Indumenti di lavoro: obblighi del datore di lavoro
Obblighi del datore di lavoro in merito agli indumenti di lavoro dei dipendenti
Si segnala che sembra trovare scarsissima applicazione fra le aziende, l’obbligo (fissato anche con circolare ministeriale n.34/1999 e sancito anche dalla sentenza n.18573/2007 della Corte di Cassazione) per i datori di lavoro di lavare, a proprie spese e cura, gli indumenti che proteggono i lavoratori dai rischi professionali.
Anche la normale divisa di lavoro - se consente di proteggere da un rischio ad esempio chimico o fisico (es olii, gas, polveri, ecc) evitando quindi che talune sostanze vengano in diretto contatto con la pelle o con i vestiti sottostanti - costituisce un indumento protettivo e, in quanto tale, deve essere lavato dal datore di lavoro. Il problema vero è che ancora molti datori di lavoro non lavano ad esempio le divise in quanto le considerano indumenti non protettivi, ma indumenti consegnati solo ai fini di preservare l'abito del lavoratore dallo sporco e dall'usura.
Già la circolare del Ministero del Lavoro n° 34 del 29/04/1999 spiegava in maniera inequivocabile che “qualora l'indumento assolva anche ad una funzione protettiva viene equiparato ad un dispositivo di protezione individuale (DPI)”, con conseguente obbligo di lavaggio a carico del datore di lavoro. Sull’argomento si evidenzia che tutto ciò che si porta a casa, può permanere nelle lavatrici e mescolarsi alla biancheria domestica, nonché finire negli scarichi urbani, pur trattandosi di sostanze che potrebbero, in alcuni casi, richiedere di essere trattate come rifiuti speciali.
Infine, si segnalano al riguardo due ulteriori sentenze: la prima del Tar del Veneto, che ha imposto al datore di lavoro il risarcimento al lavoratore per aver assolto direttamente alla necessaria pulizia degli indumenti di lavoro, la seconda della Cassazione civile, che ha deliberato l’obbligo di considerare tempo di lavoro quelle utilizzato per indossare e rimuovere i dispositivi di protezione individuale prima e dopo l’espletamento dell’attività lavorativa.
fonte cgil
Sebbene trovi scarsa applicazione nella pratica, per legge l’obbligo di lavaggio di tute da lavoro e divise in genere spetterebbe al datore di lavoro. In caso contrario il lavoratore è tenuto quantomeno al rimborso spese. Per quanto riguarda abiti da lavoro con scopo di protezione questo principio è da tempo affermato (si ritrova già nella circolare del Ministero del Lavoro n° 34)
Ribadiamo che, onde assicurare la fornitura di indumenti funzionali e consoni alle peculiarità dei diversi servizi, il Responsabile di Servizio ha facoltà di avvalersi del parere consultivo dell’RSPP Aziendale sentito il parere del RLS Aziendale .
La prima cosa da tenere presente è che gli indumenti dell’abbigliamento da lavoro vengono indossati, ogni giorno, per parecchie ore spesso consecutive, quindi è molto importante valutare anche aspetti come la qualità dei tessuti con cui vengono realizzati gli indumenti da lavoro con la stessa cura con cui scegliamo quelle per i nostri abiti di tutti i giorni.
Prima di essere bello un capo di abbigliamento da lavoro deve essere prima di tutto adeguato, comodo e realizzato con fibre che permettano di svolgere al meglio la nostra attività (che siano impermeabili o traspiranti, etc), quindi è bene leggere attentamente l’etichetta prima di effettuare una scelta. Dall’etichetta infatti è possibile risalire al materiale con cui sono realizzati e anche alle istruzioni per un lavaggio corretto. Quando si tratta di lavoro, infatti, la praticità e la comodità vengono prima dell’eleganza, senza ovviamente trascurare il decoro e un certo senso estetico di base, indispensabile per garantire in ogni modo una bella presenza.
Il controllo dei materiali con cui vengono realizzati gli indumenti da lavoro è importante anche perché alcune persone potrebbero essere intolleranti a determinati tipi di tessuto, in particolar modo nel caso delle fibre sintetiche da laboratorio. Le fibre sintetiche, infatti, per quanto moderne e innovative potrebbero contenere sostanze chimiche difficilmente tollerabili dal PH della pelle.
Se il datore di lavoro impone al proprio dipendente di indossare una specifica divisa solo sul luogo di lavoro, o se ciò è auspicabile per motivi di igiene e di pulizia, gli deve pagare il tempo necessario per indossarla e per toglierla alla fine della giornata lavorativa. È quanto chiarito dal Tribunale di Milano con una sentenza.
Il caso deciso dal giudice lombardo è abbastanza emblematico: si tratta del dipendente di una nota catena di fast food cui l’azienda aveva imposto, durante l’orario di lavoro, di indossare la divisa con i loghi e i colori della società. Senonché, posta la distanza tra lo spogliatoio e la cucina (circa 20 minuti) il lavoratore aveva chiesto al datore di retribuirgli il tempo per cambiarsi, sia all’entrata che all’uscita dai locali. Richiesta respinta al mittente e, quindi, confluita in un ricorso al giudice.
Il dipendente – si legge nella sentenza – ha diritto a vedersi, in busta paga, conteggiato anche il tempo necessario per indossare e dismettere la “tuta” o qualsiasi altra divisa richiesta dall’azienda. In particolare, secondo la giurisprudenza, il tempo necessario per vestire e togliere la divisa aziendale va retribuito solo se il datore di lavoro impone al lavoratore di cambiarsi sul luogo di lavoro; al contrario, non va pagato se al lavoratore è data facoltà di scelta sul tempo e sul luogo ove indossare la divisa: cosa che, quindi, può serenamente avvenire anche da casa, in luogo dei normali abiti.
Il predetto principio opera a prescindere dalle ragioni per cui l’azienda impone i vestiti. Ad esempio, se ragioni di igiene (si pensi al cuoco di una pizzeria che è costantemente a contatto con il cibo, all’infermiere di un laboratorio di analisi private, all’addetto al banco frigo di un supermercato) o criteri di normalità sociale impongono l’obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro, il tempo necessario per la vestizione e svestizione va, ugualmente, considerato come orario di lavoro e, quindi, retribuito.
L’azienda può imporre ai propri dipendenti l’uso di abiti specifici per diverse ragioni, come:
elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divise;
mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all’espletamento della attività lavorativa:
protezione da rischi per la salute e la sicurezza.
In tale ultimo caso, tali indumenti, rientrano tra i dispositivi di sicurezza che assolvono alla funzione di protezione dai rischi.
Non è tutto. Al dipendente cui sia imposto un particolare abito sul luogo di lavoro, l’azienda deve anche rimborsare i costi di lavanderia per la pulizia della “tuta”. Il lavaggio degli indumenti infatti va risarcito se non trova una specifica voce sulla busta paga. Si tratta di un principio chiarito a più riprese dalla giurisprudenza e considerato ormai pacifico. Secondo una recente sentenza, spetta all’azienda, e non al lavoratore, l’obbligo di garantire l’efficienza degli equipaggiamenti in dotazione (per es. i dispositivi di protezione individuale): un obbligo che sussiste non solo per quanto riguarda la prima consegna del suddetto vestiario, ma anche per l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Viene così definitivamente riconosciuto, a carico del datore, il dovere di provvedere alla fornitura e manutenzione periodica, compreso il lavaggio, degli indumenti.
A tale scopo è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità.
Detta pulizia può essere effettuata sia direttamente all’interno dell’azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne specializzate, la scelta, ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro.
Tornando al problema dei tempi necessari alla vestizione e svestizione, anche la Cassazione, non molto tempo fa, aveva fornito lo stesso principio, sancendo che il tempo impiegato per indossare la divisa rientra nell’orario di lavoro se il datore ne impone l’utilizzo in azienda.
Del resto, una tale soluzione è assolutamente conforme allo spirito della legge che, con l’espressione «orario di lavoro» si riferisce a «qualsiasi periodo in cui il lavoratore resta a disposizione del proprio datore di lavoro, nell’esercizio delle sue attività lavorative o delle sue funzioni», con esclusione degli intervalli di tempo in cui il dipendente gode della piena disponibilità.
fonte:PortaleConsulenti
circolare del Ministero del Lavoro n° 34 del 29/04/1999
Considerati alcuni dubbi sorti in merito agli indumenti di lavoro quando sono destinati ad assolvere ad una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, si ritiene opportuno richiamare l'attenzione sul complesso della pertinente legislazione prevenzionistica, ai fini della sua corretta e puntuale applicazione.
Gli indumenti di lavoro, possono assolvere a varie funzioni:
A) elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divise;
B) mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all'espletamento della attività lavorativa:
C) protezione da rischi per la salute e la sicurezza.
In tale ultimo caso, tali indumenti, rientrano tra i dispositivi di sicurezza che assolvono alla funzione di protezione dai rischi, ai sensi dell'art. 40 del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
Rientrano, ad esempio, tra i dispositivi di protezione individuale (DPI) gli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di protezione contro il caldo od il freddo, gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici, ecc,
L'articolo 43, comma 4 del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. prevede che il datore di lavoro, debba assicurare le condizioni igieniche nonché l'efficienza dei D.P.I. ossia il mantenimento nel tempo delle loro caratteristiche specifiche quali, ad esempio, l'impermeabilita' o la fluorescenza (vedi al riguardo la sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 11139/98 del 9 luglio 1998).
Ciò vale ovviamente anche per gli indumenti di lavoro che assumano la caratteristica di dispositivi personali di protezione.
A tale scopo è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità.
Detta pulizia può essere effettuata sia direttamente all'interno dell'azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne specializzate, la scelta, ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro.
In via generale, qualora gli indumenti sono o possano essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso che si provveda alla loro pulizia all'interno dell'azienda, il datore di lavoro dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione ed il trattamento di tali indumenti da parte dei lavoratori addetti e pertanto dovrà applicare le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo; se viceversa, si sceglie un'impresa esterna, il datore di lavoro, come già ricordato, responsabile delle buone condizioni igieniche e dell'efficienza di tali D.P.I, efficienza che un errata pulizia potrebbe pregiudicare, deve preventivamente assicurarsi che l'impresa stesso abbia requisiti tecnici professionali sufficienti allo scopo e curare che tali indumenti vengano consegnati opportunamente imballati, ed evitare rischi di contaminazione
esterna.
Il datore di lavoro inoltre, dal momento che é tenuto, ai sensi dell'art. 4 comma 5, lett. n del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, ad assumere gli appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate (uso dei DPI) possono causare rischi per la salute della popolazione, fra cui rientra, a questi fini, il lavoratore esterno, deve provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e sulla loro entita'.
Ovviamente l'impresa esterna è responsabile della sicurezza dei propri dipendenti e dovrà pertanto provvedere alla valutazione dei rischi ed alle conseguenti misure di prevenzione e protezione, anche sulla base delle informazioni fornite dal datore di lavoro che ha conferito l'incarico della pulizia degli indumenti.
Si evidenzia poi, in particolar modo, la disciplina specifica dettata dagli art. 14 comma 2 e 28 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, nel caso in cui l'agente contaminante sia il piombo o l'amianto.
Il datore di lavoro dovrà provvedere affinché gli indumenti di protezione siano riposti in luogo separato da quello destinato agli abiti civili; il lavaggio dovrà essere effettuato in lavanderie appositamente attrezzate, con macchine adibite esclusivamente all' attivita' specifica; il trasporto dovrà essere effettuato in imballaggi chiusi, opportunamente etichettati.
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