Esposizione occupazionale a farmaci antineoplastici in ambito sanitario
panoramica delle conoscenze attualmente disponibili sulla problematica relativa all'esposizione occupazionale a farmaci antineoplastici in ambito sanitario.
I farmaci antineoplastici vengo- no utilizzati principalmente per il trattamento di pazienti con dia- gnosi di tumore ma anche per la cura di altre malattie quali artri- te reumatoide, nefrite, sclerosi multipla e lupus eritematoso.
tando la proliferazione cellulare mediante meccanismi diversi. Tali farmaci possono essere classificati in base al meccanismo d’azione in: agenti alchilanti, antibioti- ci citotossici, antimetaboliti, antimitotici, inibitori delle topoisomerasi e farmaci che agiscono mediante altri meccanismi di azione.
I farmaci antiblastici, utilizzati principalmente come antitumorali, non distinguono la cellula tumorale da
Nel 2020 sono stati diagnosticati più di 19 milioni di casi di tumore in tutto il mondo (Global Cancer Obser- vatory - IARC, 2021) ed è stato stimato che nel 2040 si raggiungeranno 30 milioni di nuovi casi.
Attualmente vengono utilizzati più di 100 farmaci an- tineoplastici di cui molti classificati come cancerogeni certi per l’uomo e fin dal 1970 studi epidemiologici con- dotti su infermieri che manipolavano farmaci antibla- stici senza l’utilizzo di dispositivi di protezione hanno mostrato aumentato rischio di tumori ed effetti sul sistema riproduttivo, (Connor et al 2014 J. Occup. En- viron. Med.).
Tra i chemioterapici antineoplastici, gli antiblastici eser- citano effetti citotossici e citostatici arrestando o rallen-
quella normale, quindi anche cellule non cancerose, soprattutto quelle ad elevato turn-over (ad es. derma e bulbi piliferi, midollo osseo, gonadi, intestino), posso- no subirne l’effetto citotossico e genotossico, ed effetti tossici sono stati evidenziati anche su sistema nervoso centrale, cuore, reni e fegato.
Nei pazienti affetti da tumori solidi sottoposti a chemio- terapia antiblastica sono stati segnalati nuovi tumori, in particolare leucemie acute mieloidi evidenziando possibili effetti cancerogeni di tali farmaci.
La IARC (International Agency for Research on Cancer) ha valutato numerosi farmaci antineoplastici e ne ha classificati diversi come cancerogeni certi (Gruppo 1), probabili (2A) o possibili (2B) per l’uomo e non classi- ficabili per la cancerogenicità per l’uomo (Gruppo 3) (Tabelle 1, 2 e 3).
I lavoratori potenzialmente più esposti a farmaci anti-
neoplastici includono il personale delle farmacie onco- logiche (tecnici di laboratorio e infermieri) durante le operazioni di preparazione delle miscele, quello infer- mieristico durante la somministrazione in day hospi- tal e reparto e gli addetti allo smaltimento dei rifiuti. L’esposizione a farmaci antineoplastici può avvenire attraverso tre vie principali: ingestione, inalazione o per via cutanea. Tale esposizione occupazionale è stata associata a patologie cutanee, problemi di fertilità e ad alcuni tipi di tumori (Graeve et al. 2017), anche se la maggior parte dei dati epidemiologici disponibili si rife- risce a periodi nei quali la manipolazione di tali farmaci avveniva con modalità diverse da quelle attuali. Recen- temente uno studio effettuato su 2.440 infermiere mo- stra un’associazione positiva tra manipolazione di far- maci antineoplastici e percentuale di aborti spontanei, soprattutto in quelle infermiere che non avevano usato dispositivi di protezione individuale e sistemi ingegne- ristici di controllo dell’esposizione (Nassan et al. 2021. Annals of Epidemiology, 95-102.e2).
Il monitoraggio ambientale e biologico dell’esposizione occupazionale, che ha potuto contare negli ultimi anni su tecniche sempre più accurate, ha consentito di evi- denziare che un’esposizione a farmaci antineoplastici in ambito lavorativo è ancora presente nonostante l’a- dozione di dispositivi e misure collettive e individuali di protezione. Attualmente in Italia, circa l’80% delle onco- logie censite dalla SIFO, sono servite da Unità farmaci antiblastici (UFA) che effettuano in media circa 20.000 somministrazioni ogni anno. Nell’UFA si preparano gior- nalmente le terapie antitumorali personalizzate desti- nate ai malati oncologici, in ambiente chiuso, protetto, circoscritto e segnalato, per garantire la qualità delle te- rapie e la sicurezza degli operatori sanitari e ridurre al minimo il numero di lavoratori potenzialmente esposti. Recentemente molte strutture hanno introdotto anche isolatori, sistemi automatizzati e sistemi chiusi di tra- sferimento di tali preparazioni, ma è stata dimostrata la presenza di quantità ancora misurabili di antibla- stici negli ambienti di lavoro e quindi una potenziale esposizione (Gurusamy et al. 2018, Issue 3. Art. No.: CD012860).
Studi di biomonitoraggio su lavoratori che preparano o somministrano farmaci antineoplastici hanno mostra- to effetti precoci di tipo genotossico (danno al DNA) particolarmente su infermieri che somministrano tali farmaci. Purtroppo a distanza di molti anni dai primi studi effettuati, si riscontrano ancora effetti, così come non si è riusciti ad eliminare la contaminazione am- bientale di tali farmaci.
La potenziale esposizione professionale a farmaci antineoplastici rappresenta quindi ancora oggi una problematica che desta preoccupazione e che va af- frontata e risolta come auspicato anche dalle recenti direttive europee in tema di protezione dei lavoratori contro i rischi dell’esposizione a cancerogeni durante il lavoro. L’evoluzione dei metodi di monitoraggio dell’e- sposizione e degli effetti, una maggiore attenzione alla sorveglianza sanitaria degli esposti con l’istituzione del relativo registro di esposizione ai farmaci la cui cance- rogenicità è nota, una maggiore informazione e forma- zione del personale all’uso dei dispositivi di protezione e una maggiore attenzione alla percezione del rischio nel personale esposto sono sicuramente strumenti utili ai fini della valutazione e gestione dei rischi per la salute di tale categoria di lavoratori.
Il Dimeila (Inail) studia da diversi anni gli effetti genotossici dell’esposizione professionale a farmaci anti- neoplastici in infermieri e tecnici che manipolano miscele di tali farmaci, mediante l’utilizzo di biomarcatori di effetto genotossico. I risultati dei primi studi hanno dimostrato la presenza di danno genotossico, in termini di frequenza di micronuclei sulle cellule esfoliate della mucosa orale e di aberrazioni cromoso- miche su linfociti, nei lavoratori esposti rispetto a un gruppo di controllo, dimostrando negli addetti alla somministrazione un effetto maggiore di quello trovato nei preparatori. In un nuovo studio che ha coin- volto tre poli oncologici, nell’ambito di un progetto BRIC, finanziato dall’Inail, è stato introdotto un diario di esposizione, recante la tipologia dei farmaci manipolati e le relative quantità, compilato da ciascun lavoratore. Tale strumento ha consentito di risalire all’esposizione avvenuta e ha permesso di correlare gli effetti trovati, mediante il Buccal Micronucleus Cytome Assay, con la reale esposizione che può essere determinata analizzando solo alcuni dei farmaci manipolati (Ursini et al. Toxicol. Lett. 2019, 316:20-26).
Lo studio ha dimostrato (dopo 14 anni dal primo) la presenza di effetti cito-genotossici sia nei sommini- stratori sia nei preparatori di miscele di farmaci antineoplastici. Nell’ambito del progetto BRIC 2019, è stato creato un Network di poli oncologici che permetterà di incrementare la casistica per confermare la validità dell’approccio individuato.
Dai risultati degli studi disponibili si evidenzia la necessità di individuare idonei biomarcatori di effetto precoce sensibili e non invasivi che potrebbero essere utilizzati, se validati e standardizzati, in programmi di sorveglianza sanitaria di lavoratori esposti.
Il test del Micronucleo sulle cellule di sfaldamento della mucosa orale (BMCyt assay) sembra essere un buon candidato.
Edizioni: Inail - 2021
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