Consigli pratici per Gestire l'aggressivita' in ambito Sanitario

Consigli pratici su come Gestire l'aggressivita' in ambito Sanitario  per gli operatori della sanità

Le aggressioni in ambito lavorativo rappresentano un fenomeno in continua crescita.
Tra i comparti lavorativi più a rischio rientra quello della sanità dove le forme di violenza fisica e verbale stanno assumendo connotati sempre più preoccupanti. Secondo alcune statistiche, infatti, ben il 30% delle aggressioni in ambito lavorativo interessa la sanità.
Inoltre, la pandemia ha contribuito all’aumento delle forme di aggressione rivolte agli operatori sanitari facendo “esplodere” il problema nelle sue espressioni più manifeste.

Il presente opuscolo ha come obiettivo quello di promuovere l’assunzione, da parte dei sanitari, di comportamenti utili a favorire la riduzione di fenomeni di aggressività manifestati dagli utenti.
Si tratta di un primo approccio preventivo nell’ambito di un progetto più ampio di contrasto alla violenza nei luoghi di lavoro che si svilupperà nei prossimi mesi.

L’attenzione alla prevenzione delle molestie e violenze nei luoghi di lavoro ha portato all’introduzione di normative che integrano la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro affiancandosi a quelle riguardanti lo stress lavoro correlato.


Cos’è l’aggressività?
L’aggressività, come la sessualità, è un istinto naturale presente in tutto il regno animale.
Entrambi questi istinti hanno la funzione di permettere la sopravvivenza della specie.
L’aggressività permette di garantire la risposta ai propri bisogni difendendosi da ciò che si considera un pericolo e di far fronte a quella che viene ritenuta “l’aggressività degli altri”.
Quello che distingue l’aggressività presente nell’uomo rispetto alle altre specie del regno animale è la capacità di controllo delle azioni aggressive.

Come si controlla l’aggressività?
I comportamenti aggressivi possono essere controllati dalle singole persone in base a numerosi fattori individuali e sociali:
- l’educazione
- la cultura
- la capacità di critica e di autocritica
- il livello intellettivo
- la presenza di una psicopatologia. Ma influiscono anche:
- le leggi vigenti
- il contesto socio-economico in cui si è cresciuti
- il contesto sociale in cui si vive.

Esiste una aggressività “normale”?
Abbiamo premesso che l’aggressività di per sé, come istinto, è naturale, esistono infatti comportamenti aggressivi che entro certi limiti possono essere ritenuti “normali”.
Così, ad esempio, l’aggressività sportiva e la tensione volta al superamento di un ostacolo sono considerati non solo normali ma addirittura cercati e suggeriti.
Il problema riguarda il controllo delle azioni aggressive.

L’aggressività è collegata con la frustrazione?
Anche la frustrazione è una esperienza provata da tutti.
Infatti, se per frustrazione intendiamo “la mancata soddisfazione di un desiderio”, è abbastanza evidente che tutti noi proviamo nel corso della vita dei desideri che non possono essere soddisfatti.
La frustrazione continua di richieste considerate “vitali” è una delle cause principale
di comportamenti aggressivi anche di tipo esplosivo. Si provi a pensare ad una persona che ha un appuntamento per una visita alle 9 e che alle 13 è ancora in attesa per un tempo non definito.


Come si esprime il comportamento aggressivo?
L’aggressività si può manifestare in più modi. Può essere espressa in modo verbale e diretto o attraverso azioni.
Le azioni possono essere rivolte verso le cose (la distruzione di suppellettili o mobilio), verso le persone (solitamente l’interlocutore diretto o chi rappresenta l’istituzione fonte della frustrazione) o verso se stessi.
Si tratta di azioni/parole solitamente espresse con energia, inappropriate,
ma ritenute erroneamente utili al superamento della situazione frustrante e al raggiungimento del proprio scopo personale.

Qual è il ruolo della provocazione quando si manifestano comportamenti aggressivi?
Chi aggredisce solitamente percepisce l’aggredito come provocatore
dell’aggressione e scarica su di lui la responsabilità dell’aggressione.

Che differenza c’è tra il contrasto ed il conflitto?
Il contrasto riguarda il "merito" delle cose ed è esterno alle persone, il conflitto invece riguarda la relazione tra due persone. Due persone possono essere in contrasto per motivi professionali o di metodo senza entrare in conflitto cioè offendersi o aggredirsi sul piano personale.
Durante le azioni aggressive (verbali o fisiche) si assiste sempre ad una situazione di conflitto.

Esistono delle tecniche per gestire l’aggressività degli altri?
Sì e questo opuscolo offre spunti comportamentali per meglio gestire le situazioni di conflitto e di aggressione.


ANTECEDENTI DELL’AGGRESSIVITÀ

FATTORI DI RISCHIO LEGATI ALL’ORGANIZZAZIONE

Mancanza di ascolto e di attenzioni all’utenza (salutare, fare cenni del viso, fornire informazioni sui tempi d’attesa)
Poca comprensibilità delle comunicazioni (usare un linguaggio in accordo con il livello socioculturale dell’utente)
Mancato rispetto degli impegni da parte del personale
Tempi di attesa prolungati
Linee di condotta e procedure vaghe
Mancanza di privacy durante la comunicazione
Mancanza di preparazione nella gestione delle criticità organizzative da parte del personale


FATTORI DI RISCHIO LEGATI ALL’OPERATORE

Provocazione deliberata
Atteggiamento aggressivo
Eccesso di domande (intrusività) Aggressioni recenti vissute in modo passivo


FATTORI DI RISCHIO LEGATI ALL’UTENZA

Necessità di scaricare energie
Mancanza di conoscenza sui tempi di attesa
Problemi/disturbi mentali
Abuso di alcol e sostanze
Dolore
Pressioni di gruppo (altri utenti)
Percezione negativa degli atteggiamenti degli operatori
Aspettative


POSSIBILI SEGNI PREMONITORI CHE ANTICIPANO UN’AGGRESSIONE

Tensione muscolare
Sudorazione
Sguardo diretto negli occhi
Respiro rapido
Vicinanza eccessiva che crea disagio
Tono della voce aumentato
Insulti, critiche violente, minacce verbali
Volto paonazzo Alzarsi in piedi Agitazione motoria
Espressioni di rabbia o frustrazione
Gestualità esagerata Postura e gesti minacciosi Alterazione da droghe o alcol
Atti di violenza contro oggetti


SUGGERIMENTI PER RAFFREDDARE LA TENSIONE

1. Farsi riconoscere nel proprio nome e nel proprio ruolo (cartellino obbligatorio)
2. Fornire informazioni chiare e precise
3. Postura e sguardo rassicurante
4. Incoraggiare il pensiero concreto e realista
5. Mostrare comprensione rispetto al vissuto emotivo
6. Gestire gli altri creando, laddove possibile, modalità di supporto
7. Ristabilire un equilibrio positivo

MOSTRARE COMPRENSIONE

Accogliere la rabbia dell’utente come espressione di disagio, dolore o paura e come modalità più istintiva di richiesta d’aiuto o informazioni piuttosto che come attacco personale/professionale Mostrare comprensione per le emozioni di rabbia: “Capisco che questa situazione/condizione le provochi rabbia…” ma non per i comportamenti “Non condivido quello che fa, ma capisco perché lo sta facendo...” oppure “Capisco che lei abbia dei validi motivi per essere arrabbiato, ma mi risulta più difficile aiutarla se lei minaccia me o i miei colleghi..." Riconoscere le esigenze dell’utente senza reagire all’attacco personale riportando l’utente sul piano
comportamentale e pratico più che
sul piano emotivo o su questioni di principio
Annuire con la testa mostrando che si sta ascoltando Incoraggiare la persona a parlare (“Sì…mi dica…vediamo come posso esserle utile…”)
Mostrare rispetto: “Mi rendo conto
delle difficoltà che ha dovuto affrontare a causa di questa situazione…”
Mostrare sostegno: “Sono qui per
aiutarla, mi spieghi meglio il motivo del suo disagio…”
Dare ordini all’utente: “Lei si deve sedere qui...aspetti il suo turno!” oppure “Si calmi!”
Denigrare l'utente o sminuire il suo problema: “É colpa sua se ...” oppure “Deve per forza comportarsi così?” Usare ironia, sarcasmo o totale condiscendenza: “Non sia sciocco” oppure “Se tutti si comportassero come Lei…”
Giustificarsi per le accuse rivolte al personale sanitario / ospedale / istituzioni

INDICAZIONI PRATICHE PER “ABBASSARE I TONI”
Stabilire un contatto verbale
Usare frasi brevi dal contenuto chiaro; se l'utente non ha compreso il significato, semplificare sempre di più, anche a scapito della completezza, della coerenza o della logica
Utilizzare un tono di voce caldo e rassicurante
Rivolgersi all'interlocutore usando il suo cognome
Ridurre la tensione dichiarandosi d'accordo e disponibile alla ricerca di una soluzione comune
Non polemizzare o contrastare apertamente
Formulare domande che prevedano una risposta aperta (vedi punto 4. Incoraggiare il pensiero)
Fornire scelte alternative (vedi punto 4. Incoraggiare il pensiero)


EVITARE DI
Dare ordini Fare la morale Discutere Biasimare
Rimproverare o giudicare
Dare soprannomi
Analizzare o esaminare a fondo Ironizzare o fare sarcasmo Elogiare o sminuire
Assumere un atteggiamento negativo verso il problema
Fare più domande contemporaneamente



CONSIGLI UTILI PER ENTRARE IN RELAZIONE CON GLI ALTRI

RIFORMULARE
“Se ho ben compreso, lei trova che la procedura per il ritiro dei referti sia troppo complicata?”
“Se posso riassumere, lei propone di indicare i tempi di attesa stimati nello schermo all’ingresso degli ambulatori”
“La sua opinione mi sorprende e sarei lieto se mi dicesse un po’ di più sui motivi che la fanno pensare in questo modo”

CHIEDERE
Rappresenta un segnale di vivo interesse che arricchisce il dialogo
Possibili tipi di domande (da usare nei diversi contesti) Domande chiuse neutre: SI / NO
“É d’accordo se…”
Domande chiuse orientate: implicano la risposta attesa
“Cos’è che la mette più in difficoltà in relazione a questa nuova modalità di assistenza al familiare malato?”
Domande aperte: raccolgono informazioni / avviano il dialogo
“Quali pensa possano essere delle tempistiche realistiche per concludere la procedura?”
Domande di rimando: riprendono una frase o un’espressione dell’interlocutore per aiutarlo ad esprimere un’idea che fatica a formulare
“Ha detto che questa risposta non le è piaciuta, in che modo si è sentito offeso/non considerato?”

PORRE ATTENZIONE ALLO “SPAZIO COMUNICATIVO”
Distanza e rispettive posizioni Distanza pubblica (> 300 cm) Distanza sociale (120 cm- 300 cm) Distanza personale (50 cm-120 cm) Distanza intima (< 50 cm)

Quando ci si relaziona con altri è quindi importante riuscire a capire quale sia la distanza giusta da rispettare, in modo da non far sentire a disagio le persone.
Nello spazio di distanza sociale si riesce a calibrare bene la voce e la postura per comunicare un atteggiamento di cooperazione e collaborazione anche attraverso la comunicazione non verbale.

Sguardo e sorriso
Attraverso il contatto oculare si può esprimere sintonia e confermare l’andamento della relazione; regolare l’interazione, segnalando l’alternanza dei turni di conversazione; fornire informazione su noi stessi, dimostrando attenzione, competenza, credibilità o disinteresse.

Comunicazione non verbale
Prestare attenzione al comportamento non verbale - nostro e dell’utente - che potrebbe esprimere approvazione o disappunto


COME RIDURRE IL RISCHIO DI AGGRESSIONE

Eliminare tutti i fattori di provocazione relazionale tra gli attori della comunicazione
Identificare segni di aggressione imminente
Ottenere fiducia e collaborazione
Proporre all’utente strategie per il controllo della tensione
Non ridicolizzare la situazione o l’evento capitato
Non affrontare l’utente senza il supporto di qualche collega
Non dare le spalle all’utente durante la comunicazione
Mantenere una distanza di sicurezza di almeno due metri e il contatto visivo
Focalizzare il dialogo solo sui motivi concreti alla base della discussione
Non rispondere in alcun modo alle provocazioni o agli insulti
Lavorare in ambienti “sicuri”: avere stanze prive di barriere tra operatore e via di uscita, rimuovere gli oggetti che potrebbero essere utilizzati in modo improprio (forbici, fermacarte, ecc.)

fonte: Regione del Veneto – Direzione Prevenzione, Sicurezza Alimentare, Veterinaria
Capofila Azienda ULSS 6 Euganea – Dipartimento di Prevenzione
Documento espressione del lavoro del Gruppo regionale per la prevenzione e contrasto del disagio negli ambienti di lavoro e promozione del benessere organizzativo con il contributo dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza dell’Azienda Ospedale Università di Padova



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