I ruoli individuati dal T.U. n. 81/2008 e la delega di funzioni in edilizia
Le figure previste dal Testo Unico sicurezza e le relative posizioni di garanzia
La disciplina del Testo Unico riguarda la gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro con riferimento a tutti i settori di attività. Sono pertanto individuate alcune figure che ricoprono ruoli significativi all’interno dell’impresa cui sono riconnessi rilevanti profili di responsabilità.
Tali ruoli significativi comportano la titolarità di “posizioni di garanzia”, rispetto all’incolumità fisica e psichica dei lavoratori, derivanti dal complesso di norme che disciplinano la materia antinfortunistica. Dette posizioni di garanzia comportano l’obbligo di predisporre le idonee misure di sicurezza e di impedire il verificarsi di eventi lesivi per i lavoratori, conseguendo all’eventuale omissione delle misure di sicurezza e al mancato rispetto degli obblighi di prevenzione la responsabilità penale personale del titolare.
Si ritiene dunque opportuno individuare e delimitare le figure rilevanti, al fine di specificarne i relativi ambiti di responsabilità.
Il datore di lavoro
L’art. 2, comma 1 lettera b) del Testo Unico descrive il datore di lavoro come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Sulla base della norma richiamata, si possono enucleare tre definizioni di datore di lavoro: 1) il datore di lavoro in senso civilistico, ossia colui che sul piano formale ha stipulato il contratto di lavoro con il lavoratore ai sensi dell’art. 2082 c.c.; 2) il datore di lavoro delegato, ossia il soggetto cui sono delegate entro certi limiti le funzioni di datore di lavoro; 3) il datore di lavoro di fatto, ossia colui che in base al principio di effettività ricopre detto ruolo, avendone i necessari poteri decisionali e di spesa.
In una stessa impresa è possibile che più persone possano essere contemporaneamente individuate quali datori di lavoro, su ciascuna delle quali ricadono le responsabilità penali del datore di lavoro stesso. Si pensi, ad esempio, al caso di una società composta da due soci di cui uno riveste la carica di amministratore unico e l’altro mantiene comunque poteri decisionali. Al fine di evitare la doppia responsabilità penale, è opportuno definire, tramite documenti scritti, i compiti di ciascun componente del vertice aziendale, o meglio, individuare il responsabile dell’attuazione delle norme di sicurezza.
La riconducibilità di un soggetto, che opera all’interno di una struttura organizzativa, ad una delle tre definizioni di datore di lavoro prospettate, fa sorgere in capo allo stesso la qualifica di soggetto attivo dei reati. Inoltre, in caso di pluralità di unità produttive si avranno tanti datori di lavori titolari di posizioni di garanzia quante sono le unità produttive e ciascuno di loro sarà autonomamente destinatario delle prescrizioni previste dalla legge.
Si evidenzia, in particolare, la rilevanza attribuita dal legislatore all’esercizio di fatto delle funzioni direttive. Ciò emerge sia dalla definizione sopra riportata di “datore di lavoro”, in cui l’utilizzo dell’avverbio “comunque” pone l’accento sulla necessaria sussistenza di poteri effettivi decisionali e di spesa, sia dalla generale previsione dell’art. 299 del Testo Unico, ai sensi della quale le posizioni di garanzia relative ai soggetti rilevanti (datore, dirigente e preposto) gravano altresì su coloro i quali, pur sprovvisti di regolare investitura, esercitino in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascun ruolo.
Delimitata così la figura del datore di lavoro, occorre chiarire quali siano gli obblighi gravanti sullo stesso.
Tale funzione ha il suo momento essenziale per la sicurezza dell’impresa nella valutazione dei rischi, che si traduce nella predisposizione del relativo documento di valutazione, attività peraltro non delegabile. Con tale documento sono individuati i rischi connessi all’attività della struttura e indicate le misure di prevenzione e protezione idonee a tutelare i lavoratori rispetto a tali rischi, nonché il programma per garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza.
Il datore di lavoro deve poi attuare le misure volte ad eliminare i rischi e deve provvedere a dare adeguata informazione ai lavoratori, nonché a svolgere la formazione necessaria a trasferire ai lavoratori le conoscenze per la gestione dei rischi.
Infine, compete al datore di lavoro l’obbligo di vigilanza e controllo sull’effettiva osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni di sicurezza impartite. Più in generale, come si specificherà meglio nel capitolo dedicato alla delega di funzione, spetta al datore di lavoro un generale obbligo di vigilanza sull’attuazione complessiva del sistema di sicurezza e sull’attività svolta dai soggetti delegati.
Al di là degli obblighi specifici gravanti sul datore di lavoro, deve ricordarsi la sussistenza di una norma di chiusura, rappresentata dall’art. 2087 c.c., che impone in via generale al datore di salvaguardare l’integrità psico-fisica del lavoratore. Infatti, la giurisprudenza penale utilizza spesso tale disposizione, ponendola a fondamento della responsabilità del datore di lavoro per violazione di obblighi generali di diligenza, anche in casi in cui non ricorra la violazione di specifiche norme cautelari.
Il dirigente
L’articolo 2, comma 1, lettera d) del Testo Unico descrive il dirigente come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando sulla stessa”.
Dalla definizione normativa emerge l’esigenza che il dirigente sia in possesso di adeguate competenze professionali in materia di sicurezza, la cui verifica compete al datore di lavoro. Dalla nozione contenuta nella norma emerge, altresì, che il fulcro dell’attività svolta dal dirigente sta nel potere organizzativo dell’attività lavorativa e nel dovere di vigilanza sulla stessa. Egli, in sostanza, è l’alter ego del datore di lavoro, in quanto svolge funzioni gestionali ed organizzative, nella conduzione dell’azienda, espressamente conferite dal datore di lavoro, attuando le direttive da quest’ultimo impartite.
Pertanto, a differenza del datore di lavoro, che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva in virtù di generali poteri decisionali e di spesa, il dirigente dirige l’attività produttiva dell’azienda, o di singoli stabilimenti o reparti, senza disporre di poteri decisionali e finanziari riguardanti la gestione complessiva dell’azienda.
Rientrano, dunque, in questa categoria coloro che sono preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell’azienda o di un reparto della stessa, quali: i direttori tecnici o amministrativi, i capi ufficio ed i capi reparto. Anche per i dirigenti, peraltro, come per i datori di lavoro, vale il principio dell’effettività delle funzioni esercitate, nel senso che dirigente sarà colui che di fatto dirige l’attività, anche se sprovvisto della qualifica formale.
Sempre in base al principio di effettività, il dirigente non deve essere necessariamente inquadrato contrattualmente nella categoria dei dirigenti ma è essenziale che svolga, all’interno dell’impresa, come dipendente o come soggetto legato al datore di lavoro da un rapporto professionale, le funzioni tipiche del dirigente.
L’articolo 18 del Testo Unico pone quali comportamenti a carico del datore di lavoro e dei dirigenti una lunga serie di obblighi in materia di sicurezza. Infatti, fatta salva la predisposizione del documento di sicurezza e la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, che rientrano tra gli obblighi non delegabili del datore di lavoro, al dirigente competono, secondo le attribuzioni a lui conferite, gli stessi obblighi sulla sicurezza che fanno carico al datore di lavoro.
Il dirigente, dunque, è uno dei soggetti titolari di “posizioni di garanzia”, in quanto è destinatario degli obblighi di sicurezza iure proprio, cioè in via diretta, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc da parte del datore di lavoro. Egli, pertanto, per il fatto stesso di essere, formalmente o in via di fatto, nella posizione di chi dirige l’attività lavorativa di altri soggetti, è tenuto, al pari del datore di lavoro, a predisporre nel settore di propria competenza tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare i lavoratori, i quali devono essere adeguatamente informati e addestrati in merito alle corrette modalità attuative.
E’ chiaro, tuttavia, che gli obblighi di cui all’articolo 18 fanno carico a quei dirigenti cui competono obblighi di sicurezza, come ad esempio un capo ufficio, un capo reparto, o un direttore di cantiere, dovendosi escludere la responsabilità di dirigenti che svolgono mansioni, ad esempio commerciali o amministrative, il cui esercizio non implichi la tutela della sicurezza.
L’articolo 18 del Testo Unico riferisce gli obblighi di sicurezza ai dirigenti che svolgono attività di organizzazione e direzione “secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite”. Ovviamente, il contenuto delle attribuzioni e competenze dei dirigenti varia da azienda ad azienda, essendo il singolo datore di lavoro, titolare del potere organizzativo primario, a definire le porzioni di potere organizzativo che i dirigenti sono concretamente chiamati ad esercitare. Di conseguenza, è tale ripartizione interna di competenze, effettuata dal datore di lavoro attraverso il conferimento di specifico incarico, a delineare i confini entro i quali i dirigenti devono esercitare i compiti di prevenzione ad essi attribuiti dalla legge.
Il conferimento di tale incarico, tuttavia, è necessario unicamente al fine di trasferire al dirigente quei poteri di direzione ed organizzazione, il cui effettivo esercizio comporta ex se il rispetto degli obblighi di sicurezza. L’incarico, infatti, nulla aggiunge ai fini del rispetto degli obblighi di prevenzione che, come visto, competono ai dirigenti iure proprio, come conseguenza diretta dell’esercizio dei poteri direttivi ed organizzativi, e dunque a prescindere dall’esistenza di una delega specifica in materia di sicurezza
Ovviamente nulla esclude che, ai compiti relativi alla sicurezza compresi nelle funzioni dirigenziali originariamente conferite, il datore di lavoro decida di aggiungerne altri, ulteriori rispetto ai primi, delegando in tal senso il dirigente attraverso uno specifico atto di delega di funzioni
Il preposto
L’articolo 2, comma 1, lettera e) del Testo Unico descrive il preposto come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.
Dalla definizione normativa emerge l’esigenza che il preposto sia in possesso di adeguate competenze professionali in materia di sicurezza, la cui verifica compete al datore di lavoro.
Dalla nozione contenuta nella norma emerge, altresì, che quella del preposto è una figura professionale che si colloca, nella struttura organizzativa dell’impresa, in posizione intermedia tra i dirigenti e gli altri lavoratori. Infatti, spetta al preposto curare l’attuazione da parte dei lavoratori delle direttive impartite dal datore di lavoro o dal dirigente e verificarne l’esatta applicazione, anche mediante l’esercizio di un potere di iniziativa, funzionale alla concreta attuazione degli ordini e delle istruzioni ricevute.
Come per il dirigente, anche per il preposto l’individuazione all’interno della struttura aziendale deve essere fatta alla luce del principio di effettività. Soprattutto per la figura del preposto, infatti, vi è spesso l’assenza di una investitura formale, per cui occorre guardare alle mansioni effettivamente svolte all’interno dell’impresa, con particolare riferimento all’attività di controllo circa il rispetto delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori.
L’articolo 19 del Testo Unico pone a carico del preposto una serie di compiti specifici, che si sostanziano, fondamentalmente, nell’obbligo di vigilare sulle prestazioni lavorative dei dipendenti, al fine di verificarne la conformità rispetto alle prescrizioni in materia di salute e sicurezza.
Il preposto, infatti, deve sovrintendere e vigilare sulla osservanza, da parte dei lavoratori, degli obblighi di legge e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di uso di mezzi di protezione, informando, in caso di persistenza della inosservanza, i diretti superiori dei lavoratori. Inoltre, deve informare tempestivamente il personale delle situazioni di rischio cui sia esposto, indicando le misure di protezione da adottare, e deve segnalare al datore di lavoro o al dirigente eventuali carenze riscontrate nelle attrezzature di lavoro e nei dispositivi di protezione individuale, nonché ogni altra situazione di pericolo della quale venga a conoscenza.
Come il dirigente, anche il preposto è titolare di una posizione di garanzia, in quanto l’articolo 19 pone a carico dello stesso una serie di obblighi specifici in materia di sicurezza, della cui mancata attuazione egli è direttamente responsabile. E’ evidente, tuttavia, che, se per effetto di delega o in via di fatto, il preposto assume una posizione di vertice all’interno dell’impresa, dirigendo il lavoro dei dipendenti, organizzandolo ed impartendo egli stesso ordini e direttive, sullo stesso gravano anche i medesimi obblighi e le medesime responsabilità che in materia di sicurezza competono al datore di lavoro e al dirigente.
In ogni caso, il datore di lavoro, che riveste all’interno dell’impresa una posizione centrale di garanzia, nell’esercizio dei poteri di vigilanza ad esso spettanti deve controllare anche l’operato del preposto. Pertanto, nel caso in cui si siano instaurate nell’esercizio dell’attività lavorativa prassi in contrasto con le misure di sicurezza, con il consenso del preposto, in caso di eventuale infortunio sul lavoro, il datore di lavoro potrà rispondere per omessa sorveglianza, in concorso con il preposto stesso. Infatti, in assenza di una delega espressamente e formalmente conferita al preposto, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, al preposto non competono gli obblighi e le responsabilità specifiche del datore di lavoro o del dirigente, il quale, dunque, deve verificare, attraverso idonee forme di vigilanza, che il rispetto delle misure di sicurezza sia adeguatamente adempiuto da parte dei preposti.
Infine, va rilevato che la presenza di un preposto non esime da responsabilità il dirigente, in caso di inosservanza delle norme in materia di sicurezza. Entrambi, infatti, sono titolari di autonome posizioni di garanzia, seppure a distinti livelli di responsabilità.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione
L’articolo 2, comma 1, lettera f) del Testo Unico descrive il responsabile del servizio di prevenzione e protezione come “la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.
Dalla nozione contenuta nella norma discende che quella in esame è una figura particolarmente importante ai fini della tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, in quanto si tratta del soggetto chiamato, all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, a collaborare con il datore di lavoro al fine di verificare l’adeguatezza delle misure antinfortunistiche adottate.
La nomina del responsabile del servizio di prevenzione rappresenta, peraltro, uno degli adempimenti più significativi che fanno carico al datore di lavoro, tanto da rientrare tra gli obblighi non delegabili, insieme alla valutazione dei rischi e alla redazione del relativo documento.
Il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere sia un soggetto esterno che un soggetto interno all’azienda o all’unità produttiva e, dunque, può trattarsi anche di un lavoratore, purché munito delle capacità e dei requisiti professionali richiesti dalla legge per lo svolgimento di tale delicato incarico. Infatti, deve trattarsi di soggetti provvisti di competenze tecniche e professionali adeguate a garantire un’idonea capacità di svolgimento dell’incarico, anche alla luce della natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro.
L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione è comunque obbligatoria all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva nei casi di cui al comma 6 dell’articolo 31 del Testo Unico, come ad esempio nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori. Inoltre, nei casi previsti dall’articolo 34, tra i quali rientrano le aziende industriali (quali le imprese edili) fino a 30 lavoratori, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione.
L’articolo 33 del Testo Unico definisce i compiti spettanti al servizio di prevenzione che consistono, fondamentalmente, nella individuazione dei fattori di rischio e nella elaborazione di adeguate misure di prevenzione e di sicurezza, nonché nella proposizione di programmi di informazione e formazione per i lavoratori.
Dall’analisi dei compiti descritti emerge che al responsabile e agli addetti al servizio di prevenzione e protezione competono essenzialmente una funzione di consulenza a favore del datore di lavoro, senza autonomi poteri decisionali ed operativi. Per tale ragione, la collaborazione prestata da questi soggetti rispetto al datore di lavoro, non dà luogo di per sé a specifiche responsabilità penali.
Coerentemente con il ruolo consultivo svolto, infatti, il responsabile e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione non rivestono alcuna posizione di garanzia e, dunque, non rientrano tra i soggetti chiamati a rispondere direttamente del loro operato; tanto è vero che il Testo Unico sulla sicurezza, diversamente da quanto previsto per il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto, non contempla alcuna sanzione penale a loro carico.
Naturalmente, il fatto che il legislatore non abbia previsto delle responsabilità dirette a carico di tali soggetti, non significa che questi non debbano rispondere in caso di inosservanza dei compiti loro attribuiti, soprattutto in caso di infortuni sul lavoro. Infatti, nelle ipotesi in cui l’evento lesivo a danno del lavoratore sia direttamente riconducibile ad un errore di valutazione del consulente e/o alla mancata segnalazione al datore di lavoro di carenze, rispetto a quanto previsto nel documento di valutazione dei rischi e rilevate nel corso della sua attività, il consulente stesso potrà essere chiamato a rispondere, anche se l’infortunio non è conseguenza di una specifica violazione da parte dello stesso delle norme in materia di sicurezza.
In tali circostanze, infatti, il comportamento del responsabile del servizio di prevenzione concorre comunque alla produzione dell’evento lesivo e, di conseguenza, il soggetto potrà essere sottoposto a sanzione penale per i reati di lesione o di omicidio colposo conseguenti all’infortunio verificatosi. In simili ipotesi, peraltro, non è da escludere che anche il datore di lavoro possa essere chiamato a rispondere per colpa in eligendo o in vigilando, almeno nei casi in cui l’errore di valutazione del consulente sia palesemente riscontrabile, e dunque tale da essere percepito dal datore di lavoro anche in assenza di competenze tecnico-professionali specifiche.
Infine, è del tutto evidente che, nei casi in cui il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione, svolga di fatto anche il ruolo di datore di lavoro, dirigente o preposto, in base al principio di effettività che regola la materia della sicurezza, incomberanno sullo stesso anche gli obblighi che fanno tipicamente capo a tali figure.
fonte: Ance
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