La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro durante il fascismo
Storia della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro
nell’Italia fascista
Debellate le forze politiche ed eliminato il sindacalismo di classe, il fascismo dava inizio alla sua opera di smantellamento a partire dalla soppressione del neonato Ministero del lavoro per arrivare allo stravolgimento di istituzioni e di normative, quali quelle riguardanti la limitazione dell’orario di lavoro, l’Ispettorato del lavoro, la giurisdizione probivirale, ecc.
La classe lavoratrice italiana rimaneva così in balia di datori di lavoro sempre più autoritari all’interno degli stabilimenti e sempre più espansionisti in ambito economico, decisi a far fruttare, nei confronti della concorrenza estera, la posizione di indiscutibile vantaggio creata a loro favore dal regime.
L’utilizzazione oltre i limiti della manodopera nel processo produttivo veniva così legittimata da una legislazione non solo carente, ma anche resa “arcaica” dai continui “progressi” della tecnica: si pensi soprattutto ai regolamenti speciali per la prevenzione degli infortuni che risalivano a fine Ottocento ed ancora in vigore durante il Ventennio. Il tutto, nella completa assenza di una funzione ispettiva sul rispetto di tale legislazione, che potesse essere considerata degna di questo nome, avrebbe finito per ripercuotersi negativamente sul livello di vita e di salute dei lavoratori.
Lavoratori che, secondo la concezione fascista, avrebbero dovuto essere tutelati nella loro veste di patrimonio indispensabile al processo produttivo e all’efficienza nazionale. Proteggere colui che lavora dai rischi materiali che possono derivare dalla prestazione della sua attività avrebbe significato, per lo Stato fascista, tutelarlo non come individuo, ma come fattore della potenza nazionale. Non era, dunque, l’individuo, la persona, il prestatore d’opera ad essere tutelato, ma ciò che lui rappresentava, vale a dire un capitale in potenza, l’elemento produttore, la cui eventuale minorazione avrebbe avuto ripercussioni sull’intero aggregato. Ed è per questo che, in caso di infortunio, il lavoratore aveva oltre al diritto di essere curato, anche il dovere di sottoporsi alle cure, e per di più nel campo della prevenzione oltre al diritto di essere tutelato dal datore di lavoro dai pericoli inerenti al lavoro, aveva anche l’obbligo di guardarsi da essi, osservando ogni regola prescritta allo scopo oltre a quelle specifiche inerenti al suo ruolo.
Lavorare aveva un fine pubblico, ovvero il potenziamento della Nazione, da cui ne sarebbe scaturito il benessere della collettività.
E l’intervento dello Stato, per quanto riguardava la protezione e l’assistenza ai lavoratori, sarebbe stato ispirato non da motivi di carattere umanitario, ma da ciò che era il suo compito principale, vale a dire la difesa della produzione nazionale e della razza.
Nell’Italia del Ventennio, nonostante l’emanazione di leggi protettive e di tutela per i lavoratori, tanto decantate dalla propaganda fascista, il regime si “impadroniva” dell’evento infortunio e lungi dall’indagarne le cause, se non in maniera superficiale, a carico dei preposti dell’impresa, si concentrava su tutt’altro, al solo scopo di trarne lustro per il proprio futuro impegno assistenziale, a favore delle famiglie danneggiate, e il fallimento dal punto di vista prevenzionistico sta tutto nelle cifre. Se infatti, nel 1921, gli infortuni nel settore industriale erano pari a 134.336 con 422 morti, nel 1942 si registrano 677.049 infortuni e 2.177 morti2.
D’altronde, anche i neoistituiti Enti operavano sempre “al servizio” del regime. L’ENPI, solo per citarne uno, era una istituzione privata ma di diretta emanazione confindustriale e si ispirava a criteri che tenevano comunque sempre in scarsa se non scarsissima considerazione gli interessi dei lavoratori, nonostante le numerose iniziative nel settore della propaganda prevenzionistica che, avrebbero certamente potuto portare miglioramenti se scevre dall’ideologia dominante.
In caso d’infortunio, specialmente se molto grave, i quotidiani non riportavano articoli di giornalisti, ma esclusivamente note di agenzia, costruite sulle tanto “inflazionate” veline ufficiali, anch’esse strumento abituale dell’apparato di regime. Le notizie somministrate e, possiamo dire, ben orchestrate dai vertici del fascismo, complice tanta “ubbidienza” della stampa, raggiungevano, grazie ai quotidiani, gli effetti desiderati: il disastro c’è stato, ma per quanto l’infortunio abbia fatto delle vittime, in termini di sacrificio di persone e anche di cose, è sempre inferiore a quello reale, e la produzione, che è l’unico impegno prioritario, sarebbe dovuta ripartire subito.
Introduzione
I. Il lavoro e la sua sicurezza durante il fascismo
1. Il lavoro nell’ideologia fascista
2. (segue) La Carta del lavoro e il lavoro-dovere sociale
3. Il perché di una tutela del lavoro
4. La prevenzione degli infortuni sul lavoro
5. (segue) Un po’ di storia della prevenzione
6. La costituzione dell’E.N.P.I.
7. Sull’organizzazione di gare e di concorsi concernenti la prevenzione degli infortuni nelle grandi aziende
8. Organi interni di prevenzione nelle aziende: due casi di organizzazione antinfortunistica aziendale
8.1 Il caso della Società «Cantieri Riuniti dell’adriatico»
8.2 Il caso delle Acciaierie e Ferriere lombarde Falck
9. La prevenzione igienica del lavoro. Il Regolamento generale d’igiene del lavoro del 1927
10. Il Medico di fabbrica
II. L’evoluzione in epoca fascista dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
1. L’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali ai sensi del r.d. 13 maggio 1929,n. 928
2. L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro: la necessità di una riforma
3. L’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
3.1. I precedenti storici – La Cassa nazionale infortuni
3.2. La Cassa nazionale infortuni in cinquant’anni di attività
3.3. L’unificazione nell’I.N.F.A.I.L. dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
3.4. L’I.N.F.A.I.L. come istituto unico in regime di esclusività
3.5. Settori di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro non gestiti dall’I.N.F.A.I.L.
4. L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: il r.d. 17 agosto 1935, n. 1765
4.1. I datori di lavoro come soggetti passivi del rapporto assicurativo
4.2. I soggetti attivi del rapporto assicurativo: i lavoratori
4.3. L’elencazione delle lavorazioni protette nel settore industriale e suo carattere tassativo
5. Le prestazioni assicurative
5.1. Le cure negli infortuni delle industrie
5.2. Il diritto alle cure mediche – l’ob133
III. La responsabilità del datore di lavoro: l’art. 2087 c.c. a confronto con le norme preesistenti e le sue prime applicazioni
1. La responsabilità civile dell’imprenditore nella legislazione infortunistica136
2. La responsabilità penale dell’imprenditore e dei preposti: la violazione dei regolamenti di prevenzione come fonte di responsabilità penale
3. La tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore: l’art. 2087 c.c. del1942 145
3.1. I precedenti
3.2. Novità della disposizione contenuta nell’art. 2087
3.3. Diligenza del datore di lavoro nell’approntare le misure a protezione del lavoratore e obbligo di vigilanza e di controllo affinché costui le adotti 155
3.4. Obbligo del lavoratore di usare le misure protettive e concorso di responsabilità con l’imprenditore
4. L’art. 4 del r.d. n. 1765/1935 e l’art. 17 del d.lgs.lgt. 23 agosto 1917, n. 1450 in riferimento all’art. 2087 del Codice civile
5. L’art. 2087 c.c. ed il Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni (r.d. 18 giugno 1899, n. 230)
Fonte: Olympus febbraio 2024 , autrice Maria Morello