AGENTI CANCEROGENI E MUTAGENI

Rischie e prevenzione, Approfondimento Inail 2015

Questo opuscolo vuol essere uno strumento di ausilio nell’utilizzo e nella gestione degli agenti cancerogeni e mutageni sul luogo di lavoro.
 
La conoscenza delle problematiche sulla salute e sicurezza correlate a tali sostanze costituisce un patrimonio cognitivo indispensabile per la- vorare correttamente riducendo al minimo i rischi lavorativi. 
 
Il taglio pratico che la sezione delle schede conferisce al lavoro vuole renderlo uno strumento operativo di facile consultazione. 
 
È rivolto ai datori di lavoro, ai lavoratori e a tutte le figure professionali che si occupano a diverso titolo di salute e sicurezza sul lavoro. 
 
Perché è solo dalla consapevolezza del ruolo di tutti gli attori coinvolti che può scaturire un luogo di lavoro più sicuro.

Identificazione degli agenti cancerogeni e mutageni

Secondo l’art. 234 del decreto legislativo 81/2008 e s.m.i. si definisce:

a) agente cancerogeno:
1. una sostanza che risponde ai criteri relativi alla classificazione quali ca- tegorie cancerogene 1 o 2, stabiliti ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni;
2. un preparato contenente una o più sostanze di cui al numero 1), quando la concentrazione di una o più delle singole sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di un preparato nelle categorie cancerogene 1 e 2 in base ai criteri stabiliti dai decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e 15 marzo 2003 n. 65, e successive modificazioni;
3. una sostanza, un preparato o un processo di cui all’allegato XLII, non- ché una sostanza o un preparato emessi durante un processo previsto dall’allegato XLII;

b) agente mutageno:
1. una sostanza che risponde ai criteri relativi alla classificazione nelle ca- tegorie mutagene 1 o 2, stabiliti ai sensi del decreto legislativo 3 feb- braio 1997, n. 52, e successive modificazioni;
2. un preparato contenente una o più sostanze di cui al numero 1), quando la concentrazione di una o più delle singole sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di un preparato nelle categorie mutagene 1 e 2 in base ai criteri stabiliti dai decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e 15 marzo 2003 n. 65, e suc- cessive modificazioni.

I preparati (miscele o soluzioni di più sostanze) sono classificati cancerogeni e/o mutageni se contengono una o più sostanze classificate come tali, in percentuali uguali o superiori a determinati valori.

Il Regolamento UE n. 1272/2008, denominato CLP (Classification, Labelling and Packaging of Chemicals), in vigore dal 20/1/2009, ha introdotto un nuovo sistema di classificazione, etichettatura e imballaggio di sostanze e preparati pericolosi. Dal 1/6/2015 il CLP abrogherà la DSP e la DPP, nonché tutte le normative di attuazione succedutesi nel corso degli anni.

Anche il CLP classifica i preparati in base alla classificazione delle sostanze componenti, con le seguenti differenze:
 
• il termine preparato è sostituito da miscela;
• i limiti di concentrazione che determinano la classificazione sono generici, validi a meno dell’esistenza di limiti specifici per alcune sostanze e si ap- plicano sia a miscele non gassose (percentuale peso/peso), sia a miscele gassose (percentuale volume/volume).

Altri sistemi di classificazione

Oltre all’Unione Europea, altri Enti nazionali e internazionali, di seguito ripor- tati, effettuano la classificazione di cancerogenicità di agenti chimici:

1) Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale (CCTN) - Italia
2) International Agency for Research on Cancer (IARC) - Francia
3) Environmental Protection Agency (EPA) - USA
4) American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) - USA
5) National Toxicology Program (NTP) - USA.

Non sempre le classificazioni sono concordi, infatti uno stesso agente, può essere classificato in maniera diversa da un Ente rispetto a un altro o rispetto alla classificazione UE.

Correlazione tra cancerogenicità e mutagenicità

É stato dimostrato che l’esposizione ad alcuni agenti chimici – per inalazione, ingestione o contatto cutaneo - può causare lo sviluppo di tumori in seguito all’induzione di mutazioni genetiche.
Il termine mutazione indica qualsiasi modifica del patrimonio genetico con- tenuto nel nucleo delle cellule eucariotiche che determina le caratteristiche che contraddistinguono ciascun individuo e viene trasmesso da una gene- razione all’altra.
Il componente principale del patrimonio genetico è il DNA (Deoxy riboNucleic Acid), un polimero formato da milioni di monomeri denominati nucleotidi. Ciascun nucleotide contiene un gruppo fosfato, uno zucchero a cinque atomi


di carbonio (2’-deossiribosio) e una base azotata. Il DNA è costituito dalla sequenza di quattro basi azotate: due purine (Adenina e Guanina) e due pi- rimidine (Citosina e Timina).
Nel 1953, Watson e Crick proposero un modello a doppia elica per la strut- tura molecolare del DNA (Figura 1), formata da due
lunghi filamenti disposti a spirale, in cui le basi si ac- coppiano attraverso legami idrogeno.
Quando una cellula si duplica, i filamenti del DNA si separano e ognuno di essi funge da stampo per sin- tetizzare un filamento complementare, così da otte- nere due molecole di DNA identiche tra loro.
Nel nucleo il DNA assume una struttura complessa, avvolgendosi prima su se stesso quindi attorno ad alcune proteine. L’insieme di DNA e proteine costi- tuisce i cromosomi.

Ciascun cromosoma contiene migliaia di geni, costi- tuiti da segmenti di DNA.
Ogni cellula umana possiede 23 coppie di cromo- somi: 22 dette somatiche, composte di cromosomi uguali tra loro (omologhi) e 1 composta dai cromo-

somi sessuali (XX nelle femmine e XY nei maschi). Le cellule germinali (ovociti e spermatozoi), coinvolte nella riproduzione sessuale, hanno invece una sola copia di ogni cromosoma.
Le mutazioni, dunque, sono alterazioni del DNA, le quali possono interessare la struttura dei cromosomi (aberrazioni cromosomiche) oppure i nucleotidi (mutazioni puntiformi).
Le aberrazioni cromosomiche comprendono variazioni del numero di cromo- somi (aggiunta o perdita) e della loro struttura 

Tra le aberrazioni strutturali si annoverano:

• delezione: perdita di un segmento di cromosoma e della relativa informa- zione in esso contenuta;
• duplicazione: raddoppio di un segmento di cromosoma; i segmenti così duplicati possono trovarsi affiancati ovvero in punti diversi del cromosoma o su cromosomi differenti;
• inversione: modifica della “direzione” dei geni sul cromosoma. Un seg- mento di cromosoma viene tagliato, ruotato di 180°, infine reintegrato. Il materiale genetico non viene perduto;
• inserzione: un segmento di un cromosoma viene tagliato e inserito in un altro cromosoma non omologo;

• traslocazione: un segmento di un cromosoma viene scambiato con un segmento appartenente a un altro cromosoma. La traslocazione può ve- rificarsi anche all’interno di uno stesso cromosoma.


Le mutazioni puntiformi avvengono invece in singoli geni e comportano una modifica della sequenza nucleotidica del DNA a livello di una o più basi. Esempi di mutazioni puntiformi:
 
• sostituzione di basi: sono note due tipologie di sostituzioni: transizione e transversione. Nel primo caso, una purina (A o G) è sostituita con un’altra purina o una pirimidina con un’altra pirimidina (C o T). Nel secondo, una purina è rimpiazzata da una pirimidina o viceversa;
• inserzione:  aggiunta di una o più basi nella sequenza originaria di DNA;
• delezione: rimozione di una o più basi;
• inserimento di analoghi di basi: sostanze con struttura molto simile alle basi vengono incorporate in un segmento di DNA;
• reazione  con le basi: alcune sostanze reagiscono chimicamente con le basi; i meccanismi di reazione comprendono:
-  deamminazione: un gruppo amminico (-NH2) viene sostituito, tramite os- sidazione, con un gruppo carbonilico (-C=O);
-  idrossilazione: sull’azoto amminico viene introdotto un gruppo ossidrilico
(-OH);
-  alchilazione: sempre sull’azoto amminico, vengono introdotti sostituenti alchilici (es. Metile –CH3);
• intercalazione: inserimento di una molecola, detta intercalante, nello spa- zio compreso tra due coppie di basi lungo un filamento di DNA. Un esem- pio d’intercalante è il benzo[a]pirene.
 
Diversi sistemi enzimatici vengono attivati all’interno del nucleo in seguito alla rilevazione di mutazioni; questi sistemi sono in grado di eliminare il danno e ripristinare la sequenza nucleotidica originale. Tuttavia, a volte il DNA non viene riparato o viene riparato male, subendo così una modifica permanente all’interno di una specifica cellula e di tutte quelle da essa derivate.
Se le mutazioni interessano le cellule germinali, le modifiche del DNA diven- tano ereditabili dalla successiva generazione di individui.
Tornando alla correlazione tra mutazioni e tumori, è noto che le cellule tu- morali hanno origine da una cellula comune che, a un certo punto del suo ciclo vitale, subisce una trasformazione “anomala”. Uno dei meccanismi re- sponsabili della trasformazione è l’accumulo, all’interno della cellula, di mu- tazioni non riparate o riparate in modo sbagliato. Le mutazioni, considerate come eventi stocastici indipendenti l’uno dall’altro, si accumulano in un pe- riodo temporale più o meno lungo (anche 40 anni). Può trattarsi sia di aber- razioni cromosomiche, sia di mutazioni puntiformi di specifici geni (es. ras, p53), solitamente non ereditarie.
Le cellule anomale, una volta formatesi, si moltiplicano e danno luogo a masse tumorali, le quali possono invadere i tessuti adiacenti al sito di for- mazione e produrre metastasi in organi distanti.
Gli agenti che provocano lo sviluppo di tumori per tramite di mutazioni sono detti cancerogeni genotossici, suddivisi in:
 
• diretti: essi stessi sono in grado di alterare il DNA;
• indiretti: a seguito di bioattivazione, producono metaboliti dannosi per il DNA.


Altri agenti cancerogeni, detti epigenetici, non sono mutageni di per sé, ossia non modificano la sequenza nucleotidica del DNA, semmai il modo in cui le informazioni in esso contenute vengono utilizzate.
A titolo esemplificativo, gli effetti dell’esposizione a epigenetici compren- dono:
 
• inibizione degli enzimi che catalizzano la corretta duplicazione del DNA;
• rallentamento o blocco della capacità di riparare un danno subito in pre- cedenza;
• incremento della replicazione di cellule anomale già prodotte;
• meccanismi citotossici;
• squilibri ormonali;
• immunosoppressione.



Misure di prevenzione

Le misure di prevenzione sono definite come “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della sa- lute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”.
In sostanza, ciò che si vuole ottenere attraverso l’adozione di misure di pre- venzione è di evitare o ridurre la probabilità che si verifichi un evento che possa causare danni al lavoratore.
Nel caso degli agenti cancerogeni e/o mutageni, la più importante misura di prevenzione dell’esposizione sarebbe la sostituzione di tali agenti (sostanze o preparati) con altri non pericolosi per la salute o meno pericolosi nelle condizioni di utilizzo. Con la sostituzione si eliminerebbe il rischio direttamente alla fonte. Alcuni esempi di prodotti sostitutivi:

• Glutaraldeide o Acido peracetico per sterilizzare i presidi medico-chirurgici, al posto dell’Ossido di etilene;
• Vernice a base di pigmenti azoici invece di una contenente Cromati (di piombo o di zinco).

Oltre agli agenti chimici, si potrebbero anche sostituire i procedimenti lavo- rativi, ad esempio quelli elencati nell’Allegato XLII del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. Se la sostituzione non è possibile, il Datore di Lavoro deve applicare: “(…
)misure tecniche, organizzative o procedurali volte a ridurre al minimo il nu- mero di lavoratori esposti e a ridurre a valori più bassi possibile la durata e l’intensità dell’esposizione di tali lavoratori (…).
Esempi di misure tecniche, organizzative o procedurali:

• Adozione di sistemi di lavorazione “a ciclo chiuso”, caratterizzati da: as- senza di scambio di materiale con l’ambiente circostante, controllo a di- stanza da parte degli addetti e reintroduzione diretta degli scarti nel ciclo lavorativo.
• Impiego di quantitativi di agenti cancerogeni e/o mutageni non superiori alle necessità produttive, evitandone l’accumulo sul luogo di lavoro.

• Isolamento delle lavorazioni a rischio entro aree appositamente segnalate , accessibili esclusivamente agli addetti. In dette aree deve es- sere vietato fumare, mangiare, bere, usare pipette a bocca e applicare cosmetici.


• Regolare e sistematica pulitura di locali, attrezzature e impianti.
• Conservazione, manipolazione, trasporto e smaltimento dei prodotti can- cerogeni e/o mutageni in condizioni di massima sicurezza, in base a quanto prescritto dalle schede di sicurezza di detti prodotti, che devono essere obbligatoriamente acquisite dai fornitori.
• Disposizione, su conforme parere del Medico Competente, dell’allontana- mento dall’esposizione di categorie di lavoratori particolarmente sensibili, quali: lavoratrici gestanti o in allattamento, minori, soggetti ipersuscettibili (es. fumatori, immunodepressi).
 
Molto importanti sono anche l’informazione e la formazione dei lavoratori esposti o potenzialmente esposti. Il Datore di Lavoro, sulla base delle cono- scenze disponibili, assicura che i lavoratori siano adeguatamente informati e formati in merito a:
 
• tipologia di agenti cancerogeni e/o mutageni presenti nei cicli lavorativi, loro dislocazione, rischi per la salute connessi al loro impiego, compresi i rischi aggiuntivi dovuti al fumare;
• precauzioni da osservare per evitare o diminuire l’esposizione;
• modalità per prevenire il verificarsi di incidenti e misure da adottare per li- mitarne le conseguenze.
 
L’informazione e la formazione vanno effettuate prima di adibire i lavoratori alle attività a rischio di esposizione ad agenti cancerogeni e/o mutageni e devono essere ripetute almeno ogni 5 anni e comunque ogniqualvolta si
 
verifichino nelle lavorazioni cambiamenti che influiscono sulla natura dei rischi.
Gli impianti, i contenitori e gli imballaggi contenenti agenti cancerogeni e/o mutageni devono essere etichettati in maniera leggibile e comprensibile. I contrassegni utilizzati e le altre indicazioni devono essere conformi al D.Lgs.
25/97 (sostanze), al D.Lgs. 65/2003 (preparati) e successive modificazioni
(Regolamento CLP).
 

Misure di protezione

Le misure di protezione diminuiscono l’entità dei danni conseguenti all’espo- sizione a un pericolo. Le misure di protezione possono essere:

• collettive: proteggono contemporaneamente tutti i lavoratori presenti in un medesimo ambiente, indipendentemente dal loro comportamento;
• individuali: proteggono ogni singolo lavoratore e tipicamente consistono in Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

L’art.15 comma 1 i) del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. stabilisce che le misure di protezione collettive hanno la priorità su quelle individuali.

Misure di protezione collettive

Le principali misure di protezione collettive contro l’esposizione ad agenti chimici comprendono la ventilazione generale e l’aspirazione localizzata.
La ventilazione generale (naturale e/o forzata) consente il ricambio dell’aria in tutto l’ambiente di lavoro. Un sistema di ventilazione forzata prevede l’im- missione di aria pulita e l’espulsione di aria inquinata. Tuttavia, la ventilazione generale non diminuisce la quantità totale di inquinanti aerodispersi, bensì la loro concentrazione per effetto della diluizione.
L’aspirazione localizzata cattura gli inquinanti (par- ticelle, gas o vapori) presso il punto di emissione, prima che raggiungano la zona di respirazione dei lavoratori. Una volta captati, gli inquinanti vengono estratti dall’ambiente, previa eventuale filtrazione; nel frattempo, viene immessa aria pulita dal- l’esterno. Intervenendo alla fonte, l’aspirazione lo- calizzata garantisce generalmente una protezione migliore rispetto alla ventilazione generale.

Di solito, la ventilazione generale e l’aspirazione localizzata sono comple- mentari l’una all’altra.
Il Datore di Lavoro è tenuto a verificare periodicamente il corretto funziona- mento dei sistemi di protezione collettiva e a garantirne la manutenzione

DPI

Se, nonostante le misure di prevenzione e/o di protezione collettive, permane un rischio residuo di esposizione, il Datore di Lavoro deve fornire ai lavoratori esposti o potenzialmente esposti idonei DPI. I lavoratori, da parte loro, sono obbligati a indossare i DPI ricevuti e ad averne cura.
Affinché i DPI siano efficaci, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

1. conformità ai Requisiti Essenziali di Sicurezza stabiliti dal D.Lgs. 475/92 e s.m.i. e a specifiche Norme tecniche;
2. adeguatezza ai rischi da cui proteggere e alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;
3. rispetto delle esigenze ergonomiche o di salute dei lavoratori (es. como- dità, tollerabilità, adattabilità alla persona);
4. accertamento che i DPI stessi non costituiscano fonte di rischio per la sa- lute o la sicurezza;
5. in caso di rischi multipli, compatibilità tra più DPI usati simultaneamente. Per la protezione da agenti chimici, s’impiegano principalmente:
• DPI per le vie respiratorie;
• DPI per gli arti superiori;
• DPI per gli arti inferiori;
• DPI per gli occhi e il viso;
• DPI per il corpo.


DPI PER GLI ARTI SUPERIORE (GUANTI)

Costituiscono una barriera tra la cute e gli agenti chimici; la protezione si basa sulla resistenza alla penetrazione (passaggio di una sostanza attraverso le porosità del manufatto), ma soprattutto alla permeazione (attraversamento, a livello molecolare, del materiale costituente). I guanti (Figura 10) possono essere monouso, usa-e-getta o riutilizzabili.
 
Materiali più comuni:
 
•  PVC (resiste a idrocarburi aromatici e alifatici, ma non resiste sopra i 65°C);
•  Neoprene (resiste a idrocarburi alifatici, grassi, acidi, alcali, ma non a idro- carburi aromatici, solventi clorurati e chetoni);
 

•  gomma naturale (resiste a soluzioni acide e alcaline ma non a grassi, idrocarburi e solventi clorurati);
•  altre gomme sintetiche (es. Nitrile, Butile).
 
INDICAZIONI PARTICOLARI PER AGENTI  CANCEROGENI/MUTAGENI
 
•  I guanti devono essere sufficientemente lunghi, tali da coprire almeno l’avambraccio, meglio se mo- nouso o usa-e-getta.
•  Per un’ottimale protezione, si raccomanda un doppio  paio di guanti.

DPI PER GLI ARTI INFERIORI

Calzature  di sicurezza

Proteggono i piedi e/o le gambe da liquidi (specialmente se corrosivi) o particelle nocive. Comprendono scarpe e stivali , costituiti da materiali impermeabili (tipicamente gomma naturale o sintetica, PVC, Poliuretano) e muniti di suole antiscivolo.

Copriscarpe
Si indossano sopra le normali calzature e sono monouso, co-
stituiti da Tessuto-Non-Tessuto (TNT) in materiali polimerici (es. PVC, PE). In ge- nerale, sono indicati in caso di contatto di breve durata ed entità.


DPI PER GLI OCCHI E IL VISO

Occhiali

Proteggono gli occhi contro schizzi e/o spruzzi di liquidi, parti- celle e gas. Possono essere a stanghette o a mascherina . Gli occhiali a mascherina proteggono anche le cavità oculari e possono essere indossati sopra gli occhiali da vista. Le lenti sono composte da vetro temperato o materiali sintetici (es. Policarbonato).  

 Visiera  

 La visiera, costituita dai medesimi materiali degli occhiali, protegge anche il volto . Può essere montata su un elmetto o fisssata direttamente alla testa. E’ preferibile utilizzare la visiera se si manipolano liquidi con azione lesiva in particolare a contatto con gli occhi o metalli fusi.

Schermo

Lo schermo si impiega normalmente durante la saldatura; la superficie è composta da una parte metallica (o in plastica) e da una la- stra, eventualmente filtrante contro le radiazioni . Lo schermo può essere sostenuto a mano o integrato con apposito casco.
INDICAZIONI PARTICOLARI PER AGENTI  CANCEROGENI/MUTAGENI
•  Si raccomandano occhiali a mascherina o visiera per la manipolazione di prodotti nocivi a con- tatto con gli occhi in generale.
 
•  Per la saldatura è indicato uno schermo filtrante, oppure un casco ventilato.

DPI PER IL CORPO
Comprendono indumenti per la protezione completa (tute) o parziale (es. camici, grembiuli) del corpo (Figura 15). Anche gli indumenti devono essere resistenti alla pe- netrazione e alla permeazione. Sono generalmente costituiti da Tessuto-Non-Tessuto (TNT) in materiali polimerici (es. ®Tyvek) e possono essere riutilizzabili, monouso o usa e-getta.
Le Norme EN individuano 6 Tipi di indumenti

 
1 Indumenti a tenuta  stagna ai gas: protezione completa, rifornimento di aria respirabile per mezzo di sistemi respiratori. Le cuciture e le connessioni devono essere eseguite o sigillate in modo da non permettere la penetra- zione dei liquidi. Sono divisi in tre sottotipi: 1a) Impermeabili all’aria e ai gas con autorespiratore all’esterno per squadre di emergenza; 1b) Impermeabili all’aria e ai gas con autorespiratore all’interno per squadre di emergenza; 1c) Impermeabili all’aria e ai gas con autorespiratore all’esterno per lavoro.

2 Indumenti a tenuta stagna, ma non ai gas: protezione a copertura com- pleta contro agenti chimici in forma solida e liquida. Le cuciture e le connes- sioni devono essere eseguite o sigillate in modo da non permettere la penetrazione di qualsiasi tipo di contaminante in forma liquida.


 
3 Indumenti a tenuta a getti di liquidi: proteggono contro il contatto con pro- dotti chimici allo stato liquido in forma di getto continuo. Di solito, sono co- stituiti da un indumento a copertura completa del corpo, con materiale e connessioni a tenuta di liquido.
 
4 Indumenti a tenuta a spruzzi di liquidi:  proteggono contro il contatto ac- cidentale con prodotti chimici allo stato liquido in forma di spruzzi. Di solito sono costituiti da un indumento a copertura completa del corpo, con mate- riale e connessioni a tenuta di spruzzi.

 
5 Indumenti a tenuta alle polveri: proteggono il corpo dalle particelle solide (polveri e fibre). Di solito sono costituiti da un indumento a copertura com- pleta del corpo, con materiale e connessioni a tenuta di polveri.

  
6 Indumenti a tenuta  “limitata” a schizzi  di liquidi:  proteggono contro le nebbie, gli schizzi e gli spargimenti limitati. Da utilizzare quando è stimato un basso rischio di esposizione. Possono essere costituiti da un unico pezzo o da più capi.

INDICAZIONI PARTICOLARI PER AGENTI  CANCEROGENI/MUTAGENI
 
•  Si raccomandano indumenti monouso  o usa e getta, a protezione completa o parziale.
•  In circostanze particolari, vale a dire:
-   incidenti o altri eventi non prevedibili;
-   operazioni lavorative che possono comportare un’esposizione rilevante (es. manutenzione), sono indicati indumenti  di Tipo 1A/1B o 1C.

I DPI, quando non sono monouso, devono essere:
 
• riposti in luoghi appositi, separati dagli abiti civili;
• puliti e controllati dopo ogni utilizzazione;
• riparati o sostituiti, se difettosi o deteriorati, prima dell’utilizzazione suc- cessiva.

                                                                      

Gestione delle emergenze

Una situazione di “pericolo immediato” si può verificare durante l’impiego, lo stoccaggio e lo smaltimento di agenti chimici e può originare emergenze ambientali e/o rischi più o meno gravi per l’incolumità delle persone.
Una corretta gestione di queste situazioni, ad esempio lo sversamento di un liquido a seguito della rottura di un contenitore, permette di evitare o, se ciò non è possibile, limitare conseguenze dannose per i lavoratori e l’ambiente. È quindi necessario, in caso di fuoriuscita di agenti chimici, attuare imme- diatamente delle procedure di emergenza per limitare rischi di inquinamento ambientale e di danni alle persone coinvolte.
Le procedure da seguire dovranno essere stilate e fornite ai lavoratori te- nendo conto del tipo di attività lavorativa svolta, delle sostanze utilizzate e delle modalità di manipolazione, conservazione e smaltimento di tali so- stanze.
Si riportano, in ogni caso, delle regole dalle quali prendere spunto per ela- borare delle proprie procedure:

• aprire tutte le finestre e le porte per favorire la ventilazione naturale e la di- spersione di eventuali vapori pericolosi presenti nell’aria;
• cercare di mettere in sicurezza il luogo dell’incidente rimuovendo, ad esempio, possibili fonti d’innesco, arrestando le lavorazioni in corso e to- gliendo tensione alle apparecchiature elettriche, e alle alimentazioni di gas;
• arrestare la fuoriuscita di liquidi con idoneo materiale assorbente, apposi- tamente predisposto;
• prima di effettuare qualsiasi tipo di intervento di emergenza, indossare DPI specifici per la protezione dal contatto con la sostanza fuoriuscita (es. guanti, occhiali paraspruzzi, indumenti di protezione) nonché dall’inala- zione di vapori della stessa (maschere con filtro), secondo le indicazioni fornite dalla scheda di sicurezza del prodotto;
• una volta arginato lo sversamento raccogliere il materiale assorbente, con- taminato, inserendolo in appositi contenitori per poi inviarlo a smaltimento come rifiuto speciale;

• dopo aver rimosso il materiale fuoriuscito, pulire bene la zona ed i materiali interessati dallo sversamento.

Gli interventi sopra descritti devono essere effettuati solo se è possibile ope- rare in condizioni di sicurezza, evitando di trovarsi da soli a fronteggiare l’emergenza; pertanto, occorre chiamare sempre il numero di emergenza a disposizione, in modo tale che si provveda a far intervenire le squadre di emergenza.
Inoltre, è molto importante reperire rapidamente la scheda di sicurezza della sostanza al fine di rintracciare le indicazioni su come effettuare gli interventi.

Nel caso in cui si verifichi contaminazione di persone occorre innanzitutto:
• lavare la cute o le mucose eventualmente esposte con acqua corrente, docce, lavaggi oculari, ecc.;
• consultare le misure di primo soccorso indicate nella scheda di sicurezza della sostanza contaminante;
• chiamare il numero d’emergenza al fine di avvisare gli addetti al primo soc- corso e, se necessario, i soccorsi esterni;
• se è necessario l’intervento dei soccorsi (118 o medico) trasmettere loro tutte le informazioni utili relative alla sostanza, consegnando la scheda di sicurezza.

Infine:
• pulire eventuali superfici contaminate con appositi materiali assorbenti in- dossando guanti ed altri eventuali DPI adatti all’agente chimico in que- stione;
• sostituire i dispositivi di protezione individuale contaminati;
• lavare con acqua e detersivo eventuali indumenti contaminati prima di in- dossarli nuovamente.

Titolo IX Capo II PROTEZIONE DA AGENTI CANCEROGENI E MUTAGENI

Art. 233
Campo di applicazione

1. Fatto salvo quanto previsto per le attività disciplinate dal capo III e per i lavoratori esposti esclusivamente alle radiazioni previste dal trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica, le norme del presente titolo si applicano a tutte le at- tività nelle quali i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti cancerogeni o mutageni a causa della loro attività lavorativa.


Art. 234
Definizioni

1. Agli effetti del presente decreto s’intende per:
a) agente cancerogeno:
1) una sostanza che risponde ai criteri concernenti la classificazione quali categorie cancerogene 1 o due, stabiliti ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni;
2) un preparato contenente una o più sostanze di cui al numero 1), quando la con- centrazione di una o più delle singole sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di un preparato nelle categorie cancerogene 1 o 2 in base ai criteri stabiliti dai decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e 14 marzo
2003, n. 65 e successive modificazioni;
3) una sostanza, un preparato o un processo di cui all’allegato XLII, nonché una so- stanza od un preparato emessi durante un processo previsto dall’allegato XLII;
b) agente mutageno:
1) una sostanza che risponde ai criteri relativi alla classificazione nelle categorie mu- tagene 1 o 2, stabiliti dal decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modificazioni;


2) un preparato contenente una o più sostanze di cui al punto 1), quando la concen- trazione di una o più delle singole sostanze risponde ai requisiti relativi ai limiti di concentrazione per la classificazione di un preparato nelle categorie mutagene 1 o
2 in base ai criteri stabiliti dai decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e 14 marzo
2003, n. 65 e successive modificazioni;
c) valore limite: se non altrimenti specificato, il limite della concentrazione media, ponderata in funzione del tempo, di un agente cancerogeno o mutageno nell’aria, rilevabile entro la zona di respirazione di un lavoratore, in relazione ad un periodo di riferimento determinato stabilito nell’allegato XLIII.


Sezione II Obblighi del datore di lavoro

Art. 235
Sostituzione e riduzione

1. Il datore di lavoro evita o riduce l’utilizzazione di un agente cancerogeno o muta- geno sul luogo di lavoro in particolare sostituendolo, se tecnicamente possibile, con una sostanza o un preparato o un procedimento che nelle condizioni in cui viene utilizzato non risulta nocivo o risulta meno nocivo per la salute e la sicurezza dei la- voratori.
2. Se non è tecnicamente possibile sostituire l’agente cancerogeno o mutageno il datore di lavoro provvede affinché la produzione o l’utilizzazione dell’agente cance- rogeno o mutageno avvenga in un sistema chiuso purché tecnicamente possibile.
3. Se il ricorso ad un sistema chiuso non è tecnicamente possibile il datore di lavoro provvede affinché il livello di esposizione dei lavoratori sia ridotto al più basso valore tecnicamente possibile. L’esposizione non deve comunque superare il valore limite dell’agente stabilito nell’allegato XLIII.


Art. 236
Valutazione del rischio

1. Fatto salvo quanto previsto all’articolo 235, il datore di lavoro effettua una valuta- zione dell’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni, i risultati della quale sono riportati nel documento di cui all’articolo 17.
2. Detta valutazione tiene conto, in particolare, delle caratteristiche delle lavorazioni, della loro durata e della loro frequenza, dei quantitativi di agenti cancerogeni o mu- tageni prodotti ovvero utilizzati, della loro concentrazione, della capacità degli stessi di penetrare nell’organismo per le diverse vie di assorbimento, anche in relazione al loro stato di aggregazione e, qualora allo stato solido, se in massa compatta o in scaglie o in forma polverulenta e se o meno contenuti in una matrice solida che ne riduce o ne impedisce la fuoriuscita. La valutazione deve tener conto di tutti i possibili modi di esposizione, compreso quello in cui vi è assorbimento cutaneo.






3. Il datore di lavoro, in relazione ai risultati della valutazione di cui al comma 1, adotta le misure preventive e protettive del presente capo, adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative.
4. Il documento di cui all’articolo 28, comma 2, o l’autocertificazione1 dell’effettua- zione della valutazione dei rischi di cui all’articolo 29, comma 5, sono integrati con i seguenti dati:
a) le attività lavorative che comportano la presenza di sostanze o preparati cance- rogeni o mutageni o di processi industriali di cui all’allegato XLII, con l’indicazione dei motivi per i quali sono impiegati agenti cancerogeni;
b) i quantitativi di sostanze ovvero preparati cancerogeni o mutageni prodotti ovvero utilizzati, ovvero presenti come impurità o sottoprodotti;
c) il numero dei lavoratori esposti ovvero potenzialmente esposti ad agenti cance- rogeni o mutageni;
d) l’esposizione dei suddetti lavoratori, ove nota e il grado della stessa;
e) le misure preventive e protettive applicate ed il tipo dei dispositivi di protezione individuale utilizzati;
f) le indagini svolte per la possibile sostituzione degli agenti cancerogeni e le so- stanze e i preparati eventualmente utilizzati come sostituti.
5. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occa- sione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata.
6. Il rappresentante per la sicurezza può richiedere i dati di cui al comma 4, fermo restando l’obbligo di cui all’articolo 50, comma 6.


Art. 237
Misure tecniche, organizzative, procedurali

1. Il datore di lavoro:
a) assicura, applicando metodi e procedure di lavoro adeguati, che nelle varie operazioni lavorative sono impiegati quantitativi di agenti cancerogeni o mutageni non superiori alle necessità delle lavorazioni e che gli agenti cancerogeni o mu- tageni in attesa di impiego, in forma fisica tale da causare rischio di introduzione, non sono accumulati sul luogo di lavoro in quantitativi superiori alle necessità predette;
b) limita al minimo possibile il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti ad agenti cancerogeni o mutageni, anche isolando le lavorazioni in aree pre- determinate provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza, compresi i
segnali “vietato fumare”, ed accessibili soltanto ai lavoratori che debbono recarvisi per motivi connessi con la loro mansione o con la loro funzione. In dette aree è fatto divieto di fumare;
c) progetta, programma e sorveglia le lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni o mutageni nell’aria. Se ciò non è tecnicamente possibile, l’eli- minazione degli agenti cancerogeni o mutageni deve avvenire il più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione localizzata, nel rispetto dell’articolo 18, comma 1, lettera q). L’ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un ade- guato sistema di ventilazione generale;
d) provvede alla misurazione di agenti cancerogeni o mutageni per verificare l’effi- cacia delle misure di cui alla lettera c) e per individuare precocemente le esposizioni anomale causate da un evento non prevedibile o da un incidente, con metodi di campionatura e di misurazione conformi alle indicazioni dell’allegato XLI del presente decreto legislativo;
e) provvede alla regolare e sistematica pulitura dei locali, delle attrezzature e degli impianti;
f) elabora procedure per i casi di emergenza che possono comportare esposizioni elevate;
g) assicura che gli agenti cancerogeni o mutageni sono conservati, manipolati, tra- sportati in condizioni di sicurezza;
h) assicura che la raccolta e l’immagazzinamento, ai fini dello smaltimento degli scarti e dei residui delle lavorazioni contenenti agenti cancerogeni, avvengano in condizioni di sicurezza, in particolare utilizzando contenitori ermetici etichettati in modo chiaro, netto, visibile;
i) dispone, su conforme parere del medico competente, misure protettive particolari con quelle categorie di lavoratori per i quali l’esposizione a taluni agenti cancerogeni o mutageni presenta rischi particolarmente elevati.


Art. 238
Misure tecniche

1. Il datore di lavoro:
a) assicura che i lavoratori dispongano di servizi igienici appropriati ed adeguati;
b) dispone che i lavoratori abbiano in dotazione idonei indumenti protettivi da riporre in posti separati dagli abiti civili;
c) provvede affinché i dispositivi di protezione individuale siano custoditi in luoghi determinati, controllati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far ri- parare o sostituire quelli difettosi o deteriorati, prima di ogni nuova utilizzazione.
2. Nelle zone di lavoro di cui all’articolo 237, comma 1, lettera b), è vietato assumere cibi e bevande, fumare, conservare cibi destinati al consumo umano, usare pipette a bocca e applicare cosmetici.






Art. 239
Informazione e formazione

1. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda:
a) gli agenti cancerogeni o mutageni presenti nei cicli lavorativi, la loro dislocazione, i rischi per la salute connessi al loro impiego, ivi compresi i rischi supplementari do- vuti al fumare;
b) le precauzioni da prendere per evitare l’esposizione;
c) le misure igieniche da osservare;
d) la necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi e dispositivi individuali di protezione ed il loro corretto impiego;
e) il modo di prevenire il verificarsi di incidenti e le misure da adottare per ridurre al minimo le conseguenze.
2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1.
3. L’informazione e la formazione di cui ai commi 1 e 2 sono fornite prima che i la- voratori siano adibiti alle attività in questione e vengono ripetute, con frequenza al- meno quinquennale, e comunque ogni qualvolta si verificano nelle lavorazioni cambiamenti che influiscono sulla natura e sul grado dei rischi.
4. Il datore di lavoro provvede inoltre affinché gli impianti, i contenitori, gli imballaggi contenenti agenti cancerogeni o mutageni siano etichettati in maniera chiaramente leggibile e comprensibile. I contrassegni utilizzati e le altre indicazioni devono essere conformi al disposto dei decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e 14 marzo 2003, n. 65, e successive modificazioni.


Art. 240
Esposizione non prevedibile

1. Qualora si verifichino eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare un’esposizione anomala dei lavoratori ad agenti cancerogeni o mutageni, il datore di lavoro adotta quanto prima misure appropriate per identificare e rimuovere la causa dell’evento e ne informa i lavoratori e il rappresentante per la sicurezza.
2. I lavoratori devono abbandonare immediatamente l’area interessata, cui possono accedere soltanto gli addetti agli interventi di riparazione ed ad altre operazioni ne- cessarie, indossando idonei indumenti protettivi e dispositivi di protezione delle vie respiratorie, messi a loro disposizione dal datore di lavoro. In ogni caso l’uso dei di- spositivi di protezione non può essere permanente e la sua durata, per ogni lavora- tore, è limitata al tempo strettamente necessario.
3. Il datore di lavoro comunica senza indugio all’organo di vigilanza il verificarsi degli eventi di cui al comma 1 indicando analiticamente le misure adottate per ridurre al minimo le conseguenze dannose o pericolose.






Art. 241
Operazioni lavorative particolari

1. Per le operazioni lavorative, quale quella di manutenzione, per le quali é prevedi- bile, nonostante l’adozione di tutte le misure di prevenzione tecnicamente applicabili, un’esposizione rilevante dei lavoratori addetti ad agenti cancerogeni o mutageni, il datore di lavoro previa consultazione del rappresentante per la sicurezza:
a) dispone che soltanto tali lavoratori hanno accesso alle suddette aree anche prov- vedendo, ove tecnicamente possibile, all’isolamento delle stesse ed alla loro iden- tificazione mediante appositi contrassegni;
b) fornisce ai lavoratori speciali indumenti e dispositivi di protezione individuale che devono essere indossati dai lavoratori adibiti alle suddette operazioni.
2. La presenza nelle aree di cui al comma 1 dei lavoratori addetti è in ogni caso ri- dotta al tempo strettamente necessario con riferimento alle lavorazioni da espletare.


Sezione III Sorveglianza sanitaria

Art. 242
Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche

1. I lavoratori per i quali la valutazione di cui all’articolo 236 ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti a sorveglianza sanitaria.
2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure pre- ventive e protettive per i singoli lavoratori sulla base delle risultanze degli esami clinici e biologici effettuati.
3. Le misure di cui al comma 2 possono comprendere l’allontanamento del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42.
4. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l’esistenza di una anomalia imputabile a tale espo- sizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
5. A seguito dell’informazione di cui al comma 4 il datore di lavoro effettua:
a) una nuova valutazione del rischio in conformità all’articolo 236;
b) ove sia tecnicamente possibile, una misurazione della concentrazione dell’agente in aria e comunque dell’esposizione all’agente, considerando tutte le circostanze e le vie di esposizione possibilmente rilevanti per verificare l’efficacia delle misure adottate.
6. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sulla sorve- glianza sanitaria cui sono sottoposti, con particolare riguardo all’opportunità di sot- toporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa.


Art. 243
Registro di esposizione e cartelle sanitarie

1. I lavoratori di cui all’articolo 242 sono iscritti in un registro nel quale è riportata,






per ciascuno di essi, l’attività svolta, l’agente cancerogeno o mutageno utilizzato e, ove noto, il valore dell’esposizione a tale agente. Detto registro é istituito ed aggior- nato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta per il tramite del medico competente. Il responsabile del servizio di prevenzione ed i rappresentanti per la sicurezza hanno accesso a detto registro.
2. Il medico competente, per ciascuno dei lavoratori di cui all’articolo 242, provvede ad istituire e aggiornare una cartella sanitaria e di rischio secondo quanto previsto dall’articolo 25, comma 1, lettera c).
3. Il datore di lavoro comunica ai lavoratori interessati, su richiesta, le relative anno- tazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e, tramite il medico com- petente, i dati della cartella sanitaria e di rischio.
4. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro invia all’Ispesl2, per il tramite del medico competente, la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro e, secondo le previsioni dell’articolo 25 del presente decreto, ne consegna copia al lavoratore stesso.
5. In caso di cessazione di attività dell’azienda, il datore di lavoro consegna il registro di cui al comma 1 e le cartelle sanitarie e di rischio all’Ispesl.
6. Le annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e le cartelle sanitarie e di rischio sono conservate dal datore di lavoro almeno fino a risoluzione del rapporto di lavoro e dall’Ispesl fino a quarant’anni dalla cessazione di ogni attività che espone ad agenti cancerogeni o mutageni.
7. I registri di esposizione, le annotazioni individuali e le cartelle sanitarie e di rischio sono custoditi e trasmessi con salvaguardia del segreto professionale e del tratta- mento dei dati personali e nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni.
8. Il datore di lavoro, in caso di esposizione del lavoratore ad agenti cancerogeni, oltre a quanto previsto ai commi da 1 a 7:
a) consegna copia del registro di cui al comma 1 all’Ispesl ed all’organo di vigilanza competente per territorio, e comunica loro ogni tre anni, e comunque ogni qualvolta i medesimi ne facciano richiesta, le variazioni intervenute;
b) consegna, a richiesta, all’Istituto superiore di sanità copia del registro di cui al comma 1;
c) in caso di cessazione di attività dell’azienda, consegna copia del registro di cui al comma 1 all’organo di vigilanza competente per territorio;
d) in caso di assunzione di lavoratori che hanno in precedenza esercitato attività con esposizione ad agenti cancerogeni, il datore di lavoro chiede all’Ispesl copia delle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1, nonché copia della cartella sanitaria e di rischio, qualora il lavoratore non ne sia in possesso ai sensi del comma 4.
9. I modelli e le modalità di tenuta del registro e delle cartelle sanitarie e di rischio sono determinati dal decreto del Ministro della salute 12 luglio 2007 n. 155, ed ag- giornati con decreto dello stesso Ministro, adottato di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale3 e con il Ministro per le riforme e per le innovazioni nella pubblica amministrazione, sentita la commissione consultiva permanente.
10. L’Ispesl trasmette annualmente al Ministero della salute dati di sintesi relativi al contenuto dei registri di cui al comma 1 ed a richiesta li rende disponibili alle regioni.


Art. 244
Registrazione dei tumori

1. L’Ispesl, tramite una rete completa di Centri operativi regionali (COR) e nei limiti delle ordinarie risorse di bilancio, realizza sistemi di monitoraggio dei rischi occupa- zionali da esposizione ad agenti chimici cancerogeni e dei danni alla salute che ne conseguono, anche in applicazione di direttive e regolamenti comunitari. A tale scopo raccoglie, registra, elabora ed analizza i dati, anche a carattere nominativo, derivanti dai flussi informativi di cui all’articolo 8 e dai sistemi di registrazione delle esposizioni occupazionali e delle patologie comunque attivi sul territorio nazionale, nonché i dati di carattere occupazionale rilevati, nell’ambito delle rispettive attività istituzionali, dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, dall’Istituto nazionale di statistica, dall’Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro, e da altre amministra- zioni pubbliche. I sistemi di monitoraggio di cui al presente comma altresì integrano i flussi informativi di cui all’articolo 8.
2. I medici e le strutture sanitarie pubbliche e private, nonché gli istituti previdenziali ed assicurativi pubblici o privati, che identificano casi di neoplasie da loro ritenute attribuibili ad esposizioni lavorative ad agenti cancerogeni, ne danno segnalazione all’Ispesl, tramite i Centri operativi regionali (COR) di cui al comma 1, trasmettendo le informazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 dicembre
2002, n. 308, che regola le modalità di tenuta del registro, di raccolta e trasmissione delle informazioni.
3. Presso l’Ispesl è costituito il registro nazionale dei casi di neoplasia di sospetta origine professionale, con sezioni rispettivamente dedicate:
a) ai casi di mesotelioma, sotto la denominazione di Registro nazionale dei mesote- liomi (ReNaM);
b) ai casi di neoplasie delle cavità nasali e dei seni paranasali, sotto la denominazione di Registro nazionale dei tumori nasali e sinusali (ReNaTuNS);
c) ai casi di neoplasie a più bassa frazione eziologica riguardo alle quali, tuttavia, sulla base dei sistemi di elaborazione ed analisi dei dati di cui al comma 1, siano stati identificati cluster di casi possibilmente rilevanti ovvero eccessi di incidenza ovvero di mortalità di possibile significatività epidemiologica in rapporto a rischi occupazionali.
4. L’Ispesl rende disponibili al Ministero della salute, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, all’INAIL ed alle regioni e province autonome i risultati del moni- toraggio con periodicità annuale.
5. I contenuti, le modalità di tenuta, raccolta e trasmissione delle informazioni e di realizzazione complessiva dei sistemi di monitoraggio di cui ai commi 1 e 3 sono determinati dal Ministero della salute, d’intesa con le regioni e province autonome.


Art. 245
Adeguamenti normativi

1. La Commissione consultiva tossicologica nazionale individua periodicamente le sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione che, pur non es- sendo classificate ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, rispondono ai criteri di classificazione ivi stabiliti e fornisce consulenza ai Ministeri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, su richiesta, in tema di classificazione di agenti chimici pericolosi.
2. Con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, sentita la commissione consultiva permanente e la Commissione consultiva tossicologica nazionale:
a) sono aggiornati gli allegati XLII e XLIII in funzione del progresso tecnico, dell’evo- luzione di normative e specifiche comunitarie o internazionali e delle conoscenze nel settore degli agenti cancerogeni o mutageni;
b) è pubblicato l’elenco delle sostanze in funzione dell’individuazione effettuata ai sensi del comma 1.



Allegato XLI

UNI EN 481:1994 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Definizione delle fra- zioni granulometriche per la misurazione delle particelle aerodisperse.
UNI EN 484:1998 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Requisiti generali per le prestazioni dei procedimenti di misurazione degli agenti chimici.
UNI EN 689:1997 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Guida alla valutazione dell’esposizione per inalazione a composti chimici ai fini del confronto con i valori limite e strategia di misurazione.
UNI EN 838:1998 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Campionatori diffusivi per la determinazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1076:1999 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Tubi di assorbimento mediante pompaggio per la determinazione di gas e va- pori. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1231:1999 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Sistemi di misurazione di breve durata con tubo di rivelazione. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1232:1999 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Pompe per il campio- namento personale di agenti chimici. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1540:2001 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Terminologia.
UNI EN 12919:2001 Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Pompe per il campio- namento di agenti chimici con portate maggiori di 5 l/min. Requisiti e metodi di prova.

Allegato XLII

Elenco di sostanze, preparati e processi

ELENCO DI SOSTANZE, PREPARATI E PROCESSI

1. Produzione di auramina con il metodo Michler.
2. I lavori che espongono agli idrocarburi policiclici aromatici presenti nella fuliggine, nel ca- trame o nella pece di carbone.
3. Lavori che espongono alle polveri, fumi e nebbie prodotti durante il raffinamento del nichel a temperature elevate.
4. Processo agli acidi forti per la fabbricazione di alcool isopropilico.
5. Il lavoro comportante l’esposizione a polvere di legno duro.


Fonte Inail

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