. pen. sez. III, 12 febbraio 1998 n. 1769, Magnani rv. 210260,), in base al quale era già stata avanzata in passato la nozione di datore di lavoro di fatto o di dirigente di fatto (si vedano, per tutte, Cass. pen., sez. IV, 23 febbraio 1998 n. 2277, Cicchetti ed altro rv. 210263; Cass. pen., sez. IV, 30 marzo 1998 n. 3945, Villa rv. 210640 eCass. pen., sez. IV,
23 marzo 1998 n. 3606, Villa rv. 210642), tesa a individuare il novero dei soggetti responsabili in caso di infortunio sul lavoro. Questa giurisprudenza è stata, peraltro, citata e ribadita, quanto alla sua attualità, nella nota sentenza “Thyssenkrupp” (Cass. Pen., sez. un., 18 settembre 2014, n. 38343).
A ciò si aggiunga che il D.lgs. n. 81/2008, al già citato articolo 299, prevede che sia titolare di una posizione di garanzia chiunque, comunque, abbia avuto una “regolare investitura”, con ciò sottolineando che la presenza di un atto aziendale (es.: una delibera del Consiglio di Amministrazione di una S.p.A. con cui una persona, che potrebbe essere l’Amministratore delegato, viene individuata come “datore di lavoro” per la salute e sicurezza sul lavoro) che qualifichi una persona come “datore di lavoro” porterà comunque a considerarlo come tale a livello giudiziale. Dunque, ai due casi appena descritti è possibile aggiungere la figura del datore di lavoro munito di “regolare investitura”, cioè il datore di lavoro in senso formale.
In una stessa impresa è, quindi, possibile che più persone possano essere contemporaneamente individuate quali datori di lavoro, su ciascuna delle quali ricadono le responsabilità penali del datore di lavoro stesso. Si pensi, ad esempio, al caso di una società composta da due soci di cui uno riveste la carica di amministratore unico e l’altro mantiene comunque poteri decisionali. Al fine di evitare la doppia responsabilità penale, è opportuno definire, tramite documenti scritti, i compiti di ciascun componente del vertice aziendale, o meglio, individuare il responsabile dell’attuazione delle norme di sicurezza. In merito
va sottolineato che ciò che la citata giurisprudenza richiede costantemente è che in capo a colui,
persona fisica, che sia individuato come “datore di lavoro” a fini di salute e sicurezza sia concretamente

collocato nell’organizzazione aziendale in una posizione che comporti quei poteri. Ne consegue che queste condizioni devono risultare in modo netto e incontrovertibile da documenti aziendali che attribuiscano esplicitamente i citati poteri e doveri e, comunque, che al datore di lavoro spettino davvero e in concreto tutti i “ poteri d ec is ion al i e di s pes a” rispetto alla salute e sicurezza sul lavoro. Qualora questi poteri incontrino dei limiti, è chiaro che detto soggetto risponderà dell’adempimento dei propri doveri prevenzionistici esclusivamente nell’ambito così delimitato, oltre al quale risponderà il soggetto a lui gerarchicamente sovraordinato, nella linea aziendale (nell’esempio fatto della S.p.A., i singoli componenti del C.d.A.).
La riconducibilità di un soggetto, che opera all’interno di una struttura organizzativa, ad una delle tre definizioni di datore di lavoro prospettate, fa sorgere in capo allo stesso la qualifica di soggetto attivo dei reati. Inoltre, in caso di pluralità di unità produttive si avranno tanti datori di lavoro titolari di posizioni di garanzia quante sono le unità produttive e ciascuno di loro sarà autonomamente destinatario delle prescrizioni previste dalla legge.


Delimitata così la figura del datore di lavoro, occorre chiarire quali siano gli obblighi gravanti sullo stesso.


Tale funzione ha il suo momento essenziale per la sicurezza dell’impresa nella valutazione dei rischi, che si traduce nella predisposizione del relativo documento di valutazione, attività peraltro non delegabile, così come lo è la nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), secondo quanto previsto dall’articolo 17 del Testo unico. Con tale documento sono individuati i rischi connessi all’attività di impresa e indicate le misure di prevenzione e protezione idonee a tutelare i lavoratori rispetto a tali rischi, nonché il programma per garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza.


Con la sentenza n. 3405/2024 la Cassazione ha precisato che “il datore di lavoro é tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.lgs. n. 81 del
2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. È altrettanto pacifico che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento (come la difesa ha opposto nel caso all'esame), non lo esonera dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata”.


Il datore di lavoro deve poi attuare le misure volte ad eliminare i rischi e deve provvedere a dare adeguata informazione ai lavoratori, nonché a garantire la formazione necessaria a trasferire ai lavoratori le conoscenze per la gestione dei rischi.


Infine, compete al datore di lavoro l’obbligo di vigilanza e controllo sull’effettiva osservanza da parte dei
lavoratori delle disposizioni di sicurezza impartite. Più in generale, come si specificherà meglio nel capitolo dedicato alla delega di funzione, spetta al datore di lavoro un generale obbligo di vigilanza sull’attuazione
complessiva del sistema di sicurezza e sull’attività svolta dai soggetti delegati.

Il datore di lavoro è, quindi, il primo garante della salute e sicurezza in azienda e nei cantieri e proprio per questo deve correttamente dimensionare la propria organizzazione rispetto ai ruoli che sono propri della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, distribuendo i relativi compiti a persone in grado
– per competenza ed esperienza – di svolgere le funzioni di dirigente e di preposto e conferendo in
concreto ad essi i poteri che sono necessari all’esercizio delle funzioni, meglio se attraverso atti formali, come più avanti nel dettaglio si illustrerà. Il numero di tali persone e i poteri di riferimento non



possono in alcun modo essere individuati in modo generale, dipendendo da fattori quali le dimensioni

complessive e l’articolazione dell’impresa, essendo la relativa scelta rimessa alla libertà ma anche alla

responsabilità del datore di lavoro.


Tanto premesso, deve ricordarsi la sussistenza di una norma di chiusura, rappresentata dal già segnalato articolo 2087 c.c., che impone in via generale al datore di salvaguardare l’integrità psico-fisica del lavoratore. Infatti, la giurisprudenza penale utilizza spesso tale disposizione, ponendola a fondamento della responsabilità del datore di lavoro per violazione di obblighi generali di diligenza, anche in casi in cui non ricorra la violazione di specifiche norme cautelari. In merito, va segnalato comei più recenti arresti giudiziali abbiano chiarito che l’obbligo generale di prevenzione e protezione di cui all’articolo 2087 c.c. non impone comunque al datore di lavoro di: “creare un ambiente lavorativo a "rischio zero", disponendo misure atte a prevenire anche gli eventi rischiosi impensabili (circostanza che implicherebbe, incostituzionalmente, la condanna a titolo di responsabilità oggettiva), dovendo, invece, obbligatoriamente, “predisporre tutte quelle misure che nel caso concreto e rispetto a quella specifica lavorazione risultino idonee a prevenire i rischi tecnici dell'attività posta in essere” (in questi termini le già citate Cass. lav., ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3282, e Cass. pen., sez. III, 6 novembre 2018, n. 50000, e, per ultima, Cass. lav., 15 giugno 2020, n. 11546).
Si tratta di un orientamento molto importante, che ha trovato formale riconoscimento in materia di prevenzione dal rischio di contagio da Coronavirus, dapprima nella circolare INAIL del 20 maggio 2020, n. 22, in cui si legge quanto segue: “Pertanto la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali” e, quindi, addirittura in una norma di legge (anche nota come “scudo penale” in materia di Coronavirus), l’articolo 29-bis della legge 5 giugno 2020, n. 40, in vigore dal 7 luglio 2020, la quale dispone testualmente che: “1. Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonche' mediante l'adozione e il mantenimento delle misure ivi previste”. In tal modo viene puntualizzato che l’obbligo del datore di lavoro non è di impedire il contagio ma di applicare le vigenti normative emergenziali contro il Covid-19 al lavoro, quali contenute nei Protocolli obbligatoriper i vari settori; quindi, per i cantieri tali obbligo si esauriscono nella predisposizione e garanzia delle misure di cui al Protocollo specifico del
24 aprile 2020 e al Protocollo siglato il 24 marzo dalle parti s oc i al i de ll ’ed il iz ia , le c ui proc edure a ttua tiv e
sono state emanate dalla Commissione Nazionale per la prevenzione i nfor t uni , l ’i gie ne e l ’am bi ente di lavoro (CNCPT).



1.2 Il dirigente

L’articolo 2, comma 1, lettera d), del D.Lgs. n. 81/2008 definisce il dirigente come: “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando sulla stessa”.


Dalla definizione normativa emerge l’esigenza che il dirigente sia in possesso di adeguate competenze professionali in materia di sicurezza, la cui verifica compete al datore di lavoro. Dalla nozione contenuta nella norma emerge, altresì, che il fulcro dell’attività svolta dal dirigente sta nel potere organizzativo dell’attività lavorativa e nel dovere di vigilanza sulla stessa. Egli, in sostanza, è l’alter ego del datore di lavoro, in quanto svolge funzioni gestionali ed organizzative, nella conduzione dell’azienda, espressamente conferite dal datore di lavoro, attuando le direttive da quest’ultimo impartite (così già Cass. pen., sez. IV, 8 aprile 2008, n. 22615).


Pertanto, a differenza del datore di lavoro, che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva in virtù di generali poteri decisionali e di spesa, il dirigente dirige l’attività produttiva dell’azienda, o di singoli stabilimenti o reparti, senza disporre di poteri decisionali e finanziari riguardanti la gestione complessiva dell’azienda. Quindi, i poteri (e le responsabilità) del dirigente sono più limitati rispetto a quelli del datore di lavoro sia per legge – perché sul dirigente non possono gravare gli obblighi (valutazione dei rischi e nomina del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione) che l’articolo 17 del Testo unico pone a carico del solo datore di lavoro rendendoli indelegabili – che a livello organizzativo, in quanto il dirigente risponde di essi solo nell’ambito della funzione aziendale a capo della quale è collocato.


Rientrano, dunque, in questa categoria coloro che sono preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell’azienda o di un reparto della stessa, quali: i direttori tecnici o amministrativi, i capi ufficio ed i capi reparto, purché l’elemento organizzativo – eventualmente anche solo del “dettaglio”, in quanto le scelte di fondo gravano sul datore di lavoro – prevalga su quello esecutivo del lavoro (che è questione di cui si occupa il preposto, come tra poco meglio si illustrerà), come per tutte sottolineato da Cass. pen., sez. IV, 9 maggio 2017, n. 22606.


Anche per i dirigenti, peraltro, come per i datori di lavoro, vale il principio dell’effettività delle funzioni esercitate, nel senso che dirigente sarà colui che di fatto dirige l’attività, anche se sprovvisto della qualifica formale, principio ormai del tutto pacifico (già espresso, per esempio, da Cass. pen., sezione IV, 12 novembre 2008, n. 42136, la quale sottolinea come la posizione del “dirigente” sia attribuita per legge
dip end end o da ll e funz ion i s v olte ne ll ’org an iz z az ione az ien dal e, s u s c elt a de l d ator e d i l av oro e non richiedendo necessariamente la delega, “istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro
trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (…) che gli sono propri”).
Sempre in base al principio di effettività, il dirigente non deve essere necessariamente inquadrato

contrattualmente nella categoria dei dirigenti ma è essenziale che svolga, all’interno dell’impresa, come dipendente o come soggetto legato al datore di lavoro da un rapporto professionale, le funzioni tipiche del dirigente.


L’articolo 18 del D.Lgs. n. 81/2008 pone quali comportamenti a carico del datore di lavoro e dei dirigenti una lunga serie di obblighi in materia di sicurezza. Infatti, fatta salva la predisposizione del documento di sicurezza e la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, che rientrano tra gli obblighi non delegabili del datore di lavoro, al dirigente competono, secondo le attribuzioni a lui conferite, gli stessi obblighi sulla sicurezza che fanno carico al datore di lavoro. Quindi,rispetto alla funzione aziendale che governa in autonomia il dirigente ha gli stessi obblighi del datore di lavoro (eccetto i già citati obblighi indelegabili), come confermato dalla circostanza che l’articolo 18 del D.Lgs. n.
81/2008 è intitolato “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente”.


Il dirigente, dunque, è uno dei soggetti titolari di “posizioni di garanzia”, in quanto è destinatario degli obblighi di sicurezza iure proprio, cioè in via diretta, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc da parte del datore di lavoro. Egli, pertanto, per il fatto stesso di essere, formalmente o in via di fatto, nella posizione di chi dirige l’attività lavorativa di altri soggetti, è tenuto, al pari del datore di lavoro, a predisporre nel settore di propria competenza tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare i lavoratori, i quali devono essere adeguatamente informati e addestrati in merito alle corrette modalità attuative di esse.


È chiaro, tuttavia, che gli obblighi di cui all’articolo 18 fanno carico a quei dirigenti cui competono obblighi di sicurezza, come ad esempio un capo ufficio, un capo reparto, o un direttore di cantiere, dovendosi escludere la responsabilità di dirigenti che svolgono mansioni, ad esempio commerciali o amministrative, il cui esercizio non implichi la tutela della sicurezza.


L’articolo 18 del D.Lgs. n. 81/2008 riferisce gli obblighi di sicurezza ai dirigenti che svolgono attività di organizzazione e direzione “secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite”. Ovviamente, il contenuto delle attribuzioni e competenze dei dirigenti varia da azienda ad azienda, essendo il singolo datore di lavoro, titolare del potere organizzativo primario, a definire le porzioni di potere organizzativo che i dirigenti sono concretamente chiamati ad esercitare. Di conseguenza, è tale ripartizione interna di competenze, effettuata dal datore di lavoro attraverso il conferimento (eventualmente formale) di specifico incarico, a delineare i confini entro i quali i dirigenti devono esercitare i compiti di prevenzione ad essi attribuiti dalla legge.


Il conferimento di tale incarico, tuttavia, è necessario unicamente al fine di trasferire al dirigente quei poteri di direzione ed organizzazione, il cui effettivo esercizio comporta ex se il rispetto degli obblighi di sicurezza. L’incarico, infatti, nulla aggiunge ai fini del rispetto degli obblighi di prevenzione che, come
visto, competono ai dirigenti iure proprio, come conseguenza diretta dell’esercizio dei poteri direttivi ed
organizzativi, e dunque a prescindere dall’esistenza di una delega specifica in materia di sicurezza o

anche solo di un incarico formale.


La prevalenza dell’elemento sostanziale (l’esercizio delle funzioni) rispetto a quello formale (il conferimento di una investitura formale, per mezzo di delega o incarico, al dirigente da parte del datore di lavoro) non deve, però, portare a ritenere inutile la predisposizione e il conferimento da parte del datore di lavoro di tali atti formali. Ciò anche in quanto, come meglio si approfondirà nella parte relativa alla delega, tali strumenti sono espressione di una impresa organizzata, in cui ogni soggetto è consapevole del ruolo che riveste in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, quindi, che considera il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali essenziale per ogni suo componente (il quale, infatti, va anche avviato ai rispettivi corsi di formazione, come dirigente, prepostoo lavoratore).


Ovviamente nulla esclude che, ai compiti relativi alla sicurezza compresi nelle funzioni dirigenziali originariamente conferite, il datore di lavoro decida di aggiungerne altri, ulteriori rispetto ai primi, delegando in tal senso il dirigente attraverso uno specifico atto di delega di funzioni.

1.3 Il preposto

L’articolo 2, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 81/2008 descrive il preposto come: “la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.
Dalla definizione normativa emerge l’esigenza che il preposto sia in possesso di adeguate competenze

professionali in materia di sicurezza, la cui verifica compete al datore di lavoro.

Dalla nozione contenuta nella norma emerge, altresì, che quella del preposto è una figura professionale che si colloca, nella struttura organizzativa dell’impresa, in posizione intermedia tra i dirigenti e gli altri lavoratori. Infatti, spetta al preposto curare l’attuazione da parte dei lavoratori delle direttive impartite dal datore di lavoro o dal dirigente e verificarne l’esatta applicazione, anche mediante l’esercizio di un potere di iniziativa, funzionale alla concreta attuazione degli ordini e delle istruzioni ricevute (si vedano, in merito, già prima del Testo unico, Cass. Pen. 1° giugno 2007, n. 21593; Cass. Pen. 20 gennaio 1998, n.2277; Cass. Pen. 26 giugno 1996, n. 6468; Cass. Pen. 14 settembre 1991, n. 9592; tra le ultime, per tutte, Cass. pen., sez. IV. 13 gennaio 2021, n. 1096).


Come per il dirigente, anche per il preposto l’individuazione all’interno della struttura aziendale deve essere fatta alla luce del principio di effettività. Anche per individuare chi in azienda rivesta tale ruolo, quindi, occorre guardare alle mansioni effettivamente svolte all’interno dell’impresa, con particolare riferimento all’attività di controllo circa il rispetto delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori (sul tema, Cass., 22 novembre 2023, n. 46855; Cass., 4 febbraio 2024, n. 2455). Al riguardo è del tutto pacifico che chiunque svolga in concreto, sul luogo di lavoro, compiti di controllo e supervisione di lavoratori sia
comunque un preposto “di fatto”, a nulla rilevando in merito né
l’inquadramento contrattuale né l’assenza di investitura formale e nemmeno, infine, la mancata frequenza

di un corso di formazione da preposto (in questi termini, per tutte, si veda Cass. pen., Sez. IV, 10 aprile

2017, n. 18090, nella quale si evidenzia, tra l’altro come: “l'esplicare le mansioni inerenti a un determinato ruolo, nel contesto dell'attività lavorativa, comporta la capacità di saper riconoscere ed affrontare i rischi e i problemi inerenti a quelle mansioni, secondo lo standard di diligenza, di capacità, diesperienza, di preparazione tecnica richiesto per il corretto svolgimento di quel determinato ruolo, con la correlativa assunzione di responsabilità. Ne deriva che chi, non essendo all'altezza del compito assunto, esplichi una certa funzione senza farsi carico di procurarsi tutti i dati tecnici e le conoscenze necessarie per esercitarla adeguatamente, nel caso in cui ne derivino dei danni, risponde di questiultimi (Cass., Sez. 4, 6-12-1990, Bonetti)”, a nulla rilevando “ai fini della sussistenza del reato, il fattoche T.B. (il preposto) stesso non avesse ricevuto alcuna specifica formazione in merito ai rischi inerenti alle operazioni da svolgere”).


Sempre la giurisprudenza sottolinea costantemente come i preposti vigilano sull’attività lavorativa degli altri lavoratori, per garantire che essa si svolga nel rispetto delle regole prevenzionistiche, essendo “forniti di un limitato potere di impartire ordini ed istruzioni, di natura peraltro meramente esecutiva” (in questi termini Cass. pen., sez. IV, 7 dicembre 2005, n. 44650). Tale vigilanza non comporta la presenzacontinua al lavoro né impone di “sorvegliare “a vista” e ininterrottamente “da vicino”, senza soluzione di continuità, il lavoratore” (questione già chiarita da Cass. pen., Sez. IV, 12 gennaio 1998, n. 108) ma implica che il preposto eserciti correttamente le sue tipiche funzioni, relative alla: “diretta sorveglianza dei lavoratori a lui affidati”, rispetto alla quale “è certamente tenuto, indipendentemente dalla presenza al momento del fatto, ad una attenta ed assidua vigilanza e specialmente a dare istruzioni anche per lavori che possono ritenersi di semplice esecuzione” (così Cass. pen., Sez. IV, 1° febbraio 2012, n. 4412).


Tale vigilanza si differenzia da quella del dirigente in quanto la vigilanza del preposto è di tipo “operativo” e quella del dirigente viene qualificata come “alta vigilanza”, la quale riguarda la “complessiva gestione del rischio e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni” (Cass. pen., sez. IV, 19 marzo 2012, n. 10702).


I compiti (e correlativamente) le responsabilità del preposto sono puntualmente individuati dall’articolo

19 del D.Lgs. n. 81/2008, il quale è stato oggetto di una importante modifica a seguito della pubblicazione della legge 17 dicembre 2021, n. 215, in sede di conversione delle disposizioni contenutenel D.L. 21 ottobre 2021, n. 146. Tale innovazione ha l’obiettivo di descrivere in modo migliore in cosa consistano i compiti prevenzionistici del preposto tenendo conto degli indirizzi sin qui ricostruiti e delle criticità emerse
negli anni successivi all’entrata in vigore del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro.
L’articolo 19 del D.Lgs. n. 81/2008 pone a carico del preposto una serie di compiti specifici, che si

sostanziano, innanzitutto, nell’obbligo di vigilare sulle prestazioni lavorative dei lavoratori, al fine di verificarne la conformità rispetto alle prescrizioni e alle procedure aziendali in materia di salute e sicurezza. A tale proposito l’articolo 19, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 81/2008, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla citata legge n. 215/2021, richiede al preposto testualmente quanto segue: “sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzidi protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di non conformità comportamentali in ordine alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti”.


Sul potere impeditivo del preposto si è recentemente pronunciata la Cassazione, con sentenza n.

6790/2024, affermando che: “il preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell'incolumità dei lavoratori, risponde degli infortuni loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l'evento lesivo in concreto verificatosi".


Altro compito essenziale per il preposto è legato alla necessità di controllare le condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro segnalando al datore di lavoro e al dirigente di riferimento (perché questi provveda a realizzare le necessarie attività di prevenzione, se esse non possono direttamente essere poste in essere dal preposto) condizioni di pericolo per la salute e sicurezza presenti nel luogo di lavoro. E’ quanto, in particolare, previsto dall’articolo 19, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 81/2008, che impone al preposto di: “segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericoloche si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta”. Le modalità per mezzo delle quali la legge chiede che tale comportamento debba essere garantito dal preposto sono state individuate dalla successiva lettera f-bis) dell’articolo 19, comma 1, introdotta dalla legge n. 215/2021, e che si riporta testualmente di seguito: “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l'attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate”.


La valorizzazione dell’importanza del ruolo del preposto è stata completata dalla legge n. 215/2021 introducendo a carico del datore di lavoro e dei dirigenti – nell’ambito dell’articolo 18 del D.Lgs. n. 81/2008 (che individua gli obblighi di datore di lavoro e dirigenti) – uno specifico obbligo di: “individuareil preposto o i preposti per l'effettuazione delle attività di vigilanza di cui all'articolo 19”, con la puntualizzazione che: “Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività” e la previsione della possibilità (non dell’obbligo) che: “I contratti e gli accordi collettivi di lavoro” stabiliscano “l'emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività” (in questi termini l’articolo 18, comma
1, lettera b-bis), del D.Lgs. n. 81/2008). Il testo appena riportato non specifica né indica le modalità con

cui debba essere effettuata l’individuazione del preposto o dei preposti (qualora ve ne siano in azienda
più di uno), ma impone che essa debba essere provata. Ad esempio, potrebbe darsi il caso che

l’individuazione sia stata già effettuata nell’ambito del documento di valutazione dei rischi e/o nell’organigramma aziendale per la salute e sicurezza sul lavoro o, ancora, che il preposto o I preposti abbiano già ricevuto prima dell’entrata in vigore della legge n. 215/2021 una lettera di nomina come preposto. In simili casi, da verificare con la massima attenzione, non sarà necessaria alcuna ulteriore attività, se non in caso di necessità di rinnovo o modifica dell’incarico.


Qualora, invece, l’attività in parola non risulti essere in alcun modo stata effettuata, il datore di lavoro e il dirigente dovranno dare immediata attuazione al citato disposto di legge (il quale, peraltro, è sanzionato in caso di inadempienza con l'arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro, come previsto dall’articolo 55, comma 5, lettera d), del D.Lgs. n. 81/2008). Per favorire tale individuazione, sempre che l’azienda decida di procedere per mezzo di una nomina formale, si mettono a disposizione diversi modelli di nomina, nella seconda parte della presente pubblicazione.


L'introduzione dell’obbligo di individuazione del preposto comporta il progressivo venir meno della figura del preposto “di fatto” (ex art. 299, D.Lgs. n. 81/2008), dal momento che la mancata nomina di uno o più preposti, laddove necessitata dalla natura dell’organizzazione aziendale nonché dalla pericolosità delle lavorazioni da effettuare, è sanzionata nella misura sopra esposta, in aggiunta alla quale ricorre la sanzione per il mancato svolgimento del corso di formazione (sanzione che esisteva anche prima delle modifiche apportate dalla legge n. 215/2021).
Pertanto, come illustrato anche nella “Relazione intermedia sull’attività svolta” della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati” e alla luce della rilevanza in sede penale contravvenzionale del suddetto obbligo di individuazione del preposto, verrà progressivamente meno la prassi aziendale organizzativa in forza della quale anche il preposto “di fatto” può svolgere funzioni di vigilanza di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008. Sul punto, si veda, inoltre, l’interpello n. 5/2023 del Ministero del lavoro.



Di notevole importanza per l’attività nei cantieri è, altresì, la previsione – sempre riferita al preposto – di cui all’articolo 26, comma 8-bis, del D.Lgs. n. 81/2008 (anche essa introdotta dalla legge n. 215/2021) e che prevede quanto segue: “8-bis. Nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, i datori di lavoro appaltatori e subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto”. Pertanto, qualora l’Azienda operi come impresa committente di lavori, servizi e forniture avrà titolo di chiedere alle imprese appaltatrici e subappaltatrici (vale a dire, nell’ambito dei cantieri edili o di ingegneria civile, alle imprese affidatarie ed esecutrici) l’indicazione del personale che svolge nell’ambito dell’appalto funzioni di preposto e qualora operi come impresa appaltatrice o subappaltatrice (vale a dire, nell’ambito dei lavori edili o di ingegneria civile, come impresa affidataria o esecutrice) avrà l’obbligo di comunicare all’impresa committente chi
tra i propri lavoratori svolga nell’ambito dell’attività in appalto di riferimento le funzioni di preposto.
Come il dirigente, anche il preposto è titolare di una posizione di garanzia, in quanto, come appena

approfondito, l’articolo 19 del Testo unico di sicurezza pone a carico dello stesso una serie di obblighi specifici in materia di prevenzione, della cui mancata attuazione egli è direttamente responsabile. E’ evidente, tuttavia, che se il preposto individuato dal datore di lavoro o dal dirigente assume una posizione sovraordinata rispetto ai lavoratori all’interno dell’impresa, dirigendo il lavoro, organizzandolo ed impartendo egli stesso ordini e direttive, sullo stesso gravano anche i medesimi obblighi e le medesime responsabilità che in materia di sicurezza competono al datore di lavoro e/o al dirigente in termini di vigilanza.


Di conseguenza, il datore di lavoro, che riveste all’interno dell’impresa una posizione centrale digaranzia, nell’esercizio dei poteri di vigilanza ad esso spettanti deve controllare anche l’operato del preposto. Ciò è previsto, peraltro, dall’articolo 18, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 81/2008, il quale impone testualmente al datore di lavoro e al dirigente di vigilare sul corretto svolgimento dei compiti prevenzionistici da parte, tra l’altro, del preposto e del lavoratore. Va in merito sottolineato come la più recente giurisprudenza spieghi in modo chiarissimo in cosa tale vigilanza si sostanzi, come è dato leggere nella massima della sentenza Cass. pen., sez. IV, 4 aprile 2019, n. 14915, relativa a un infortunio mortale in un cantiere edile, in cui la Suprema Corte evidenzia come: “l'obbligo datoriale di vigilare sull'osservanza delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione dei rischi”. Nella medesima sentenza, di assoluzione per il datore di lavoro, viene altresì evidenziato quanto segue: “quanto alle concrete modalità di adempimento dell'obbligo di vigilanza esse non potranno essere quelle stesse riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale, tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell'organizzazione aziendale (e viceversa)”.


Pertanto, nel caso in cui si siano instaurate nell’esercizio dell’attività lavorativa prassi in contrasto con le misure di sicurezza, con il consenso del preposto, in caso di eventuale infortunio sul lavoro, il datore di lavoro potrà rispondere per omessa sorveglianza, in concorso con il preposto stesso ma non risponderà, invece, del fatto in caso di corretta identificazione dei ruoli in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di predisposizione (innanzitutto tramite il Piano Operativo di Sicurezza) delle procedure di prevenzione e protezione da attuare in concreto in cantiere e di affidamento di quelle attività ad un preposto adeguatamente esperto e formato. In tali casi, l’assenza di una investitura espressamente e formalmente conferita al preposto, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, porterà con ogni probabilità il Giudice a ritenere che sul preposto nel caso di specie non gravassero gli obblighi e le responsabilità specifiche del datore di lavoro o del dirigente; con la conseguenza che su di essi si potrebbero ritenere personalmente gravanti gli obblighi di verifica in cantiere, attraverso idonee forme di vigilanza, del rispetto
delle misure di sicurezza da parte dei preposti e dei lavoratori.

Infine, va rilevato che la presenza di un preposto non esime da responsabilità il dirigente, in caso di

inosservanza delle norme in materia di sicurezza. Entrambi, infatti, sono titolari di autonome posizioni di garanzia, seppure a distinti livelli di responsabilità, come appena esemplificato. In tale logica si collocano le più recenti pronunce, che rimarcano come il compito del datore di lavoro sia innanzitutto quello di adottare le più corrette – dal punto di vista prevenzionistico – “scelte gestionali di fondo” (così, per ultima, Cass. pen., Sez. III, 12 giugno 2019, n. 25977) organizzando l’impresa in modo che le attività di lavoro vengano svolte da persone (dirigenti e preposti) che abbiano il compito di controllare che tali scelte di tutela vengano effettivamente attuate giorno per giorno dai lavoratori. Quindi, in caso di indagine per infortunio o malattia professionale le responsabilità andranno ascritte (e anche eventualmente escluse) a ciascuna persona che abbia un ruolo nell’impresa secondo questo principio generale: “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (cfr. sez. 4 n. 24136 del 06/05/2016, Rv. 266853)” (così la già citata Cass. pen., Sez. IV, 9 maggio 2017, n. 22606).


Va, poi, sottolineato come se l’azienda si è correttamente organizzata in merito e ha predisposto le misure di tutela adeguate al rischio, formando e informando i propri lavoratori in merito, è sempre più frequente che il procedimento penale si concluda con l’assoluzione del datore di lavoro, del dirigente e anche del preposto indagato, in quanto l’evento sia attribuibile a un comportamento “abnorme” del lavoratore, vale a dire ad una condotta individuale che l’organizzazione aziendale (adeguata, nel senso sin qui esposto) non avrebbe in alcun modo potuto prevedere. In questo senso si sono, ad esempio, espresse, tra le tante, Cass. pen., sez. IV, 1° febbraio 2019, n. 5007, la già citata Cass. pen., sez. IV, 4 aprile 2019, n. 14915, Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 2016, n. 8883 e anche Cass. pen., sez. IV, 10 giugno
2016, 24139, in cui si rimarca che: “il sistema della normativa antinfortunisticasi è evoluto, passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (Sez. 4, Sentenza n. 8883 del 10/02/2016, dep.
03/03/2016, Rv. 266073)”.


1.4 Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione

L’articolo 2, comma 1, lettera f) del D.lgs. n. 81/2008 definisce il responsabile del servizio di prevenzione e protezione come: “la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo
32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione

dai rischi”.

Dalla nozione contenuta nella norma discende che quella in esame è una figura particolarmente

importante ai fini della tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, in quanto si tratta del soggetto chiamato, all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, a collaborare con il datore di lavoro al fine di individuare i rischi lavorativi e identificare le misure antinfortunistiche da adottare al lavoro.


La nomina del responsabile del servizio di prevenzione rappresenta, peraltro, uno degli adempimenti più significativi che fanno carico al datore di lavoro, tanto da rientrare, come già segnalato, tra gli obblighi non delegabili del datore di lavoro, insieme alla valutazione dei rischi e alla redazione del relativo documento.


Il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere sia un soggetto esterno che un soggetto interno all’azienda o all’unità produttiva e, dunque, può trattarsi anche di un lavoratore dell’impresa, purché munito delle capacità e dei requisiti professionali richiesti dalla legge per lo svolgimento di tale delicato incarico. Infatti, deve trattarsi di soggetti provvisti di competenze tecniche e professionali adeguate a garantire un’idonea capacità di svolgimento dell’incarico, anche alla luce della natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro, quali definite, anche rispetto ai requisiti di formazione e aggiornamento, all’articolo 32 del D.Lgs. n. 81/2008, tramite il rinvio al pertinente Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 7 luglio 2016.


L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione è comunque obbligatoria all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva nei casi di cui al comma 6 dell’articolo 31 del D.Lgs. n. 81/2008, come ad esempio nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori. Inoltre, nei casi previsti dall’articolo 34, tra i quali rientrano le aziende industriali (quali le imprese edili) fino a 30 lavoratori, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione, dovendo in tal caso essere in possesso dei requisiti formativi definiti dall’articolo 34 del Testo unico, per mezzo del rinvio al pertinente Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre 2011.


L’articolo 33 del D.Lgs. n. 81/2008 definisce i compiti spettanti al servizio di prevenzione che consistono, fondamentalmente, nella individuazione dei fattori di rischio e nella elaborazione di adeguate misure e procedure di prevenzione e di sicurezza, nonché nella proposizione di programmi di informazione e formazione per i lavoratori.


Dall’analisi dei compiti descritti emerge che al responsabile e agli addetti al servizio di prevenzione e protezione competono essenzialmente una funzione di consulenza a favore del datore di lavoro senza autonomi poteri decisionali ed operativi. Per tale ragione, la collaborazione prestata da questi soggetti rispetto al datore di lavoro, non dà luogo di per sé a specifiche responsabilità penali di tipo prevenzionistico. Coerentemente con il ruolo consultivo svolto, infatti, il responsabile e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione non rivestono alcuna posizione di garanzia e, dunque, non rientrano
tra i soggetti chiamati a rispondere direttamente del loro operato; tanto è vero che il D.Lgs. n.
81/2008, diversamente da quanto previsto per il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto, noncontempla

alcuna sanzione penale a loro carico.


Naturalmente, il fatto che il legislatore non abbia previsto delle responsabilità dirette a carico di tali soggetti non significa che questi non debbano rispondere in caso di inosservanza dei compiti loro attribuiti, soprattutto in caso di infortuni sul lavoro. Infatti, nelle ipotesi in cui l’evento lesivo a danno del lavoratore sia direttamente riconducibile ad un errore di valutazione del consulente e/o alla mancata segnalazione al datore di lavoro di carenze, rispetto a quanto previsto nel documento di valutazione dei rischi e rilevato nel corso della sua attività, il consulente stesso potrà essere chiamato a rispondere, anche se l’infortunio non è conseguenza di una specifica violazione da parte dello stesso delle norme in materia di sicurezza. Quanto appena evidenziato è, peraltro, costantemente evidenziato dalla giurisprudenza la quale in merito al RSPP evidenzia, in particolare, quanto segue: “Il ruolo di consulentedel datore di lavoro è stato attribuito anche al RSPP, osservando che lo stesso, sebbene privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, svolge il compito di prestare "ausilio" al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nellaelaborazione delle procedure di sicurezza. Da ciò consegue che, pur restando il datore di lavoro il titolare della posizione di garanzia nella specifica materia, facendo a lui capo l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, non può escludersi una concorrente responsabilità per il verificarsi di un infortunio possa profilarsi anche nei confronti di detto responsabile il quale, ancorché privo di poteri decisionali e di spesa tali da consentire un diretto intervento per rimuovere le situazioni di rischio, può rispondere del fatto quando sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione” (così Cass. pen., 15 gennaio 2013, n. 1856; nello stesso senso, tra le tante, anche Cass. pen., Sez. IV, 20 luglio 2018, n. 34311). La medesima giurisprudenza esclude, quindi, la responsabilità del RSPP in caso di puntuale segnalazione del pericolo al datore di lavoro, in difetto di poteri decisionali e di spesa in capo a tale figura (come in Cass. pen., 5 maggio 2014, n. 18296, e in Cass. pen., sez. IV,
21 gennaio 2016, n. 2536).


In tali circostanze, infatti, il comportamento del responsabile del servizio di prevenzione concorre comunque alla produzione dell’evento lesivo e, di conseguenza, il soggetto potrà essere sottoposto a sanzione penale per i reati di lesione o di omicidio colposo (rispettivamente, articoli 590 e 589 c.p.) conseguenti all’infortunio verificatosi. In simili ipotesi, peraltro, non è da escludere che anche il datore di lavoro possa essere chiamato a rispondere per colpa in eligendo o in vigilando, almeno nei casi in cui l’errore di valutazione del consulente sia palesemente riscontrabile, e dunque tale da essere percepito dal datore di lavoro anche in assenza di competenze tecnico-professionali specifiche.

Infine, è del tutto evidente che, nei casi in cui il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione svolga di fatto anche il ruolo di datore di lavoro, dirigente o preposto, in base al principio di
effettività che regola la materia della sicurezza, incomberanno sullo stesso anche gli obblighi che fanno

tipicamente capo a tali figure.


2. La delega di funzioni

La complessità strutturale delle imprese pone sovente la necessità di individuare la singola persona fisica alla quale attribuire la responsabilità per un fatto penalmente rilevante. Come già esposto, la normativa penale individua come responsabile innanzitutto il datore di lavoro, vale a dire colui il quale riveste all’interno dell’organigramma societario una posizione apicale, considerato che il soggetto posto al vertice dell’impresa è colui che gode del più ampio potere decisionale e di spesa, determinando ed indirizzando l’operato dell’azienda.


Tuttavia, i soggetti destinatari di obblighi penalmente sanzionati quali datori di lavoro si trovano spesso nell’oggettiva impossibilità di fare fronte ai molteplici adempimenti su di essi gravanti. Da qui la necessità per i vertici aziendali di avvalersi dell’operato di altri soggetti dotati di competenza qualificatain grado di sostituire o affiancare il datore di lavoro nell’adempimento degli obblighi previsti dalla legge. Tale articolazione organizzativa costituisce essa stessa una misura di prevenzione e protezione, consentendo all’impresa di agire per mezzo delle persone (dirigenti e preposti) più vicini al rischio lavorativo e, quindi, maggiormente in grado di gestirlo con efficacia, per sempre nell’ambito delle direttive generali del datore di lavoro.


Il fenomeno di ripartizione organizzativa viene comunemente denominato “delega di funzioni”, per indicare l’attribuzione di autonomi poteri decisionali ad un soggetto che non ne sia titolare. Con essa, dunque, si trasferiscono compiti originariamente gravanti sul soggetto posto in posizione apicale a soggetti materialmente e tecnicamente capaci di adempierli, rendendo così il sistema più efficiente.


Tenuto conto di tale fenomeno, secondo la tesi maggiormente seguita in giurisprudenza prima del 2008, per individuare nel complesso aziendale i soggetti titolari di posizioni di garanzia occorre tenere conto sia della qualifica formalmente spettante al soggetto, sia delle funzioni concretamente svolte (c.d. teoria organica). In sostanza, secondo questo indirizzo, vi sono due livelli di indagine: 1) la ripartizione degli obblighi da parte della legge, in base alle qualifiche ricoperte e alle mansioni svolte di fatto; 2) il trasferimento a terzi di obblighi originariamente diretti ad un determinato soggetto. L’esistenza, dunque, della delega di funzioni può consentire di individuare un’autonoma posizione di garanzia. Tuttavia, la questione fondamentale è stabilire quali siano gli effetti della delega rispetto alla posizione ricoperta dal soggetto su cui gravano gli obblighi in base alla legge.


Al riguardo, l’orientamento in questione evidenziava che l’obbligo gravante sul soggetto delegante qualificato non viene meno con la delega, ma si trasforma in un obbligo di vigilanza sul delegato, ossia nell’obbligo di controllare le modalità di esecuzione dei compiti del delegato e di intervenire allorché si venga a conoscenza di qualsiasi violazione suscettibile di essere impedita. In buona sostanza, la delega
non libera interamente il delegante, considerato che l’obbligo originario si trasforma in obbligo di
vigilanza e di controllo sull’adempimento dell’incarico da parte del delegato, obbligo della cui omissione

il primo risponde in quanto con il proprio comportamento omissivo non abbia impedito l’evento che aveva

l’obbligo giuridico di impedire (articolo 40, comma 2, c.p.).


Tale posizione è stata accolta dal D.Lgs. n. 81/2008, il quale, all’articolo 16, comma 3, prevede che: “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”.


Si può pertanto ritenere che l’effetto della delega sia quello di costituire una nuova posizione di garanzia in capo al delegato, non potendosi ravvisare una sostituzione del soggetto responsabile, bensì un affiancamento di un nuovo responsabile a colui che lo era originariamente. Quest’ultimo vede mutare il contenuto della sua posizione di garanzia da obbligo di osservanza diretta della prescrizione normativa in obbligo di vigilanza sull’adempimento del delegato. Sul tema, la Cassazione, con sentenza n.
8375/2024, ha evidenziato che “la delega di funzioni - ora disciplinata precipuamente dall'art. 16 T.U. sulla sicurezza - non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni”.


Deve infine evidenziarsi che, ai fini della sicurezza, la delega non può sortire alcun effetto rispetto a quei compiti che la legge considera non delegabili, dovendo essere assolti personalmente dal titolare della posizione di garanzia. Si tratta, si ripete, della valutazione dei rischi e dell’elaborazione del relativo documento, nonché della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (articolo 17 del D.Lgs. n. 81/2008), che la norma pone a carico esclusivamente del datore di lavoro.



2.1 I requisiti di validità
L’articolo 16 del D.Lgs. n. 81/2008 individua puntualmente i requisiti necessari affinché la delega di

funzioni possa ritenersi efficace. Detti requisiti sono sia relativi all’atto sia relativi al contenuto.



Si riporta di seguito il relativo testo.


1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle
funzioni delegate;

c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla
specifica

natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.



e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.


La norma costituisce la riscrittura in termini di diritto positivo dei principali criteri elaborati, nel corso degli anni, dalla giurisprudenza la quale ha costruito un quadro di riferimento incentrato sull’idea di fondo per cui soltanto una delega correttamente e validamente esercitata è idonea a produrre, a favore del delegante (necessariamente il datore di lavoro), un effetto liberatorio dalle responsabilità che all’esercizio di quelle funzioni sono connesse. Al riguardo costantemente la Cassazione ha affermato il principio secondo il quale la delega deve essere in concreto provata, e che il relativo onere grava sul delegante (così, per tutte, Cass. pen., sez. IV, 25 settembre 2018, n. 41352). L’assenza di prova fa sì che nessuna responsabilità possa essere ascritta al presunto delegato, e che del mancato adempimento torni a rispondere il solo datore di lavoro.
L’articolo 16, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008 richiede sia requisiti formali che sostanziali. Sul piano

formale, è necessario che sussista:


- Un atto di delega scritto recante data certa;

- L’accettazione per iscritto del delegato;

- Adeguata e tempestiva pubblicità della delega (come imposto testualmente dall’articolo 16, comma 2, del Testo unico).


Sul piano sostanziale, occorre che la delega garantisca quanto segue:


- sia conferita a soggetto delegato in possesso di requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
- attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
- attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.


Quanto agli oneri formali si ritiene che, pur non essendo richiesto necessariamente l’atto pubblico, la necessità che la delega abbia data certa comporta l’esigenza di effettuare normalmente la sottoscrizione autenticata della firma in calce alla delega ed alla relativa accettazione. La mancanza di indicazioni, da parte del Legislatore, delle concrete e idonee modalità atte a soddisfare questo requisito ha generato alcuni dubbi interpretativi. Sul punto è anche intervenuto il Garante per la Privacy (pronuncia del 5 dicembre 2000) secondo il quale la disciplina della data certa, richiesta come elementonecessario ai fini della validità della delega di funzioni, può essere riconducibile alla disciplina civilistica in materia di prove documentali e, in particolare, nell’alveo degli articoli 2702-2704 del c.c., i quali recano un’elencazione degli strumenti (ad esempio, marca temporale o c.d. “autoprestazione”) per attribuire data certa ai documenti.
Dal punto di vista della prassi, il metodo più usato e da ritenersi più idoneo rimane l’atto sottoscritto davanti

ad un pubblico ufficiale, senza che sia, comunque, esclusa la possibilità di utilizzo di altri
strumenti utili allo scopo (che è quello di rendere immodificabile un documento in una determinata

configurazione, una volta apposta ad esso una data), quali l’invio di esso – quale documento immodificabile – da indirizzo PEC ad altro indirizzo PEC o per mezzo di apposizione (nel settore delle pubbliche amministrazioni) di protocollo informatico. Tale conclusione è avvalorata, in particolare, dal decreto interministeriale 30 novembre 2012, relativo alle procedure standardizzate per la redazione del documento di valutazione dei rischi – attuativo dell’articolo 29, comma 6, del D.Lgs. n. 81/2008 – in cui è dato leggere, rispetto alla “data certa” del documento, quanto segue: “la data certa va documentata con PEC o altra forma prevista dalla legge”.


La scelta del legislatore è, infatti, legata, analogamente a quanto per il documento di valutazione dei rischi, alla necessità di conseguire la certezza circa l’efficacia della delega, trattandosi di individuare con precisione i soggetti responsabili sul piano penale in relazione al momento di consumazione del reato; per cui qualunque modalità (anche informatica) che garantisca tale risultato deve ritenersi utilizzabile.


L’accettazione può essere effettuata sia contestualmente, e perciò in calce all’atto di delega, sia con atto successivo con le forme richieste per la delega da comunicarsi al delegante (atto recettizio).


Quanto alla necessaria pubblicità della delega, si ritiene che tale profilo attenga alla diffusione della stessa nell’ambito dell’organizzazione aziendale, di modo che possano essere immediatamente riconoscibili, per coloro che operano all’interno dell’organizzazione e per i terzi che vengano a contatto con la stessa, i soggetti preposti a determinate funzioni. La Corte di Cassazione, in particolare, in passato ha in merito evidenziato che: “le evidenti esigenze di certezza connesse alla delicatezza e all'importanza della materia impongono, ai fini dell'efficacia liberatoria di un'eventuale delega, la sussistenza di una adeguata pubblicità della stessa” (Cass. pen., sez. IV, 11 marzo 1999, n. 3250). L’articolo 16, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008, al di là del principio generale enunciato, non indica con precisione quale tipo di atto sia idoneo a soddisfare l'esigenza in questione consentendo l’utilizzo di qualunque atto idoneo allo scopo (ad esempio, la pubblicazione della delega tramite la Camera di Commercio, Industria e Artigianato o tramite il sito dell’impresa e/o la sua trasmissione al terzo con cui l’impresa abbia rapporti). Naturalmente, il requisito della “pubblicità” va inteso, unitamente al senso che appena è stato indicato (direttamente correlato con quello della forma scritta), anche come pubblicità interna all'azienda: ossia come esigenza di rendere l'atto (e l'investitura in esso contenuta) conoscibile atutti i lavoratori; esigenza che il datore di lavoro potrà soddisfare nelle forme e con le modalità che più riterrà opportune, quali, ad esempio, per mezzo di circolari/lettere interne; affissione dell'atto in luoghi a tutti accessibili (in analogia con quanto è previsto all'articolo 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970, intema di pubblicità del codice disciplinare).


In merito ai requisiti di professionalità ed esperienza richiesti in capo al soggetto delegato, il D.Lgs. n.
81/2008 non specifica quali debbano essere. Ciò dipende dalla molteplicità di ambiti e funzioni in cui può operare la delega: si tratta evidentemente di valutare i titoli e l’esperienza del singolo in relazione
all’attività svolta dall’organizzazione aziendale nel suo complesso ed allo specifico settore affidato alla

competenza del delegato. Tale valutazione deve essere necessariamente svolta dal datore di lavoro ex ante, in base ad un giudizio di idoneità ed adeguatezza, che lasci supporre un margine di ragionevole sicurezza in ordine al corretto adempimento dei compiti attribuiti.


Al riguardo, si ritiene che, nell’ambito della responsabilità del datore di lavoro, sussista anche quella relativa alla scelta di soggetto inadeguato rispetto ai compiti trasferiti (culpa in eligendo), così come non può esimersi da responsabilità il delegato che abbia accettato la delega pur non possedendo adeguate conoscenze e capacità nel settore di riferimento (colpa per imperizia).


Per quanto concerne il contenuto della delega, il delegato deve godere di ampi poteri decisionali, commisurati al tipo di attività delegata ed al tipo di interventi che si possono rendere necessari. L’autonomia decisionale ed organizzativa costituisce, infatti, elemento coessenziale all’istituto della delega di funzioni, dovendosi in assenza della stessa parlare piuttosto di “delega di esecuzione”, caratterizzata dalla circostanza che il titolare della posizione di garanzia si sia limitato ad affidare ad un subordinato compiti meramente esecutivi delle proprie decisioni. Pertanto, laddove il delegato non sia dotato di alcuna autonomia decisionale, il delegante mantiene la propria originaria posizione di garanzia e rimane il diretto destinatario della norma penale. In merito va sottolineato come la giurisprudenza p iù recente sottolinea come la delega possa avere effetto liberatorio per il delegante solo qualora: “abbia un contenuto specifico rispetto ai settori di competenza delegati” (così, per ultima, Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2020, n. 17174, che assolve il datore di lavoro sottolineando come nel caso di specie la delega fosse stata conferita per compiti non generali ma ben determinati rispetto all’organizzazione di impresa non comportando “una modifica dello statuto societario, ma solo una legittima distribuzione dei compiti tra i soggetti coinvolti nell'amministrazione della società”).


Nella delega di funzioni, il delegato deve, poi, avere la necessaria autonomia di spesa, deve cioè essere messo nelle condizioni di gestire il settore o il servizio delegatogli anche sotto il profilo economico della disponibilità dei mezzi, che deve essere adeguata all’incarico di riferimento.


Al riguardo la giurisprudenza (così, per tutte, Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2017 n. 30115) rimarca che: “con riferimento alle responsabilità nascenti per il datore di lavoro dalla mancata predisposizionesul piano economico, di attrezzature ed in generale di mezzi per mettere in sicurezza l’ambiente di lavoro, in ripetute occasioni questa Corte ha affermato il principio che “In tema di infortuni sul lavoro, in ipotesi di delega di funzioni spettanti al datore di lavoro, è necessario verificare in concreto che il delegato abbia effettivi poteri di decisione e di spesa in ordine alla messa in sicurezza dell’ambiente di lavoro: e ciò anche indipendentemente dal contenuto formale della nomina (Sez.4A 24.9.2007 n.47136, Macorig, Rv.238350; conforme Sez.4A 30.6.2004 n.36774, Capaldo e altri, Rv.229694).” Ne deriva che i poteri del delegato debbono essere specificamente indicati nella delega – anche solo facendo riferimento al budget aziendale o affidato al delegato – e devono comunque risultare effettivamente a
disposizione del medesimo, in caso di accertamento giudiziale; Cass. pen.,
sez.IV, 4 luglio 2008 n.27433, sottolinea che la delega deve contenere quanto segue: “espressa

previsione di impegno di spesa della società, salvo preavviso e resa del conto a spesa effettuata ai fini del bilancio di esercizio.” Dal punto di vista della prassi normalmente seguita in merito, tale risultato può conseguirsi tramite l’atto di delega o prevedendo un potere di spesa illimitato (il quale, tuttavia, potrebbe non avere in concreto rispondenza nelle dinamiche di spesa reali in azienda) in capo al delegato o conferendogli uno specifico budget (determinato in base all’incarico e al bilancio dell’impresa) o, infine, attribuendo al delegato ogni potere di spesa nell’ambito del budget aziendale a disposizione per la funzione delegata o per il cantiere di riferimento. In tutti e tre i casi, appare più che opportuno che la delega preveda una clausola in forza della quale il delegato sia tenuto a intervenire, senza alcun limite economico, in casi straordinari di necessità ed urgenza, che impongano un intervento per garantire la salute e sicurezza del tutto indifferibile, dovendo unicamente in merito rendicontare al delegante rispetto all’investimento realizzato.


Se dunque la violazione normativa è frutto della scelta di politica generale operata dall’impresa ovvero dell’assenza di potere di spesa per un budget inidoneo ai compiti attribuiti, il delegato non può essere ritenuto responsabile ed il delegante mantiene intatta la propria originaria posizione di garanzia. Tuttavia, occorre tenere presente che il delegato che ritenga di non essere posto in grado di svolgere le funzioni delegate per mancanza dei fondi necessari deve chiedere al delegante di essere posto in grado di svolgerle e, in caso di diniego o mancato adempimento, deve rifiutare il conferimento della delega ovvero rimettere la stessa al delegante. In caso contrario, infatti, può configurarsi a carico del delegatola responsabilità per l’evento che dovesse verificarsi a cagione delle omissioni rilevanti.


Tutti gli elementi sin qui richiamati vengono costantemente richiesti dalla giurisprudenza nelle deleghe, anche nella più recenti pronunce. Al riguardo, per tutte, si rinvia a Cass. pen., sez. IV, 27 settembre 2019, n. 39745, la quale sottolinea come: “in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa” (nello stesso senso, per ultima, la già segnalata Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2020, n.
17174).



2.2 La posizione del delegante

Come già evidenziato, il delegante non può attraverso la delega di funzioni escludere in toto la propria responsabilità sul piano penale. La sua posizione di garanzia, lungi dall’essere esclusa e sostituita da quella del delegato, si riduce di contenuto. Sussiste, infatti, in capo al delegante l’obbligo di assicurare un idoneo sistema di controllo sull’attività del delegato, al fine di non incorrere in responsabilità per culpa in
vigilando, così come espressamente richiesto dall’articolo 16, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008.
In assenza di un idoneo sistema di controllo, il delegante risponde per l’omesso esercizio del potere-

dovere di controllo rispetto all’eventuale reato omissivo o commissivo del delegato. Ove dunque il delegato non osservi la specifica prescrizione normativa (es. reato di natura contravvenzionale per omessa predisposizione della misura tecnica di prevenzione) e, inoltre, da tale inosservanza scaturiscano reati ulteriori (es. morte o infortunio del lavoratore quale conseguenza di detta violazione),il delegante risponde per concorso mediante omissione nel reato del delegato: detto concorso per omissione potrà essere doloso, se il delegante è a conoscenza di fatti idonei a provocare violazioni da parte del delegato e si è scientemente astenuto dall’intervenire, ovvero colposo se, pur non essendo a conoscenza della possibile violazione, non abbia esercitato diligentemente l’attività di controllo sul delegato (in tal caso il reato del delegato deve essere previsto a titolo di colpa).


Alla luce delle considerazioni svolte, appare di fondamentale importanza definire la misura del controllo esigibile da parte del soggetto delegante.


Al riguardo, l’opinione prevalente ritiene che il controllo richiesto non possa essere analitico, cioè essere così penetrante e costante al punto da sostanziarsi nell’adempimento dell’obbligo stesso di cui ildelegante è originario destinatario. Infatti, se così fosse, la dimensione di tale obbligo di controllo renderebbe sostanzialmente inutile il ricorso alla delega. Ciò che dunque può ragionevolmente richiedersi al delegante è un controllo sul generale andamento dell’attività delegata il cui esatto ambito dipende di volta in volta dal tipo di attività svolta.


In linea generale, il limite negativo è costituito da una vigilanza così penetrante ed assidua da configurare una vera e propria “ingerenza” del delegante e consistente in ordini, direttive e consigli indice della mancanza ab origine dell’esigenza di fare ricorso alla delega di funzioni.


Può dunque ritenersi che, laddove il soggetto di vertice dell’impresa, garante originario, abbia dato luogo ad una delega effettiva, avente i requisiti sopra visti, ed abbia approntato un adeguato sistema di controllo sull’attività del delegato, può legittimamente confidare nell’osservanza da parte di quest’ultimo della diligenza richiesta nell’esercizio delle attribuzioni, dovendo attivarsi solo allorché venga a conoscenza di eventuali inosservanze da parte del delegato.


2.2.1 Modelli di organizzazione e gestione

Ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008, l’obbligo di vigilanza gravante in capo al soggetto delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni da parte del delegato si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo previsto dall’articolo30, comma 4, del medesimo Testo Unico.


La disposizione richiamata prevede, infatti, che, nell’ambito del modello di organizzazione e gestione

adottato dall’impresa ai fini dell’esclusione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche
prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, sia previsto un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello

stesso e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Peraltro, la scoperta di violazioni significative delle norme di prevenzione degli infortuni ovvero il mutamento nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico comportano l’obbligo di riesaminare ed eventualmente modificare il medesimo modello organizzativo.


In sostanza, l’adozione di un modello ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, che preveda un sistema di controllo circa la sua attuazione e mantenimento, concreta il rispetto da parte del delegante dell’obbligo di controllo sul soggetto delegato, ai fini di escludere ogni profilo di colpevolezza in ordine all’eventuale reato commesso dal delegato.


La previsione normativa conferma che i compiti di controllo gravanti sul delegante debbano riguardare l’attività del delegato nel suo complesso considerata, prescindendo da un controllo specifico di ogni singolo atto, tanto che lo stesso può risultare adempiuto attraverso l’adeguata attuazione del modello gestionale. In tal modo viene chiarito che la vigilanza in parola è un controllo di altissimo livello, sull’esistenza e l’evoluzione del sistema di prevenzione e non sulle lavorazioni giornaliere (il cui controllo non è compito del datore di lavoro delegante). Al riguardo, si consideri la recente Cass. pen., Sez. III, 12 giugno 2019, n. 25977, che assolve il datore di lavoro sottolineando come nelle imprese di grandi dimensioni “il «datore di lavoro» risponde delle violazioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori che discendono dalle scelte gestionali di fondo ovvero dalla inadeguatezza ed inefficacia del modello di controllo, anche in considerazione delle necessità di adattamento di questo nel tempo a fronte di apprezzabili sopravvenienze”, e, ancora, che: “l'art. 30, comma 4, d.lgs. n. 81 del 2008, richiede «il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo» solo «quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico», e, quindi, solo in occasione di sopravvenienze, appunto «significative». Ne deriva, secondo la Suprema Corte, che per ricostruire le responsabilità in caso di infortunio sul lavoro: “è necessario accertare se le riscontrate violazioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori discendono da scelte gestionali di fondo dell'impresa ovvero dalla inadeguatezza ed inefficacia del modello organizzativo”, di cui risponde il datore di lavoro, oppure, come nel caso di specie, da: “insidie pericolosissime» sul luogo del fatto”, che non possono essere addebitate al vertice dell’organizzazione aziendale.


L’indirizzo appena richiamato evidenzia, tra l’altro, l’importanza e l’opportunità della scelta – che rimane volontaria – dell’impresa di adottare un modello di organizzazione e gestione della salute e sicurezza sul lavoro conforme a quanto richiesto dal D.Lgs. n. 81/2008, quale testimonianza di un’azienda attenta alla salute e sicurezza sul lavoro e che assume un impegno formale e sostanziale di tutelare i propri lavoratori anche oltre il minimo di legge; scelta che il Legislatore “premia” escludendo, in caso di adozione e attuazione del modello, le pesanti sanzioni previste dal d.lgs. n. 231/2001 a carico dell’azienda e che
la giurisprudenza considera come elemento determinante per escludere le
responsabilità penali individuali. A tale riguardo, particolarmente utili saranno i modelli predisposti e

controllati per mezzo di procedure predefinite, dirette a verificare che il modello sia stato non solo correttamente progettato ma sia attuato giorno per giorno al lavoro, quali i modelli “certificati” in base alla ISO 45001 oppure “asseverati”, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 51 del D.Lgs. n. 81/2008, in attuazione della norma UNI 11751:2019.



2.3 La posizione del delegato
Attraverso la delega di funzioni debitamente accettata dal soggetto delegato, questi subentra quale ulteriore soggetto responsabile titolare di una posizione di garanzia. Il delegato è tenuto pertanto a svolgere le funzioni delegate adempiendo alle prescrizioni normative ed attivandosi per prevenire il verificarsi di eventi lesivi.


Il delegato deve inoltre accertare che gli vengano conferiti i poteri decisionali adeguati allo svolgimento dei compiti ed i mezzi economici concretanti l’autonomia di spesa necessaria per l’attuazione delle decisioni assunte. La carenza di effettività della delega impone al soggetto delegato di escludere la relativa accettazione o di revocare la stessa laddove le condizioni suddette dovessero venire meno. Ciò al fine naturalmente di escludere ogni responsabilità in ordine ad eventuali violazioni normative.


In caso di ingerenza del titolare che impartisca ordini o direttive non adeguate al rispetto delle prescrizioni, il soggetto delegato è tenuto a non darvi esecuzione, rimettendo in caso di conflitto il potere conferitogli con la delega.


Si tratta pertanto di una posizione particolarmente delicata, che impone al soggetto delegato l’adempimento dei propri compiti con la diligenza richiedibile, da valutarsi in termini rigorosi vista la natura professionale dell’attività svolta e gli specifici requisiti di idoneità richiesti (articolo 1176, comma 2, c.c.).


L’esercizio delle funzioni delegate comporta la responsabilità penale del soggetto delegato sia in ordine ai reati comuni, sia in ordine ai reati propri, ossia quelle fattispecie criminose nelle quali è richiesto in capo al soggetto attivo del reato una determinata qualifica (es. datore di lavoro). Ne deriva che, pur non ricoprendo formalmente la qualifica richiesta, il delegato, in ragione della delega e della posizione di garanzia con essa assunta, risponde del reato in base al principio di effettività che determina l’individuazione dei soggetti responsabili.


2.4 La subdelega
L’articolo 16, comma 3-bis del D.Lgs. n. 81/2008 prevede e disciplina l’istituto della c.d. subdelega, ossia la possibilità che il soggetto delegato provveda a sua volta a delegare specifiche funzioni ad altro soggetto. Quest’ultimo non può effettuare alcuna ulteriore subdelega, attesa la lettera dell’articolo in
commento che prevede espressamente che: “Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al

presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate”


La disposizione legislativa appena riportata richiede che la subdelega debba possedere alcuni requisiti, e, in particolare:


1) la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali di validità, già analizzati al precedente paragrafo

2.1, e perciò:

a. atto di subdelega scritto recante data certa;

b. accettazione per iscritto del subdelegato;

c. adeguata e tempestiva pubblicità della subdelega;

d. possesso di requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni subdelegate;
e. attribuzione di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni subdelegate;
f. attribuzione dell’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni subdelegate;


2) la previa intesa del datore di lavoro;


3) la specificità delle funzioni subdelegate.


Quanto alla previa intesa del datore di lavoro, stante il carattere formale della subdelega, deve ritenersi che la stessa debba risultare per iscritto; normalmente essa viene conferita al delegato con l’atto di delega, inserendosi in esso la facoltà di sub-delegare ed eventuali condizioni di essa.
La norma richiede comunque l’autorizzazione preventiva del datore di lavoro ad effettuare la subdelega, confermando in tal modo l’esigenza che il datore di lavoro operi il controllo costante sull’attuazione delle funzioni delegate. Inoltre, considerato il carattere eccezionale della subdelega rispetto al principio generale secondo cui il soggetto delegato non può a sua volta delegare le funzioni, appare difficile ritenere ammissibile una ratifica successiva da parte del datore della subdelega operata autonomamente dal delegato.


La norma precisa, inoltre, che la subdelega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al subdelegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. In linea, pertanto, con quanto previsto per il datore di lavoro che delega le funzioni ad altro soggetto e che, come visto, mantiene l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento delle stesse, anche il delegato che assuma la veste di subdelegante rimane titolare del potere-dovere di controllo sull’attività del subdelegato.


Peraltro, il legislatore non chiarisce se, anche in ipotesi di subdelega, l’obbligo di vigilanza gravante in
capo al soggetto subdelegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni da parte del subdelegato si intenda assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e

controllo previsto dall’articolo 30, comma 4 del medesimo D.Lgs. n. 81/2008. Va, in merito, ricordato,

tuttavia, che i modelli di organizzazione e gestione della salute e sicurezza sul lavoro – se correttamente progettati ed attuati – sono composti da procedure di controllo e verifica che, in caso di procedimento penale, possono senz’altro costituire il fondamento delle difese per dirigenti, delegati e sub-delegati, attesa la già segnalata natura della vigilanza ad essi richiesta, relativa al controllo dell’esistenza e dell’efficacia delle procedure di prevenzione e protezione, piuttosto che dei comportamenti dei lavoratori.


Infatti, in base ad una lettura sistematica delle norme, sembra corretto ritenere che l’adozione del modello organizzativo, che deve prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello stesso e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate, e ciò anche con riferimento all’attività del subdelegato, possa costituire idoneo strumento per ritenere assolto l’obbligo di vigilanza da parte dello stesso subdelegante. Sarebbe, infatti, alquanto illogico attribuire al modello di organizzazione e gestione, che ha carattere generale ed unitario, una funzione di esonero per la sola responsabilità del datore di lavoro-delegante e non per quella del delegato-subdelegante.



3. Applicazione della disciplina al settore dei lavori in edilizia: imprese esecutrici e impresa affidataria
L’analisi delle figure rilevanti ai fini della sicurezza all’interno di un’impresa deve essere ulteriormente

approfondita, adattata e completata avendo specifico riguardo allo svolgimento dell’attività edilizia e alla

sicurezza nei cantieri in fase di esecuzione dei lavori.


Da un lato, infatti, occorre comprendere, con riferimento a ciascuna impresa esecutrice, quali siano i soggetti che ricoprono la figura di datore di lavoro, dirigente, preposto e soggetti delegati; dall’altro, è necessario verificare, nella complessità dei soggetti che eseguono i lavori, se vi siano delle posizioni di garanzia peculiari e, perciò, quali siano le posizioni assunte dalle singole imprese che intervengono in cantiere. Infatti, anche rispetto ai lavori edili o di ingegneria civile – quali definiti dall’Allegato X al D.Lgs. n. 81/2008 e regolati dal Titolo IV del Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro – vale il principio per cui la compresenza di più titolari della posizione di garanzia non è evenienza che esclude, per ciascuno, il contributo causale nella condotta incriminata. Ciò significa, come per tutte sottolineato da Cass. Pen., sez. IV, 10 luglio 2015, n. 29798, che un infortunio grave o mortale in un cantiere può, quindi, essere addebitato a ognuno (potenzialmente a tutti) i soggetti della salute e sicurezza nei cantieri per violazione
dei rispettivi obblighi.


Al riguardo, occorre tenere presente che l’articolo 89 del D.Lgs. n. 81/2008 distingue tra impresa esecutrice ed impresa affidataria dei lavori. Definisce la prima come quell’impresa “che esegue un’opera o parte di essa impegnando proprie risorse umane e materiali”, ma attribuisce alla seconda un ruolo preminente nell’esecuzione dei lavori, demandando poi agli articoli 95, 96 e 97 la definizione di differenti
obblighi di rispetto degli adempimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
3.1 Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice

Nell’ottica del Legislatore la singola impresa che esegue lavori si configura ex se come soggetto tenuto al rispetto delle prescrizioni di tutela della sicurezza, prescindendo dal ruolo che ricopre. Nell’ambito di ciascuna impresa esecutrice può, infatti, individuarsi la persona fisica che ricopre il ruolo di datore di lavoro, così come delineata al precedente paragrafo 1.1, quale “soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.


Rispetto alla definizione di datore di lavoro già esaminata, occorre preliminarmente fornire alcuni chiarimenti, in ordine al concetto di “unità produttiva”. Nell’ambito dell’attività edilizia, si pone, infatti, il problema di chiarire se possa considerarsi unità produttiva, ai fini dell’individuazione del datore di lavoro, anche il singolo cantiere, con l’evidente conseguenza di trasferire la titolarità di detta posizione al soggetto che ricopra il ruolo apicale con riferimento al cantiere e non all’azienda nel suo complesso.


Tale conclusione appare difficilmente sostenibile, alla luce della definizione di unità produttiva fornita dallo stesso D. Lgs. n. 81/2008 (articolo 2, comma 1, lettera t), che configura la stessa quale “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”. La definizione normativa sembra infatti privilegiare caratteristiche di autonomia funzionale, sia sul piano decisionale che su quello finanziario, rispetto al complesso dell’impresa, normalmente ravvisabili in stabilimenti o filiali autonome, sotto i profili visti, dalla casa madre. Tale situazione di effettiva autonomia sembra difficilmente configurabile nella situazione tipica delle imprese di costruzione, per le quali il cantiere non appare una struttura separata dall’organizzazione aziendale. Esso potrà, quindi, qualificarsi come sede di lavoro (anzi la “tipica” sede del lavoro edile) ma non come “unità produttiva”, nel senso appena richiamato.


Deve, dunque, escludersi che vi possa essere un qualsiasi automatismo che consenta di definire il singolo cantiere come autonoma unità produttiva, pur non potendosi escludere in situazioni particolari la configurabilità di tale autonomia, specialmente per imprese di grandi dimensioni, operanti in settori diversificati con spiccata autonomia dalla sede centrale. In tal senso, si pensi all’ipotesi del “settore estero” avente una propria autonomia gestionale e decisionale nell’ambito dell’impresa.


In altri termini, il datore di lavoro dell’impresa esecutrice è normalmente il soggetto titolare del rapporto di lavoro con i dipendenti o il soggetto che di fatto ha la responsabilità complessiva dell’intera organizzazione dell’impresa. A seconda, perciò della tipologia di impresa, datore di lavoro può essere il titolare dell’impresa in caso di impresa individuale, l’amministratore unico o l’amministratore delegato in caso di società di capitali o di persone. In quest’ultimo caso, può risultare determinante il conferimento dei poteri decisionali e di spesa attribuiti normalmente al legale rappresentante dell’impresa il quale, in
difetto di diverse individuazioni formali in azienda, sarà il “datore di lavoro” prevenzionistico in quanto
soggetto che “esercita i poteri decisionali e di spesa”, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2. Comma

1, lettera b), del D.Lgs. n. 81/2008.


Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice è tenuto all’adempimento delle misure generali di tutela previste dall’articolo 95 del D.Lgs. n. 81/2008, che risultano definite sia con riferimento alle misure generali previste dall’articolo 15, sia rispetto alle misure particolari relative al cantiere. A detti obblighi si aggiungono poi quelli previsti dall’articolo 96 (che competono ai datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici), tra i quali assume specifica rilevanza, accanto agli adempimenti concreti quali l’obbligo di adeguato accatastamento dei materiali, di rimozione di quelli pericolosi e di stoccaggio ed evacuazione dei detriti e delle macerie, quello fondamentale di redazione del piano operativo di sicurezza.


Rispetto agli adempimenti sopraddetti, lo strumento maggiormente funzionale a delimitare i profili di responsabilità è costituito senz’altro dalla delega di funzioni, attraverso la quale il datore di lavoro, come ampiamente evidenziato nei paragrafi precedenti, può circoscrivere la propria responsabilità all’obbligo di vigilanza e controllo desumibile dall’articolo 16, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008.


Tuttavia, è assolutamente necessario evidenziare che l’accettazione da parte del datore di lavoro del piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, per il singolo cantiere, adempimento all’obbligo di valutazione dei rischi ed elaborazione del relativo documento ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 81/2008 attività prevista come non delegabile da parte del datore di lavoro (articolo 96, comma 2, del Testo unico).


3.1 Dirigenti e preposti nei cantieri

La definizione delle figure del dirigente e del preposto, anche per i cantieri, si desume dalla parte generale del D.Lgs. n. 81/2008, già sopra analizzata. In realtà, la disciplina relativa ai cantieri non fornisce chiarimenti in ordine ai compiti spettanti a detti soggetti, che risultano richiamati nella rubrica dell’articolo
96 (“Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti”), salvo poi riferire esclusivamente al datore di lavoro gli obblighi specifici in tema di normativa dei cantieri. Sul dirigente e sul preposto delle imprese operanti nei cantieri edili gravano, dunque, sicuramente gli obblighi previsti dagli articoli 18 e 19 del D.Lgs. n. 81/2008, già oggetto di trattazione.


La figura di dirigente fondamentale per l’attività del cantiere è il direttore di cantiere, quale soggetto che tipicamente in cantiere “attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa” (articolo 2, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 81/2008). In quanto dirigente preposto all’attività produttiva del cantiere competono al direttore di cantiere gli adempimenti previsti dall’art. 18 del D.Lgs.
81/2008, cui sono riconnesse le sanzioni previste dall’articolo 55. Tale conclusione è costantemente adottata dalla giurisprudenza, nei processi per infortuni sul lavoro in cantiere, nei quali aldirettore tecnico
vengono attribuite responsabilità per non avere svolto le funzioni dirigenziali in
relazione ai lavori di riferimento (si veda, per ultima, Cass. pen., sez. IV, 6 ottobre 2020, n. 27574, nella

quale si sottolinea come spetti a tale figura “tutelare la sicurezza dei lavoratori” (…) e “vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme alle normative vigenti”).


Va sottolineato in merito che, nonostante l’articolo 96 non estenda espressamente gli obblighi ivi previsti al dirigente, in contrasto con quanto annunciato nella rubrica della norma, si trova un chiaro indice degli obblighi comunque gravanti sul dirigente dalla lettura del successivo articolo 159 del D.Lgs. n. 81/2008, che prevede a carico dello stesso le sanzioni penali per le relative omissioni. Detta norma sembra dunque confermare, anche per l’attività dei cantieri, la sussistenza di obblighi gravanti sul dirigente in proprio, del tutto analoghi a quelli propri del datore di lavoro. Se ne desume perciò una posizione di garanzia del direttore di cantiere piena e completa, quale dirigente prevenzionistico.


Ciò non toglie, tuttavia, che nei confronti dello stesso possa essere rilasciata altresì una delega che definisca specificamente i compiti ulteriori, ed in particolare quelli previsti dagli articoli 95 e 96 del D.Lgs. n. 81/2008, con esclusione dei compiti non delegabili, al fine di rendere maggiormente chiaro il ruolo spettante al direttore di cantiere e le attività che gli si richiedono.


In caso di delega piena, pertanto, il direttore di cantiere sostituisce in tutto e per tutto il datore di lavoro, quale garante del rispetto della normativa antinfortunistica sul cantiere, salvo gli obblighi non delegabili e salvo il mantenimento in capo al datore dell’obbligo di vigilanza più volte richiamato. Ciò anche, va sottolineato, rispetto all’adozione delle misure contro il Covid-19 in cantiere, le quali – come già esposto
– devono essere coerenti rispetto a quanto previsto dal Protocollo “cantieri” del 24 aprile 2020, e dal Protocollo siglato il 24 marzo dalle parti sociali dell’edilizia, le cui procedure attuative sono state emanate dalla Commissione Nazionale per la prevenzione infortuni, l’igiene e l’ambiente di lavoro (CNCPT), a valore obbligatorio per tutti i soggetti che operano, a vario titolo, in cantiere.


Alla posizione tipica del preposto devono ricondursi le figure del capo cantiere, dell’assistente e del caposquadra, in quanto soggetti cui spetta essenzialmente il compito di curare l’attuazione da parte dei lavoratori delle direttive impartite dal datore di lavoro o dal dirigente e verificarne l’esatta applicazione. Il capo cantiere, gli assistenti e il caposquadra devono dunque vigilare sulle attività dei lavoratori per garantire che le stesse si svolgano nel rispetto delle regole normative previste e delle disposizioni impartite dagli organi sovraordinati.


Gli obblighi gravanti sul capo cantiere, in qualità di preposto, derivano direttamente dall’articolo 19 del D.Lgs. n. 81/2008, considerato che, come già visto anche per il dirigente, le norme specifiche relative al cantiere non prevedono obblighi particolari se non per il datore di lavoro. Tuttavia, ciò non significa che il preposto non assuma una specifica posizione di garanzia rispetto all’attuazione delle misure di sicurezza in cantiere. Anzi, il suo ruolo è proprio quello di vigilare sul rispetto delle misure di prevenzione in cantiere
da parte dei lavoratori, risultando perciò responsabile, laddove le stesse non siano attuate.

In linea generale, la posizione di garanzia del preposto comporta l’assunzione della responsabilità penale rispetto alle specifiche violazioni degli obblighi propri previsti dall’articolo 19 del D.Lgs. n. 81/2008, nonché della responsabilità relativa ad eventuali infortuni occorsi in cantiere, pur affiancandosi detta responsabilità a quella del direttore di cantiere ed eventualmente del datore di lavoro, in base anche all’assetto delle deleghe poste in essere dal datore di lavoro.


Secondo i principi generali svolti con riferimento all’impresa nel suo complesso, deve dunque desumersi che, nell’ambito del cantiere, può configurarsi la responsabilità del datore di lavoro e del direttore di cantiere, rispetto ai comportamenti omissivi del capo cantiere, qualora risulti che tali soggetti ne fossero a conoscenza, o avrebbero dovuto esserlo, avendo in tal caso l’obbligo di intervenire.


In particolare, nei rapporti tra direttore di cantiere e capo cantiere, ossia tra dirigente e preposto, il direttore di cantiere non può ritenersi esonerato da responsabilità per inosservanza delle misure di prevenzione, in ragione della presenza del capo cantiere, essendo entrambi i soggetti titolari di autonome posizioni di garanzia. Il direttore di cantiere è pertanto responsabile, in tema di infortuni, ove risulti che non abbia sorvegliato l’attività dei preposti o non sia intervenuto, pur essendo a conoscenza delle omissioni degli stessi.



3.3 L’impresa affidataria

L’articolo 89, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 81/2008, contiene la definizione di impresa affidataria, intendendosi per tale: l’“impresa titolare del contratto di appalto con il committente che, nell’esecuzione dell’opera appaltata, può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi”. La norma aggiunge, inoltre, che: “nel caso in cui titolare del contratto di appalto sia un consorzio tra imprese che svolga la funzione di promuovere la partecipazione delle imprese aderenti agli appalti pubblici o privati, anche privo di personale deputato alla esecuzione dei lavori, l’impresa affidataria è l’impresa consorziata assegnataria dei lavori oggetto del contratto di appalto individuata dal consorzio nell’atto di assegnazione dei lavori comunicato al committente o, in caso di pluralità di imprese consorziateassegnatarie di lavori, quella indicata nell’atto di assegnazione dei lavori come affidataria, sempre che abbia espressamente accettato tale individuazione”.


Rispetto a tale definizione, l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, con parere reso in data 27 luglio

2010, ha chiarito che:


1) l’espressione “consorzi di imprese” di cui all’articolo 89 ricomprende consorzi stabili, consorzi ordinari e associazioni temporanee;
2) l’impresa affidataria ai fini della sicurezza deve essere sempre un’unica impresa, anche in

presenza di più imprese esecutrici;
3) l’individuazione di tale impresa è sostanzialmente rimessa alla libera determinazione delle parti,

salvo l’ipotesi dell’associazione temporanea in cui dovrebbe coincidere con la mandataria;

4) tale individuazione deve essere effettuata prima della stipula del contratto mediante apposita comunicazione alla stazione appaltante.


L’esame del ruolo e delle funzioni attribuite dal D.Lgs. n. 81/2008 all’impresa affidataria consente di delineare l’assetto dei compiti in materia di sicurezza nei cantieri, laddove l’esecuzione dei lavori, come spesso accade, non sia demandata ad un’unica impresa, ma ad una pluralità di soggetti, sia perché complessivamente riconducibili al ruolo stesso di appaltatore (associazione temporanea di imprese, consorzio di concorrenti, consorzio stabile), sia perché riconducibili ai diversi ruoli di appaltatore e di subappaltatore.


A tali fini, è essenziale tenere presente che impresa affidataria rispetto ai subappaltatori è l’impresa appaltatrice; ove l’impresa appaltatrice sia costituita da una pluralità di soggetti, secondo le indicazioni dell’Autorità, dovendo comunque essere individuata un’unica impresa affidataria, è tale l’impresa mandataria per l’associazione temporanea ed altra impresa liberamente individuata dalle parti per i consorzi.


Tali precisazioni risultano importanti, poiché ciascuna impresa esecutrice è responsabile in proprio del rispetto della disciplina sulla sicurezza, in base alle disposizioni sopra esaminate, attraverso le varie figure delineate di datore di lavoro, dirigente e preposto, oltre all’eventuale delega di funzioni; tuttavia, all’impresa affidataria spetta un ruolo ulteriore ed aggiuntivo che potrebbe costituire fonte di autonoma responsabilità.


In particolare, l’articolo 97 del D.Lgs. n. 81/2008 attribuisce al datore di lavoro dell’impresa affidataria il compito generale di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e di coordinamento, oltre agli obblighi in generale derivanti dall’esecuzione di lavori in appalto (articolo 26 del D.Lgs. n. 81/2008). Al datore di lavoro dell’impresa affidataria compete, altresì, il coordinamento degli interventi gravanti anche sulle imprese esecutrici (articoli 95 e 96) e la verifica della congruenza dei diversi piani operativi di sicurezzapredisposti dalle imprese esecutrici. Peraltro, l’articolo 97, comma 3-ter, del Testo unico richiede che il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti dell’impresa affidataria siano in possesso di “adeguata formazione”, da intendersi come la formazione – prevista dalla normativa vigente (comprensiva delle diverse disposizioni, qualora pertinenti, contenute negli accordi Stato-Regioni in materia di formazione esalute e sicurezza sul lavoro che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni) – disciplinata dal d.lgs. n. 81/2008 e dai relativi provvedimenti integrativi ed attuativi in relazione al settore dei cantieri temporanei e mobili. Se nessun dubbio può esservi in merito ai contenuti e alla durata dei percorsi formativi per dirigenti e preposti (in quanto essi sono disciplinati dall’Accordo del 21 dicembre 2011, al punto 5 per il preposto e 6 per il dirigente), nessun riferimento è possibile trovare rispetto alla formazione del datore dilavoro, essendo
solo logico e pacifico che se egli svolga il ruolo di RSPP e abbia la relativa formazione
essa sia conforme a quanto richiesto dalla norma in commento. Al fine di non incorrere in possibili

responsabilità in merito, il datore di lavoro dell’impresa esecutrice deve, quindi, essere in possesso di formazione adeguata.


Rispetto all’impresa affidataria, la figura centrale è costituita dal datore di lavoro, che viene menzionato all’articolo 97; tuttavia, il Legislatore, oltre a richiamare le figure del dirigente e del preposto nel comma
3-ter, prevede l’applicazione delle sanzioni penali di cui all’articolo 159 anche in capo al dirigente.


Per l’impresa affidataria si delinea, pertanto, la sussistenza di un ruolo particolare e differenziato rispetto alle altre imprese esecutrici, tale per cui potrebbe ravvisarsi una responsabilità in capo ai soggetti rilevanti (datore di lavoro e dirigente – direttore di cantiere), nell’ipotesi in cui si verifichino reati omissivi o infortuni all’interno del cantiere riguardanti dipendenti di imprese esecutrici. È da ritenersi, infatti, che all’eventuale responsabilità ascrivibile al datore di lavoro, direttore di cantiere e/o capo cantiere della singola impresa possa aggiungersi la responsabilità del datore di lavoro e/o direttore di cantiere dell’impresa affidataria,
laddove siano ravvisabili omissioni rilevanti in relazione al singolo e concreto evento verificatosi.




PARTE SECONDA 

1.       LETTERE DI INCARICO PER L'INTERO COMPLESSO AZIENDALE
1.1     Lettera di incarico per dirigente
1.2     Lettera di incarico per preposto
1.3     Lettera di incarico per Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione 
1.4     Lettera di incarico per addetti a primo soccorso, emergenza e antincendio.
1.5     Lettera di incarico per il medico competente
1.6     Lettera di incarico per addetto al servizio di prevenzione e protezione.
2.       LETTERE DI INCARICO PER IL SINGOLO CANTIERE 
2.1     Lettera di incarico per dirigente/direttore di cantiere 
2.2     Lettera di incarico per preposti
3.       LETTERE DI INCARICO PER L'IMPRESA AFFIDATARIA 
3.1     Lettera di incarico per dirigente/direttore di cantiere 
3.2     Lettera di incarico per preposti
4.       DELEGA DI FUNZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA PER LE IMPRESE ESECUTRICI 
4.1     Delega per l'intero complesso aziendale (articolo 16 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e s.m-i.)
4.2      Delega per singolo cantiere (articolo 16 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n.
81, e s.m.i) 
5. DELEGA DI FUNZIONI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO PER LE IMPRESE AFFIDATARIE
5.1     Delega per singolo cantiere (articolo 16 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.81 e s.m.i.)
6. Sub-delega 
6.1. Modello di sub-delega 

Nel riportare alcuni esempi di lettere di incarico ed esempi di delega in materia di sicurezza utilizzabili dai datori di lavoro segnaliamo quanto segue:

 

-     I modelli devono essere utilizzati dopo averli adattati alle real organizzative delle singole imprese, in particolare nel caso di loro articolazione in uni produttive.

 

-     Più incarichi potrebbero essere affidati alla stessa persona qualora in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

 

-     Alcuni modelli potrebbero non essere utilizzati (ad esempio nel caso in cui il datore di lavoro svolgesse anche le funzioni di RSPP, la lettera di incarico per il responsabile del servizio diprevenzione e protezione non avrebbe senso).

 

-     La normativa prevede che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sia consultato in relazione alla designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, degli addetti al primo soccorso, emergenza e antincendio, del medico competente e degli Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione. E' opportuno che di tale consultazione l'impresa conservi documentazione.

 

-     Per quanto concerne le lettere di incarico per l'impresa affidataria si ricorda che, ove la stessa impresa affidataria ricopra anche le funzioni di impresa esecutrice, le lettere di incarico di cui agli esempi: 1.3,

1.4, 1.5 e 1.6, mantengono la propria validità.

 

-     Nel caso in cui il datore di lavoro abbia conferito una delega per l'intero complesso aziendale (vedi punto 4.1) nulla vieta che vengano conferite deleghe per singolo cantiere (vedi punto 4.2). In alternativa potrebbe essere utilizzato lo strumento della sub-delega, da parte del delegato dellintero complesso aziendale, nei confronti di direttori tecnici di singoli cantieri, previa intesa del datore di lavoro.

 

-     I modelli di delega predisposti nel presente documento sono privi della facol di sub-delega.Qualora la scelta del datore di lavoro sia, invece, quella di consentire che il delegato, a sua volta, possa individuare uno (o più di uno) sub-delegato, si rinvia allultimo paragrafo, che  fornisce istruzioni in merito e individua un modello di sub-delega.

 

-     Per ciò che concerne gli esempi 1.1, 1.2, 2.1, 2.2, 3.1 e 3.2, si segnala che gli obblighi ivi richiamati discendono direttamente dalla legge e, anche per questo motivo, non è necessaria una formale accettazione della lettera di incarico ma è sufficiente la presa visione”.

 

-     Le lettere di incarico per i  dirigenti sono state impostate distinguendo tra incarichi pel’intero complesso aziendale ivi intendendosi le attività fisse dell’impresa quali sede, officina, magazzino, ecc., più le attividi cantiere (es. 1.1), e incarichi relativi ai singoli cantieri (es. 2.1 e 3.1). Ove il datore di lavoro voglia avvalersi di un dirigente per le sole attività fisse dellimpresa, il modello da utilizzare è il modello 1.1 depurato dei riferimenti allart. 96 del D.Lgs. 81/2008 (vedi note n. 2 e 5 delmodello 1.1).

 

-     Per conferire la delega di funzioni limitatamente alle sole attività fisse dell’impresa, potrà essere

utilizzato il modello 4.1 depurato dei riferimenti allarticolo 96 del D.Lgs. n. 81/2008 secondo le note

2 e 5 riportate nel modello 4.1 stesso, analogamente a quanto illustrato al punto precedente.

 

 

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