La prevenzione dei rischi chimici, biologico e il rischio da ferite nel comparto sanità
Prendersi cura di chi ci cura: la prevenzione e la gestione dei rischi in sanità”, che affronta i rischi chimici, biologici e il rischio da ferite nel comparto sanità.
I rischi chimici più frequenti nel comparto sanità
Da gas di uso medico
Tra i gas usati in ambiente ospedaliero a scopo medico sono compresi gli anestetici, gli sterilizzanti, quelli usati a scopo di laboratorio (idrogeno, aria, azoto, ecc.) ed i radionuclidi usati in medicina nucleare. Non devono ovviamente classificarsi come gas medicali quelle sostanze, come l’alcool etilico che, pur potendo essere presenti come vapori negli ambienti, vengono usati solo allo stato liquido.
L’esposizione a gas anestetici secondo dati epidemiologici rilevati dalla letteratura può provocare:
-Nelle donne addette alle sale operatorie (infermiere e medico) è descritto un rischio di aborti spontanei di 1,3-2 volte superiore a quello delle colleghe non esposte;
-Fra i nati vivi delle lavoratrici esposte a sostanze anestetiche vi è un significativo aumento delle malformazioni congenite; un aumento delle malformazioni si è registrato anche nei figli degli anestesisti maschi;
-Nelle donne esposte vi sarebbe un aumento di tumori, rispetto alle colleghe non esposte;
-Vi è un aumento delle epatopatie sia nei maschi che nelle femmine esposte;
-Vi è un aumento delle malattie renali solo nelle donne esposte.
I predetti danni possono essere evitati innanzitutto attraverso il corretto impiego della strumentazione di anestesia nelle varie fasi di utilizzazione. Tale attenzione garantisce un decremento dell’ordine del 50-70 per cento dell’inquinante. Si possono adottare sistemi di captazione passiva ricorrendo a semplici tubi che convogliano all’esterno i gas di scarico. Esistono maschere a tenuta e provviste di innesto per sistemi di bonifica che possono essere usati per interventi operatori non effettuabili “in intubazione”. Un elemento da considerare con attenzione è costituito dal controllo e dalla revisione tecnica degli impianti di ventilazione e degli strumenti di anestesia con sostituzione immediata di qualsiasi parte deteriorata. Occorre che tali operazioni avvengano periodicamente e siano effettuate da personale tecnico qualificato.
L’esposizione a formaldeide, usata largamente come fissativo dei tessuti biologici e come agente sterilizzante chimico, non desta particolare preoccupazione in quanto, nelle corrette e normali condizioni di lavoro, non si registra il superamento del limite consentito. Solo in situazioni e momenti particolari (apertura di autoclavi, dissiggillatura di locali in disinfezione) vi può essere il rischio di superare tali limiti. In queste circostanze si ricorre obbligatoriamente all’uso di idonei DPI.
3. Il Rischio biologico e il rischio da ferite
Sul rischio biologico in ambienti ospedalieri esistono in realtà dati nazionali ufficiali, quali potrebbero essere quelli di fonte INAIL. Un’indagine condotta dalla Associazione Italiana dei Responsabili dei Servizi Prevenzione e Protezione in ambito sanitario (AIRESPSA) ha evidenziato che le esposizioni a rischio biologico negli operatori sanitari sono molto frequenti e rappresentano circa il 40% di tutti gli infortuni segnalati. I dati maggiormente rappresentativi della situazione italiana derivano dallo Studio Italiano sul Rischio Occupazionale da HIV dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”. I dati accumulati in questi anni hanno consentito di avere una profonda conoscenza scientifica non solo della frequenza, delle cause e delle modalità che conducono all’esposizione occupazionale, o del rischio di contrarre un’infezione, ma anche delle misure di prevenzione attuabili. Il 75% delle esposizioni sono di tipo percutaneo: causate, cioè, da punture accidentali provocate da aghi, o da altri dispositivi taglienti, contaminati con sangue le cui indicazioni preventive sono state pubblicate in un decreto di marzo 2014. Il rimanente 25% è costituito da esposizioni mucocutanee, cioè dal contatto accidentale di materiale biologico potenzialmente infetto con le mucose o con la cute non integra dell’operatore (ad esempio uno schizzo di sangue negli occhi o sulle labbra).
Per quanto riguarda il rischio di contrarre un’infezione è necessario ricordare che gli operatori sanitari sono esposti a numerosi agenti patogeni e l’elenco dei casi di infezioni occupazionali riportati comprende la maggior parte dei microrganismi conosciuti e di quelli emergenti. Il pericolo è diffuso in tutte le fasi di assistenza ai pazienti e/o manipolazione di materiali biologici. Le precauzioni standard, indicano le misure di prevenzione di base da applicare con tutti i pazienti e i loro materiali biologici tra le quali spiccano l’igiene delle mani, i mezzi di protezione individuali e una attenta manipolazione degli aghi e altri taglienti. Le esposizioni percutanee rappresentano un evento estremamente frequente nelle strutture sanitarie; fra i molti patogeni trasmissibili per via ematica acquisiti attraverso tale modalità quelli più rilevanti sono HIV, e i virus dell’epatite B (HBV) e C (HCV). Di questi HBV è l’unico per il quale sia disponibile un vaccino altamente efficace e sicuro; la copertura della vaccinazione negli operatori sanitari non è però ancora ottimale.
Per l’HIV e l’HCV, la probabilità di contagio a seguito di un singolo infortunio, quale la puntura con un ago utilizzato su un paziente infetto, è mediamente inferiore all’ 1%; in alcuni casi però le caratteristiche dell’infortunio e la contagiosità della fonte rendono il rischio significativamente più alto. Tale apparentemente bassa probabilità di trasmissione di queste infezioni per una singola esposizione non deve far dimenticare che nella pratica medica le occasioni di esposizione al rischio biologico sono innumerevoli.
Sulla base dei dati disponibili si stima che le sole esposizioni percutanee negli operatori sanitari ammontino, nel nostro Paese ad almeno 100.000 eventi all’anno, dei quali solo la metà viene regolarmente segnalata.
Come è noto, tra i lavoratori del comparto sanità le donne sono complessivamente la larga maggioranza, in particolare tra gli infermieri. Poiché la maggior parte degli atti sanitari potenzialmente a rischio è eseguita da infermieri, proprio questi risultano - in numeri assoluti - essere i più esposti. Dalle nostre consolidate statistiche risulta che gli operatori sanitari vittime di un’esposizione accidentale di tipo percutaneo (puntura o ferita) sono per oltre i due terzi infermieri e conseguentemente in gran parte donne.
Non c’è alcuna correlazione di genere invece per quanto riguarda la possibilità di contagiarsi.
È quasi superfluo sottolineare l’impatto che può avere un’esposizione a rischio di infezione in una donna in gravidanza o in pianificazione della gravidanza.
In realtà la segnalazione degli infortuni e la loro registrazione ed analisi sono obblighi previsti dal Decreto Legislativo 81 del 2008, il cosiddetto Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro. Molto spesso però il sistema di registrazione è generico e formale ma non raccoglie informazioni tali da permettere un’analisi esaustiva. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che circa la metà delle esposizioni non viene segnalata per molteplici motivi tra i quali c’è una errata percezione del rischio ed un percorso di segnalazione troppo complicato e burocratizzato.
Statisticamente l’esecuzione dei prelievi di sangue, dei posizionamenti di cateteri periferici intra-venosi, delle somministrazioni di farmaci per via endovenosa, parenterale e sottocutanea rappresentano le procedure per le quali è stata osservata la più elevata incidenza di infortuni. Molto frequenti e molto spesso non segnalati sono anche gli infortuni che avvengono durante gli interventi chirurgici.
Gli aghi a farfalla e i cateteri vascolari sono i dispositivi più frequentemente implicati come causa di infortunio. Trattando inoltre di aghi cavi utilizzati in vena o arteria gli infortuni che ne derivano sono a maggior rischio di infezione in caso di paziente fonte infetto per la maggiore quantità di sangue inoculato.
Casi di infezione sono però stati segnalati anche per ferite con taglienti solidi quali lancette per i prelievi capillari o aghi da sutura e bisturi in chirurgia, e, più raramente, per iniezione sottocutanea o intramuscolare.
Di grande importanza è la contagiosità del paziente fonte, espressa dai valori di viremia.
La prevenzione
Esistono precise indicazioni sugli interventi da adottare in seguito ad un infortunio a rischio biologico. La prima misura immediata in caso di puntura è quella di favorire delicatamente il sanguinamento dalla ferita, lavare con acqua e sapone e disinfettare la sede di lesione.
Al più presto poi l’infortunato dovrà segnalare l’infortunio e accedere al servizio individuato per la gestione di questi casi. Innanzi tutto è necessario stimare il rischio, cioè analizzare nel dettaglio le modalità di esposizione (tipo di ago, profondità della ferita, presenza di sangue). Allo stesso tempo è necessario confermare od escludere la presenza di agenti patogeni trasmissibili per via ematica: il paziente fonte deve essere informato e deve essere chiesto il consenso all’esecuzione degli esami necessari quali i test per HIV e HCV. I risultati degli esami del paziente fonte, da acquisire al più presto, e la sua storia clinico-epidemiologica unitamente alla valutazione del rischio per lo specifico infortunio guideranno il comportamento successivo. In caso di paziente portatore di infezioni trasmissibili con il sangue, dovrà essere definito il programma di controlli clinici e di laboratorio da effettuare nei mesi successivi l’incidente, e valutare la necessità di una eventuale profilassi post-esposizione da somministrare all’operatore infortunato. L’operatore dovrà essere informato circa le precauzioni alle quali dovrà attenersi per la durata della sorveglianza, da 3 a 12 mesi, quali ad esempio la necessità di proteggere i rapporti sessuali o di rimandare un progetto di maternità, non donare sangue. In alcuni casi può essere necessario rimuovere temporaneamente l’operatore da alcuni dei sui incarichi consueti. È talora inoltre opportuno supportare l’operatore anche dal punto di vista psicologico: i mesi di incertezza che spesso lo attendono e il timore che la vicenda possa concludersi con una malattia cronica grave possono, infatti, suscitare un’ansia profonda.
Un’analoga gestione dovrà essere messa in atto nel caso, piuttosto frequente, in cui i dati del paziente fonte non siano disponibili.
È importante sottolineare che tutta la gestione di un infortunio a rischio biologico sopra descritta comporta un’organizzazione ben pianificata e collaudata e risorse destinate.