Gli errori che si commettono nella valutazione dei rischi
Un documento si sofferma sulla valutazione dei rischi, sulle definizioni di pericolo /rischio e sulle caratteristiche dei diversi metodi valutativi induttivi e deduttivi. I possibili errori di fondo, di impostazione, metodologici, tecnici e di gestione
Sappiamo che la valutazione dei rischi è la pietra portante di quel complesso di disposizioni o misure necessarie per evitare o per diminuire i rischi professionali e tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori. È un fondamentale processo che consente ai datori di lavori di prendere i provvedimenti adeguati per la prevenzione di incidenti, infortuni e malattie professionali. Ma come deve essere una valutazione dei rischi? Quale metodologia può utilizzare? E specialmente quali sono i principali errori a cui si può andare incontro?
Per provare a rispondere a queste domande, presentiamo un documento pubblicato sul sito di del Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Nucleare e della Produzione della Facoltà di Ingegneria dell' Università di Pisa, un documento relativo ad un intervento tenuto a Firenze nell’ottobre del 2010 da Stefano Gini e M.G. Marchesiello.
In “D.Lgs 81/2008. La Valutazione dei Rischi” innanzitutto si ricordano le importanti definizioni di rischio e pericolo, concetti che spesso tendono ad essere confusi:
- pericolo: è la “proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni”. È dunque un “concetto deterministico”, “una proprietà intrinseca (della situazione, oggetto, sostanza etc) non legata a fattori esterni”;
- rischio: è la “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione”. In questo caso il rischio è un “concetto probabilistico” e la nozione di rischio “implica l’esistenza di una sorgente di pericolo e delle possibilità che essa si trasformi in una perdita o un danno”.
E dato un certo pericolo, il “relativo livello di rischio non è univocamente determinato, ma esistono tanti diversi livelli di rischio quante sono le combinazioni delle condizioni al suo contorno” (modalità operative, procedure, condizione ambientali, formazione, caratteristiche organizzative, ...).
Tenendo conto di queste definizioni, veniamo ora alla valutazione dei rischi.
Una valutazione dei rischi (VdR) deve considerare, ad esempio: “tempi e frequenze di svolgimento operazioni; chiarezza, adeguatezza e univocità delle informazioni necessarie al loro svolgimento; condizioni di interferenza; qualità della formazione”. E deve considerare anche: “le caratteristiche e la vulnerabilità personali; le dinamiche relazionali di gruppo”. Insomma deve tener conto delle “problematiche legate organizzazione dei sistemi di lavoro e dei soggetti che vi operano alle loro interrelazioni ed ai comportamenti”, dei “fattori che contribuiscono a stabilire gli effettivi livelli di rischio”.
L’approccio alla VdR deve essere “ampiamente interdisciplinare, tanto nell’analisi dei diversi fattori di rischio, quanto nella determinazione di misure di controllo capaci di tenere conto della loro complessa interconnessione”.
Gli autori ricordano che in generale, con particolare riferimento ai metodi sviluppati per gli impianti, riguardo alla valutazione dei rischi si possono utilizzare:
- metodi induttivi: “si ipotizza il guasto e successivamente si analizzano gli eventi che questo può causare”. Ad esempio i metodi: “Albero degli eventi (Event Tree Analysis), FMECA (Failure Modes Effects and Critical Anal.), HAZOP (Hazard and Operability Study);
- metodi deduttivi: “si ipotizza il risultato finale e successivamente si ricercano le cause che lo hanno generato”. Ad esempio le metodologie: Safety Review, Check Lists, HEA (Human Error Analysis), Albero dei guasti (Fault Tree Analysis).
Rimandando alla lettura integrale dell’intervento, che si sofferma sulle caratteristiche e vantaggi di ogni metodologia citata, veniamo ai principali errori che possono essere commessi in ordine alla valutazione dei rischi.
I primi due errori sono “errori di fondo” molto diffusi e più volte denunciati dal nostro giornale. Sono errori che vengono commessi quando non si conosce o non si tiene conto “degli obiettivi del processo di valutazione e del suo reale significato”:
- “credere che la valutazione sia un processo da attivare ‘una tantum’ e non un metodo sistematico per gestire la prevenzione;
- interpretare la valutazione come un mero atto formale, un iter burocratico ‘dovuto’, una nuova ‘tassa’ sulla salute per le imprese, quindi da sbrigare nel modo più semplice ed economico”.
Passiamo agli “errori di impostazione” che spesso solo “logica conseguenza in molti casi dei due precedenti” errori di fondo e derivano, infatti, “dal non tener conto degli obiettivi della valutazione, o dall’attivare un percorso incoerente e inadeguato rispetto agli obiettivi stessi”.
Questi i due possibili errori di impostazione:
- “sbilanciare la valutazione verso gli aspetti ‘diagnostici’ (analisi del rischio) a scapito degli aspetti ‘terapeutici’ (interventi da attuare per risolvere i problemi)”;
- affidare la valutazione “a persone poco preparate, o inadeguate come numero, o con scarsità di tempo e strumenti a disposizione”.
Gli autori si soffermano poi sui tanti e possibili “errori metodologici” nelle valutazioni dei rischi:
- “confondere la mera descrizione delle condizioni di rischio con la loro valutazione (ciò comporta una effettuazione riduttiva del processo valutativo);
- omettere di valutare i rischi in alcuni reparti o lavorazioni, magari considerati marginali e irrilevanti rispetto al ciclo produttivo (ciò comporta un’effettuazione parziale e carente del processo valutativo);
- non curarsi di acquisire ed elaborare tutta la documentazione necessaria, dagli infortuni alle schede tossicologiche, dalle malattie professionali alle certificazioni di legge (ciò comporta carenze ed incompletezze del processo valutativo, per mancata definizione di tutte le fonti di rischio);
- non coinvolgere i soggetti ( medico competente, R.L.S., ecc.) che devono essere coinvolti, o coinvolgerli solo in modo meramente formale, come compimento di un atto dovuto e non come acquisizione di un contributo sostanziale (ciò comporta la mancata partecipazione di questi soggetti al processo valutativo e un suo sostanziale impoverimento);
- mancata o carente elaborazione-individuazione delle misure preventive, di ogni tipo: tecnico, organizzativo, procedurale, DPI, informativo, formativo (ciò comporta un’insufficiente definizione dell’output del processo valutativo, e cioè delle misure da adottare);
- mancata formulazione di un preciso programma attuativo, scandito nel tempo, basato su priorità, esplicito e motivato (ciò comporta la mancata assunzione della valutazione dei rischi nell’ambito delle strategie aziendali);
- mancata dichiarazione dei criteri seguiti nel valutare i rischi (ciò comporta una difficoltà di comprensione e condivisione delle scelte operate);
- esecuzione della valutazione dei rischi ‘a tavolino’, fondandosi solo sull’uso di strumenti precostituiti (cartacei o informatici) senza un riscontro reale delle condizioni di rischio (ciò comporta l’impossibilità di effettuare un percorso valutativo coretto e coerente, cioè calibrato sui reali problemi)”.
Non bisogna poi dimenticare alcuni possibili “errori tecnici”:
- “errori ‘materiali’ nella valutazione (e prima ancora nell’individuazione) dei rischi, con omissioni, sottovalutazioni ma anche sopravvalutazioni (ciò comporta che l’input in base a cui si devono prendere le decisioni in campo di prevenzione è errato, e quindi le decisioni saranno verosimilmente errate);
- errori ‘materiali’ nell’individuazione ed elaborazione nelle misure preventive da attuare, pur in presenza di input corretti” (ciò comporta le stesse conseguenze del primo errore tecnico “in quanto le decisioni saranno anche in questo caso errate”).
Concludiamo l’articolo con un ultima carrellata di possibili errori nella valutazione dei rischi, in questo caso “errori di gestione”:
- “mancata illustrazione, socializzazione e discussione dei risultati del processo di valutazione (ciò comporta un blocco del processo partecipativo e del coinvolgimento di tutte le fasi aziendali al processo preventivo);
- messa in atto parziale o incompleta delle misure preventive definite (ciò comporta lo svuotamento del processo valutativo del suo senso più profondo, e genera un clima di sfiducia generalizzato sulla sequenzialità tra processo valutativo e processo preventivo);
- mancata attivazione di procedure e sistemi per l’aggiornamento continuo del processo valutativo, che dovrebbero essere già previsti nella valutazione stessa (ciò comporta le conseguenze che il processo valutativo non è dinamico né sistemico)”;
- mancata ripetizione del processo valutativo” al variare dell’organizzazione di lavoro (come indicato nel comma 3 dell’art. 29 del D.Lgs. 81/2008), “degli impianti, del ciclo, delle sostanze usate, delle conoscenze scientifiche sui rischi, ecc. (ciò comporta il rapido deperimento del processo valutativo effettuato, e spezza il circolo virtuoso della gestione sistematica della prevenzione in azienda)”.
“ D.Lgs 81/2008. La Valutazione dei Rischi”, intervento a cura di Stefano Gini e M.G. Marchesiello (formato PDF, 188 kB).
fonte: Puntosicuro