differenza tra soggetto delegato e preposto e i residui obblighi datoriali

Le posizioni di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro

Con la sentenza n. 33630 del 1° agosto 2016,1 la Sez. IV della Corte di Cassazione penale è tornata ad occuparsi dell’individuazione e degli obblighi delle figure dei garanti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, affrontando in particolare il delicato tema della delega di funzioni. La pronuncia richiama principi di matrice giurisprudenziale ormai consolidati in materia – e che trovano oggi puntuale previsione nel dettato normativo dell’art. 16 del d.lgs. n. 81/2008 –, sottolineando i requisiti essenziali per il trasferimento della posizione di garanzia in capo al delegato e rilevandone poi le differenze con la figura del preposto, con specifico riferimento alle residue responsabilità del datore di lavoro. 

a vicenda da cui trae origine la pronuncia della Suprema Corte è così riassumibile. Un operaio di una ditta di escavazioni, addetto al controllo delle fasi di scavo, a causa del franamento di una parete dell’incavo, rimaneva ricoperto parzialmente e decedeva a seguito delle lesioni subite. Venivano quindi chiamati a rispondere penalmente, ai sensi dell’art. 589 c.p. per negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, sia il legale rappresentante della società norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, sia il legale rappresentante della società (al quale venivano contestati altresì i reati contravvenzionali di cui all’art. 4, comma 5, punti d) ed e) del d.lgs. n. 626/1994, applicato ratione temporis) in qualità di datore di lavoro e direttore di cantiere, sia un geometra dipendente della stessa società, in qualità di preposto e (anch’egli) direttore di cantiere.  All’esito dei due giudizi di merito svoltisi dinanzi al GUP e alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, entrambi gli imputati venivano dichiarati responsabili dei reati contestati. Avverso la decisione d’appello proponeva quindi ricorso in Cassazione il legale rappresentante, il quale, rilevata la complessità della struttura aziendale e la nomina di “dirigenti specificamente preposti alla sorveglianza ed alla sicurezza” presso ciascun cantiere allestito, eccepiva la puntuale predisposizione, nel caso di specie, di un Piano Operativo di Sicurezza e la designazione del coimputato quale preposto-direttore di cantiere, avente “lo specifico compito di controllare l’osservanza delle norme di sicurezza e dotato di tutti i poteri decisionali, compresi i poteri di spesa”: il ricorrente rappresentava pertanto la sussistenza di una esplicita delega di funzioni. 


La Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze avanzate in punto di illogicità della sentenza di seconde cure, rilevando come quest’ultima si fosse limitata a riprodurre fedelmente l’apparato motivazionale del GUP reggino, giungendo così a confermare la responsabilità del legale rappresentante, seppur sulla base di presupposti argomentativi totalmente divergenti: la prima pronuncia di merito, infatti, aveva sostenuto l’inesistenza di una valida delega di funzioni in favore del preposto, mentre i giudici del gravame ne avevano ritenuta provata la sussistenza, determinandosi in tal modo una evidente aporia motivazionale. Sulla base di tali premesse, dunque, i giudici di legittimità hanno annullato con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo in particolare come quest’ultima avesse fatto “confusione … sulle diverse figure del delegato e del preposto” e rimettendo quindi ad altro giudice d’appello il compito di stabilire le funzioni effettivamente esercitate da ciascuno dei due imputati, così da delineare l’esatto ambito di responsabilità in capo al datore di lavoro. 
 
 È bene premettere come l’intero sistema prevenzionistico in tema di sicurezza del lavoro sia volto a governare i pericoli connessi allo svolgimento delle attività produttive. In base alle differenti situazioni lavorative, è infatti possibile configurare differenti aree di rischio (ivi inclusa quella relativa ai comportamenti imprudenti o comunque inappropriati degli stessi lavoratori), a cui corrispondono, parallelamente, differenti sfere di responsabilità in capo a quei soggetti che quel rischio sono chiamati a governare: i “garanti”, titolari dell’obbligo giuridico di impedire eventi lesivi in danno ai lavoratori (cd. posizioni di garanzia). Come noto, è innanzitutto la normativa di settore (d.lgs. n. 626/1994, prima, e d.lgs. n. 81/2008, poi) a delineare le diverse figure di garanti, che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale.  La prima di queste è ovviamente quella del datore di lavoro, che è il soggetto avente la responsabilità dell’intera organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva, in quanto esercita i relativi poteri decisionali e di spesa (cfr. artt. 16, 17 e 18 del d.lgs. n. 81/2008). Sul medesimo incombe l’onere di predisporre le misure antinfortunistiche, nonché di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte di eventuali preposti e lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro.2 Il dirigente (art. 18 del d.lgs. n. 81/2008) costituisce invece il livello di responsabilità intermedio: è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli.  Infine, il preposto (art. 19 del d.lgs. n. 81/2008) è colui che sovrintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati all’incarico.  Come affermato dalla pronuncia in commento, sulla base di un orientamento ormai consolidato3, i poteri e le attribuzioni di responsabilità in capo al dirigente e al preposto non necessitano di alcun atto datoriale, derivando direttamente a titolo originario dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche di ciascuna delle predette figure (art. 299 del d.lgs. n. 81/2008). Pertanto, in presenza di una pluralità di titolari della posizione di garanzia, ciascuno di essi è destinatario per l’intero dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge sino a quando non si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione, così che l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica sarà addebitabile iure proprio ad ognuno dei soggetti suindicati. 

Le strutture e le organizzazioni aziendali pongono invero spesso la necessità, per i vertici dell’impresa, di avvalersi di soggetti terzi dotati di competenza qualificata in grado di sostituirli o affiancarli nell’adempimento degli obblighi prevenzionistici su di sé gravanti. È tale fenomeno di ripartizione organizzativa che prende il nome di “delega di funzioni”, che si sostanzia per l’appunto nel trasferimento in capo a tali soggetti terzi degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia del delegante.5 L’istituto in parola trova origine nella prassi della giurisprudenza di legittimità, che nella previgenza del d.lgs. n. 626/1994, deducendone a contrariis l’ammissibilità dal dettato dell’art. 1, comma 4-ter6, ne ha tratteggiato i presupposti fondamentali. Tra le più recenti, merita particolare menzione la pronuncia della V Sezione Penale della Corte di Cassazione del 22 novembre 2006 n. 384257, ove si afferma che l’atto di delega “deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (di recente, in termini, v. Cass., Sez. IV, 12 gennaio 2005, Cuccu; nonché Cass., Sez. IV, 1° aprile 2004, Rinaudo ed altro)”. 

Ulteriore ed imprescindibile elemento di validità della delega è costituito dalla effettiva autonomia di spesa del delegato, così come rilevato ex multis da Cassazione penale, sez. IV, sentenza dell’8 febbraio 2008, n. 62778, ove viene riconfermato che “ampi ed autonomi poteri di spesa ed organizzativi in materia di prevenzione degli infortuni, (sono, ndr) ritenuti indispensabili ai fini dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro”. Siffatti principii di natura sia formale che sostanziale – ribaditi, d’altronde, dalla stessa pronuncia qui in commento – sono stati puntualmente recepiti dal primo comma dell’art. 16 del d.lgs. n. 81/2008, che accoglie e sancisce il principio di generale delegabilità delle funzioni prevenzionistiche datoriali.9 Alla lettera a) del primo comma dell’articolo in questione si rinviene un primo duplice requisito dell’atto di delega, consistente nella richiesta di forma scritta ad substantiam e di data certa.10  La successiva lettera b) impone, invece, al delegato il possesso di requisiti di carattere materiale quali professionalità ed esperienza. In proposito, è pacifico il riferimento alle qualità empiriche del delegato, in relazione ad attività svolte nel corso della propria formazione professionale e della propria carriera; si richiede, infatti, non una generica propensione organizzativa, ma una competenza tecnica e professionale parametrata e correlata all’attività da svolgere11, tanto che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha fatto riferimento a: “necessarie conoscenze tecnico-scientifiche in materia di sicurezza del lavoro”, “particolare esperienza nell’organizzazione dei presidi antinfortunistici nei luoghi di lavoro, anche in relazione alla specifica attività produttiva esercitata dall’impresa”12, “soggetto di particolare competenza nel settore della sicurezza individuato e rivestito del suo ruolo con modalità rigorose”13, “persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento”14, “persona esperta e competente”. 15 Le disposizioni sub lett. c) e d) individuano elementi contenutistici determinanti per la corretta operatività della delega; al delegato devono difatti necessariamente attribuirsi “tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo” adeguati alla natura delle attività richieste ed è altresì essenziale il conferimento “dell’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate”; trattasi di imprescindibili profili di autonomia gestionale che completano la posizione di garanzia derivata e ne garantiscono l’effettiva esplicazione. Il requisito dell’accettazione per iscritto da parte del delegato, di cui alla lettera e), consacra invece la delega di funzioni a negozio bilaterale, distinguendola da un mero atto unilaterale recettizio, differenziandolo in tal modo dal mero conferimento di incarico. Completa il novero degli elementi essenziali il disposto del comma 2, ove si richiede che venga data alla delega tempestiva e adeguata pubblicità, da intendersi quale pubblicità-notizia. 16 Ai requisiti rigorosamente indicati dal dettato normativo del summenzionato art. 16 si deve aggiungere un ulteriore elemento, connaturato alla delega stessa e pacificamente individuato dalla prassi giurisprudenziale: 

l’individuazione dei compiti di natura prevenzionistica oggetto del trasferimento. Come recita il Supremo Collegio, “La delega alla sicurezza sul lavoro richiede l’individuazione, da parte del delegante datore di lavoro, dei compiti di natura specificamente prevenzionistica che vengono trasferiti in forza della stessa. In tal modo, può considerarsi come delegato alla sicurezza il direttore di stabilimento cui è imposta la predisposizione di misure antinfortunistiche in relazione a tutti i macchinari presenti in azienda, e non anche il direttore nominato responsabile di un determinato servizio (nella specie, direttore del servizio di ingegneria industriale e progettazione), al quale la delega è stata attribuita in senso “atecnico”, come può essere attraverso un atto che concretizza l’articolazione organizzativa aziendale”. 17  L’ambito applicativo del principio di delegabilità in parola viene, però, al contempo circoscritto sotto un duplice punto di vista: innanzitutto, attraverso l’indicazione delle funzioni tassativamente indelegabili da parte del datore di lavoro, al fine di limitare la trasferibilità degli obblighi datoriali in materia prevenzionistica e antinfortunistica. Siffatte eccezioni, di cui all’art. 17 del decreto citato, sono individuate nella valutazione relativa a tutti i rischi connessi all’attività di impresa e nella redazione del relativo documento, nonché nella designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi.18 In secondo luogo, l’esistenza della delega, se da un lato consente di individuare una nuova ed autonoma posizione di garanzia a titolo derivativo in capo al delegato, dall’altro non libera interamente il delagante, su cui permane un generale obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite da parte del medesimo delegato, ai sensi dell’art. 16, comma 3 del d.lgs. n. 81/2008.19 Trattasi, in particolare – come enunciato dalla stessa sentenza qui in esame – di vigilanza “alta”, “che di certo non può identificarsi con un’azione di vigilanza sulla concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni che la legge affida, appunto, al garante. Se così non fosse, l’istituto della delega si svuoterebbe di significato. La delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui demanda i pertinenti poteri: al delegato vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo. Ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato. Esso riguarda, come si è accennato, precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni.” (Cass. pen., sez. IV, 1° febbraio 2012, n. 1070220). Eventuali responsabilità penali datoriali, dunque, in caso di delega di funzioni, potranno individuarsi ai sensi dell’art. 40, comma 2 c.p. esclusivamente nel duplice limite della culpa in eligendo, ossia per la nomina di un soggetto delegato privo dei requisiti professionali richiesti ex lege, e della culpa in vigilando, ossia per il mancato controllo circa l’esatto adempimento da parte dell’extraneus delle funzioni delegate. In questa prospettiva, quindi, “onde apprezzare in concreto il titolare della posizione di garanzia occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi rivestiva; non potendosi peraltro escludere che, sempre nel concreto, si apprezzi la sussistenza di una pluralità di soggetti chiamati concorrentemente a governare il rischio: ciò che è ben possibile, specie in organizzazioni di una qualche complessità, laddove vi siano persone, con diversi ruoli e competenze, chiamati a ricoprire il ruolo di garanzia.” (così, Cass. pen., sez. IV, 28 maggio 2013, n. 3773821). 

Nelle imprese di grandi dimensioni si pone la delicata questione, attinente all’individuazione del soggetto che assume su di sé, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede logicamente e giuridicamente quella della (eventuale) delega di funzioni. Come rilevato dalla prassi della Suprema Corte, “In imprese di tal genere, infatti, non può individuarsi questo soggetto, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell’effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità all’interno dell’apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l’organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (così, esattamente, Sezione IV, 9.7. 2003, Boncompagni; Sezione IV, 27.3. 2001, Fornaciari, nonché Sezione IV, 26.4.2000, Mantero). In altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire senz’altro all’organo di vertice la responsabilità per l’inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare l’apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all’interno di questo, al responsabile di settore. 

Diversamente opinando, del resto, si finirebbe con l’addebitare all’organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri. È altrettanto vero che il problema interpretativo ricorrente è sempre stato quello della individuazione delle condizioni di legittimità della delega: questo, per evitare una facile elusione dell’obbligo di garanzia gravante sul datore di lavoro, ma, nel contempo, per scongiurare il rischio, sopra evidenziato, di trasformare tale obbligo in una sorta di responsabilità oggettiva, correlata in via diretta ed immediata alla posizione soggettiva di datore di lavoro.”.22 Pertanto, come enunciato dalla pronuncia qui in esame, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio “essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo”.

In conclusione, con riferimento al caso di specie sotteso alla sentenza in commento, sarà compito del giudice del rinvio – sulla base dei principii suillustrati – valutare innanzitutto le reali dimensioni strutturali ed organizzative dell’azienda, individuando in concreto il soggetto tenuto alla gestione del rischio da cui è occorso l’evento mortale a danno del lavoratore. Più specificatamente, una volta accertata l’eventuale complessità aziendale, andrà chiarito se la mancata adozione delle armature di sostegno dello scavo nonché la mancata adozione dei dispositivi individuali di protezione da parte del lavoratore deceduto siano state il frutto di scelte gestionali di fondo, con conseguente responsabilità penale anche del datore di lavoro, ovvero sia stato l’esito di una scorretta esecuzione in concreto della prestazione lavorativa, con responsabilità da imputarsi al solo preposto. In secondo luogo, dovrà stabilirsi se l’indicazione del dipendente coimputato nel Piano Operativo di Sicurezza quale preposto direttore di cantiere costituisca un mero atto d’investitura in un ruolo funzionale tipizzato dalla legge (preposto), espressivo del principio organizzativo della divisione e/o specializzazione delle mansioni, con conseguente conservazione della posizione di garanzia anche in capo al datore di lavoro, ovvero rappresenti una vera e propria delega di funzioni, con conseguente decentramento dei poteri decisionali e delle relative responsabilità dal titolare ope legis (datore di lavoro) al preposto. In ultimo, anche qualora si dovesse ritenere accertata la sussistenza di una delega di funzioni, sarà da valutarsi il corretto adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi residuali di vigilanza sullo stesso gravanti. 

Tratto da :


Le posizioni di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro: differenza tra soggetto delegato e preposto e i residui obblighi datoriali  di Alessio Pizzi* fonte: Olympus

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